ORIENTARSI - Mondo Voc febbraio 2014                                                 Torna al sommario

 

 

UN DIO IMPOSSIBILE

La vocazione di Geremia

La contrastata e singolare storia del profeta Geremia, eletto da Dio con un amore di predilezione, ma poi precipitato in una vertigine di amarezza, delusione e senso di abbandono, di rivolta verso Dio. Una prova che il profeta supera grazie alla fedeltà di Dio, una specie di “tatuaggio” divino inciso nel cuore umano come garanzia di un amore sempre presente.


di Amedeo Cencini


Michelangelo_profeti_Jeremiah_02La storia di Geremia è una storia tutta particolare, costruita sulla testimonianza sincera di un uomo che si è trovato costantemente a combattere con un Dio sempre inedito e imprevedibile, duro e sconcertante, e pure dall’immenso potere seduttivo nei confronti del profeta regolarmente perdente con lui. Per la Biblia de Oraciòn Geremia è “un poeta che sa cantare sul balcone della storia la canzone d’amore di Dio per il suo popolo”. Ma non è stato certo facile per il figlio di Chelkia imparare questo canto e sentirlo prima di tutto rivolto a sé, come canto dalle sonorità contrapposte e spesso pure stridenti. Se è vero che una delle tentazioni più forti è quella di “giocare a fare i profeti senza esserlo” (Papa Francesco), Geremia non ha per niente “giocato a fare il profeta”. Lo è stato e l’ha vissuto, semmai, come un dramma.

 


“Ti ho amato di amore eterno” (2,3) 

La chiamata di Geremia parte da una dichiarazione d’amore che ha dell’incredibile per un essere umano, e che può venire solo da Dio, anzi, dall’Eterno: “ti ho amato da sempre, da quando tu ancora non eri, prima di formarti nel grembo materno… Da sempre ti ho conosciuto, consacrato, stabilito…”. La chiamata è la più alta proclamazione della dignità dell’uomo, il quale in qualche modo esiste da sempre se Dio da sempre lo ha pensato.


Troppo bello per essere vero! Infatti il chiamato non ci crede e oppone resistenza: “ma io non so parlare…” (1,6). La solita contraddizione di chi da un lato è sempre alla ricerca di una immagine stabilmente positiva di sé, e dall’altro gli vengono le vertigini, teme di pensarsi troppo in grande dinanzi alla proposta dell’Eterno, che insiste: “Non aver paura… io metto le mie parole sulla tua bocca”. E Geremia si fida, si getta in un’avventura impossibile, solo scommettendo su Dio.

 


“Tu sei diventato per me un torrente infido” (15,18) 

Geremia_profeta_1Ma sono innumerevoli le sofferenze che il profeta deve sopportare a causa della Parola che annuncia: carcere, persecuzioni, minacce di morte, rifiuto, derisione, disprezzo… Al punto di non poterne più, e non solo degli uomini che lo opprimono in tutti modi o del suo stesso vivere (“perché sono uscito dal seno materno?”, 20,18), ma non ne può più nemmeno di Dio. Tra l’altro, Geremia non teme di condividere quel che prova dentro di sé: disperazione e delusione, risentimento e lamento nei confronti di chi lo ha chiamato e poi sembra lasciarlo solo, in balia dei nemici. Geremia è cordialissimamente arrabbiato con questo Dio, dal quale si è sentito ingannato, quasi violentato. Non ha paura di puntargli il dito contro per contestarlo e accusarlo senza mezzi termini: “tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti”. Un Dio inaffidabile e impossibile. Quasi una bestemmia!


Sono le sue famose “cinque confessioni”, nelle quali ritroviamo tutte le possibili obiezioni di una creatura nei riguardi del Creatore, del giusto che si sente perseguitato, dell’onesto che vede il bene soccombere a opera di malvagi, quasi una profezia storica dei dubbi che possono assalire tutti, credenti e non credenti di fronte al salto “illogico” della fede.


Vien da dire: altro che il poeta che canta stando al balcone della storia o il tipo che gioca a fare il profeta! E Dio?

 


Il silenzio di Dio 

Dio sembra non rispondere. Terribile prova che pesa ancor più sulla disperazione del profeta! O che forse sta a dirne la vera vocazione, l’identità, il punto d’arrivo del suo difficile cammino di maturazione.


Se Dio fa così col suo profeta, che lui ha scelto ancor prima di formarlo nel grembo materno, è perché vuole renderlo davvero simile a Sé, vuole che sperimenti quel che Dio prova nel proprio cuore quando è rifiutato dal suo popolo. Come può un profeta parlare in nome di Dio se non ha imparato ad avere i suoi stessi sentimenti? Come può annunciare l’amore divino se non ne conosce la passione? Ecco perché Dio conduce Geremia lungo questa strada così impervia, perché al profeta è chiesto di giungere a sentire almeno qualcosa del dolore stesso di Dio per il fallimento della storia d’amore con il suo popolo.


Per questo i cosiddetti fallimenti o delusioni pastorali (quando, ovviamente, non dipendono da pigrizia o incapacità del pastore) o tutto ciò che in qualche modo l’apostolo soffre a causa del Vangelo, diventa preziosa mediazione educativa proprio per formare in lui il cuore di Dio, gli stessi suoi sentimenti.

 


Tatuaggio divino 

Geremia_profeta_2Quando Dio tace vuol dire che sta nascendo una parola importante da ascoltare. Così anche con Geremia. Nella parte centrale-finale del suo scritto troviamo il Libro della consolazione (30-31), in cui sono raccolte sei unità poetiche, tutte inerenti alla promessa divina che cambia le sorti del popolo provato dalle tragedie della storia, ma anche quelle del profeta, mandato non solo a sradicare e demolire, ma anche a edificare e piantare, cioè annunciare il nuovo futuro, reso possibile dall’azione del Signore. Cuore e meta di questo futuro rinnovato è la Nuova Alleanza, nella quale, oracolo del Signore, “porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (31,33).


La storia di Geremia è tutta detta da queste parole, fiorite nel silenzio della terribile prova da lui sofferta. Il profeta ha infatti resistito ed è rimasto fedele solo grazie a questo… tatuaggio divino nel suo cuore umano.


La vocazione è questo tatuaggio, parole incise col fuoco nell’intimità della persona, più forti di tutti i fallimenti umani, più certe di tutti i dubbi, anche quelli su un Dio impossibile, perché “io sono il Signore, Dio di ogni essere vivente; c’è forse qualcosa d’impossibile per me?” (32,27).

 

 

 

 

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