ATTUALITÀ - Mondo Voc febbraio 2014 Torna al sommario
INTERVISTA ALL'ESPERTO
Quei ragazzi in fuga dalle parrocchie
Don Salvatore Lazzara, cappellano dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli e blogger, interpreta l’allarme di Papa Francesco sull’abbandono dei giovani dopo la cresima. E arrischia una soluzione soltanto in apparenza ovvia, in realtà difficile ma decisiva: mostrare il volto gioioso della fede cristiana e l’annuncio di un Vangelo liberante e amico dell’uomo.
di Salvatore Izzo
Nella sua straordinaria visita dello scorso settembre a Cagliari, Papa Francesco ha fotografato con grande efficacia uno dei problemi maggiori della Chiesa di oggi: “Molti ragazzi, dopo aver ricevuto la Cresima, non frequentano più la parrocchia”. Parlando ai giovani sardi – che avevano riproposto nella marina del capoluogo il clima vissuto dai loro coetanei di tutto il mondo sulla spiaggia Copacabana in occasione della Gmg di Rio – Francesco ha spiegato che “anche nella Chiesa facciamo questa esperienza: i sacerdoti, i catechisti, gli animatori si affaticano molto, spendono tante energie, ce la mettono tutta, e alla fine non vedono risultati sempre corrispondenti ai loro sforzi”. “Tante volte – commenta don Salvatore Lazzara, cappellano dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli e seguitissimo blogger – ci siamo interrogati sul perché tanti giovani lasciano dopo aver ricevuto la Cresima, ma tutto finisce con la pubblicazione di bellissimi libri con prefazioni altisonanti. Per me la risposta è più semplice: noi siamo impegnati a insegnare norme, precetti, divieti, piuttosto che trasmettere Amore. Siamo abituati a puntare il dito sulle ‘anomalie giovanili’, elaborando statistiche invece di andare in mezzo ai giovani che non conosciamo, per chiedere: ti senti bene? Hai bisogno di qualcosa? Cosa ti rende infelice? È difficile andare incontro agli altri. Aspettiamo sempre che siano gli altri a venire verso di noi”.
D) L’abbandono dopo la Cresima è più un fatto di età o di catechisti che non sono in grado di sottolineare la bellezza di questo sacramento?
R) La domanda è molto interessante. Ricercare la responsabilità in chi ha il compito di testimoniare la bellezza del sacramento è leggermente azzardato. Allo stesso tempo, generalizzare a tutto il mondo giovanile la crisi di cui si parla non è esatto: a Rio de Janeiro, per esempio, tantissimi ragazzi hanno partecipato alle Celebrazioni. Abbiamo assistito a numerose conversioni, e quelle giornate hanno risvegliato in molti la chiamata di Dio a consacrarsi definitivamente a Lui nella vita religiosa e nel matrimonio. Sono le pecore dell’ovile, ora bisogna andare alla ricerca di quelle che sono scappate, senza lasciarsi condizionare dai successi: è ciò che i giovani si aspettano.
D) Per qualcuno, invece, è un problema più grande a determinare questa conseguenza, qualcosa che riguarda proprio la Chiesa e la sua capacità di attrarre ancora i giovani?
R) Ciò che deve attrarre i giovani verso la Chiesa è la bellezza dell’annuncio cristiano. Non possiamo essere musoni, inquisitori, o peggio direttori di sala o benzinai. Tutti dobbiamo mostrare la bontà e la misericordia di Dio, come ha fatto il Padre misericordioso con il figliol prodigo. Siamo disposti ad attendere fiduciosi e senza rancore i fratelli che ritornano, cioè senza rinfacciare loro il male? Per il fratello ritrovato facciamo festa? Oppure ci limitiamo a un formale “bentornato”?
D) Papa Francesco a Cagliari aveva parlato del fenomeno dell’abbandono dopo la cresima nel contesto di “comunità dove la fede appare un po’ sbiadita, non molti fedeli partecipano attivamente alla vita della Chiesa, e si vedono dei cristiani a volte stanchi e tristi”. Quella che stiamo vivendo è una crisi irreversibile?
R) Il fatto è che la fede, non può essere vissuta in maniera tiepida. Lo ricorda il libro dell’Apocalisse: “magari fossi caldo, magari fossi freddo, ma poiché non sei né caldo né freddo, sto per vomitarti dalla mia bocca”. La confusione dei segni propri del cristianesimo, generati dalla poca trasparenza dell’annuncio, non permettono di comprendere che il messaggio di Gesù, è capace di trasformare la vita, perché – come ricordava Benedetto XVI – Cristo non toglie nulla all’uomo, Cristo dà tutto. Il bisogno del tutto, è ciò che i giovani cercano. Il tutto, non è qualcosa di astratto, è il Signore Gesù Risorto, con un volto, un nome, una proposta di conversione per vivere in pienezza l’umanità. Quando non avviene questa sinergia di vita, tutto fallisce, e il messaggio di Cristo diventa incomprensibile. Dunque non è in crisi la Chiesa, ma le modalità con cui ci presentiamo come Chiesa.
D) Tutto questo – dunque – va oltre il problema del linguaggio e delle modalità di approccio...
R) Siamo sicuri che quando parliamo di fede i giovani capiscono quello che diciamo? Nella cultura di oggi lo sviluppo del relativo crea come struttura fondante il provvisorio, l’effimero, che a sua volta si erge come modello di riferimento per le nuove generazioni. Anche il linguaggio a causa del diffondersi dei social network, subisce continui cambiamenti, facendo scivolare in una sorta di liquidità, l’interpretazione stessa della parola, così accade che ciò che per alcuni ha un significato per altri vuol dire l’opposto. La babele comunicativa, ha scardinato il valore della parola, rendendo il linguaggio complesso nella sua comprensione. Tutto ciò genera l’indebolimento della “comunicazione ecclesiale”, la quale se non è innaffiata dalla forza dello Spirito, diventa come una qualsiasi agenzia immobiliare in fallimento. Il prefetto della Casa pontificia, ha ricordato nelle scorse settimana, commentando lo stile pastorale di Papa Francesco, che il Pontefice non vuole cambiare la fede, ma i fedeli. È la sfida della Chiesa nell’era del Papa venuto “dalla fine del mondo”, per il bene dell’umanità.
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