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Il fine dell’educazione
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ATTUALITÀ - Mondo Voc ottobre 2013 Torna al sommario
EDUCAZIONE E SCUOLA, UN RAPPORTO A INTERMITTENZA
Il fine dell’educazione
Essere capaci di scegliere il bene senza costrizione
L’istituzione più importante per il futuro dell’umanità alla prese con mille urgenze e troppi dilemmi. Ma tra gli obiettivi irrinunciabili c’è davvero l’educazione? E cosa significa educare?
di Novella Caterina
Negli ultimi 15 anni la scuola è stata interessata da profondi cambiamenti organizzativi. La rivoluzione è arrivata con l’autonomia scolastica, sancita per legge, ed è stata attuata a colpi di riforme, riordini, tentativi – a volte forzati – di introdurre novità ef innovazioni perché - si dice – il mondo è cambiato e la scuola non può restare indietro. Giustissimo, a patto però che l’intento di accompagnare l’evoluzione del sistema scolastico non si trasformi in una corsa insensata verso il nuovo, nell’ottica delle economie di spesa, che perde di vista il ruolo fondamentale che gli è proprio. Il riferimento è ovviamente al ruolo educativo, che sebbene riconosciuto dalle norme e negli indirizzi politici ed amministrativi, a volte sfuma dietro le parole e perde consistenza. Non deve accadere, perché è di vite che parliamo quando tiriamo in ballo la scuola, è di futuro della società e del mondo.
Il compito della scuola
Educare contiene nella sua etimologia il verbo latino ducere che significa condurre. È un compito di grande responsabilità perché implica che alla base ci sia una strategia ragionata di un percorso da seguire, che da un punto di partenza porti all’arrivo, all’obiettivo, alla meta. E qual è questo traguardo? Non lo si può circoscrivere alla mera istruzione. La scuola insegna è vero, ma prima di tutto aiuta a crescere e a far sviluppare ai ragazzi le personali potenzialità, umane soprattutto, perché domani siano buoni cittadini, buoni genitori, buoni professionisti. Non solo bravi.
Non tutte le ciambelle vengono col buco
Sembra invece che il dibattito si concentri con più urgenza su temi di altra natura. Come ad esempio la diatriba tra conoscenze e competenze o la polemica tecnologie sì, tecnologie no. Il focus è sbilanciato sulla questione delle abilità che i ragazzi devono acquisire, come bagaglio esperienziale e sapienziale utile per il lavoro. Ma la scuola non serve solo a preparare professionisti. Serve a formare uomini, è la fucina del futuro di un Paese e della società.
E l’educazione? Chi se ne preoccupa? Questo aspetto, di solito, nelle scuole pubbliche è demandato alla buona volontà degli insegnanti che, mentre quando sono in classe devono preoccuparsi di trasferire nozioni o far emergere abilità pratiche, al ritmo incalzante dei programmi e dalla burocrazia, durante i pomeriggi curano i progetti di svariata natura. Così, per scovare attività di educazione alla cittadinanza, interculturale ecc. bisogna spulciare i piani delle offerte formative delle scuole. E se è vero che ormai tutti gli istituti offrono progetti educativi, è anche vero che il loro tenore cambia da scuola a scuola, da città a città, da regione a regione. Mentre sarebbe un diritto di tutti i ragazzi di Italia poter fruire di analoghi interventi educativi, ugualmente validi sotto il profilo qualitativo e quantitativo, come accade per quanto concerne gli aspetti nozionistici.
C’è da chiedersi, in sintesi, perché si studiano le scienze e la biologia, ma non è obbligatoria l’educazione ambientale o quella alimentare? Perché si studia il diritto e non l’educazione alla legalità? E perché, ad esempio, ci si adopera tanto per dotare le scuole di tecnologie e non si pensa – istituzionalmente – a completare l’opera prevedendo di dare spazio, nei programmi, alla media education? In sostanza, la preoccupazione è di far sì che i ragazzi escano dalle scuole capaci di sviluppare un’App, ma se poi sono cracker o cyberbulli, pazienza!
Le difficoltà della scuola pubblica
Questo esempio dà la misura del compito delicato e fondamentale che spetta alla scuola, naturalmente non in chiave solipsistica. Responsabilità, maturità, consapevolezza, umanità, sono le pietre miliari della strada da percorrere, le tappe da raggiungere nello sviluppo della personalità dei ragazzi.
Sicuramente sono molti gli insegnanti che nel loro piccolo, nella loro attività quotidiana non perdono mai di vista questi obiettivi e, anzi, li pongono al centro della loro didattica. Ma non basta. Non si possono lasciare tali iniziative alla buona volontà dei singoli. Occorre che diventino strutturali. La scuola pubblica, in questo momento soprattutto, è stritolata da una mole di problemi ideologici, organizzativi ed economici che ne stanno arrestando la crescita, una crescita di qualità. Frustrazione e rabbia di insegnanti e famiglie sono l’equivalente di un freno a mano azionato.
L’impegno della Chiesa
Il dialogo tra scuola ed educazione è rimasto centrale nelle scuole cattoliche, dove davvero il fulcro dei processi è la persona e dove l’obiettivo portante è quello di collegare ogni insegnamento con quei valori indispensabili a far maturare armoniosamente la personalità dei ragazzi e prepararli ad essere promotori e custodi del bene comune. Valori, sempre presenti – dalla campanella delle 8 a quella d’uscita - tangibili, che trovano la loro sintesi negli insegnamenti evangelici.
Dal Divini illius Magistri di Pio XI (1929), all’orientamento pastorale Educare alla vita buona del Vangelo(2012), passando attraverso la dichiarazione conciliare Gravissimun Educationis (1965), la Chiesa ha sempre affrontato la sfida educativa con grande attenzione e responsabilità, nell’intento di “guidare la libertà a diventare matura cioè capace di scegliere il bene senza costrizione”.
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