ORIENTARSI - Mondo Voc dicembre 2013 Torna al sommario
Animatore Vocazionale ovvero profeta
(e viceversa)
Partendo dall’autentico significato biblico di profeta, l’Autore compie un suggestivo accostamento con l’animatore vocazionale, a sua volta “profeta” in quanto cerca di aiutare un fratello a leggere il senso della sua storia personale nella direzione che Dio le sta dando. Compito esaltante ma difficile, esposto a rischi e fraintendimenti, ma per il quale vale la pena spendersi.
di Amedeo Cencini
I libri dei Profeti formano una unità nell’Antico Testamento, in cui sono facilmente riconoscibili due blocchi, quello dei Profeti cosiddetti maggiori (Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele) e poi dei minori (da Osea a Malachia). In realtà l’appellativo di profeta è dato anche ad altri: a Mosè (mai nessuno come lui), ma pure ad Abramo e poi a Samuele.
Poiché profeta, come sappiamo, non è l’annunciatore di un futuro remoto, ma uomo che opera e parla nel suo presente storico, intuendovi i segni dei tempi, attraverso il dono di un carisma divino. Suo compito è proprio quello di svelare il senso della storia umana secondo l’orientamento che l’azione divina le sta imprimendo. In termini vocazionali potremmo dire che il profeta è un animatore vocazionale (AV), come colui che cerca di aiutare un fratello a leggere il senso della sua storia personale nella direzione che Dio le sta dando.
Vediamo allora l’identità di questa figura come ci è consegnata dalle Scritture sante.
Colui che è chiamato e colui che chiama
E la prima nota è davvero interessante: la radice del termine ebraico, infatti, sembra identificare il profeta come “colui che è chiamato” e “colui che chiama”. Chiara, dunque, la natura vocazionale di questa figura così centrale nel panorama biblico. Ma ciò che colpisce è che prima di essere personaggio attivo, che dice, agisce, chiama e provoca… è lui stesso a fare l’esperienza della voce che lo chiama, e non solo all’inizio della sua missione, ma sempre, in continuazione, anche controvoglia o quando l’appello è duro, e ogni qualvolta il profeta deve intervenire per chiamare a sua volta.
Prima c’è l’intimità con l’Eternamente Chiamante, poi la missione che rende il profeta voce che chiama. Prima la mistica del sentirsi chiamare per nome, poi l’ascetica coraggiosa del chiamare nel nome del Signore. È una regola d’oro per ogni AV, di ogni tempo.
Uomo che ha visioni
È un altro significato della radice ebraica del termine (cf le visioni di Amos, Ezechiele, Zaccaria). L’espressione ci suona forse un po’ ambigua. In realtà vuole alludere a quella capacità del profeta di intuire il mistero della realtà e penetrare oltre la superficie degli eventi, alla scoperta del loro senso intimo e religioso.
Ed è un’altra sottolineatura vocazionale. L’AV è soprattutto questo “veggente dello spirito”, fratello/sorella maggiore che si pone a fianco del giovane per scuoterlo e risvegliargli i sensi, per aiutarlo a riconoscere la voce del Chiamante, a uscire dalla visione angusta e paurosa della vita, a darle una prospettiva ampia, oltre il soggettivo, il privato, l’interesse personale…, e aprirla agli orizzonti divini come salvezza dell’umano.
In un mondo che non ha più speranza e in una Chiesa che non ha più visioni quanto c’è bisogno di fratelli e sorelle visionari! Come papa Francesco, che con le sue visioni oggi è come un grande AV universale.
Uomo di Dio
Il profeta, infine, è anche per eccellenza “l’uomo di Dio” (titolo riservato specialmente a Elia ed Eliseo). Uomo che appartiene a Dio, col quale Dio parla come con un amico, “bocca a bocca” (è il caso di Mosè), che l’Eterno ha riservato per sé, affidandogli una missione straordinaria.
Ma è anche uomo cui in qualche modo Dio appartiene: quel Dio che non esita a definirsi “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe” o “dei vostri padri”, è anche il Dio dei suoi profeti, che li sostiene nella fatica di una missione impossibile, che li difende da nemici che li opprimono e vorrebbero ucciderli (vedi Geremia), che dà forza divina alla loro parola umana, che gli consente di presentarsi di fronte al popolo come profeti del Dio vivente, e di parlare “in suo nome”.
Più in particolare il vocabolo greco all’origine del termine, ha tre significati veramente interessanti. Il profeta è:
- ° “Colui che parla in nome di un altro”:
è il portavoce di Dio e della sua volontà, o colui che riceve un messaggio non suo esattamente per comunicarlo. Il profeta è un personaggio ispirato, che annuncia una parola trascendente e la riveste di carne, ossia di parole umane, spesso colorandola con la sua umanità, il suo stile, la sua esperienza…, per confermare quella parola, per rassicurare l’altro e dirgli che sì, vale la pena seguirla, assieme alla voce che chiama.
- ° “Colui che parla davanti ad altri”:
è il credente che proprio perché sa che quel messaggio non è suo, lo trasmette al destinatario e parla convincente al suo cuore; proprio perché sa che quel messaggio viene da Dio ha il coraggio di proclamarlo senza alcuna paura, guardando l’altro negli occhi, sapendo che esso possiede una sua intrinseca forza; proprio perché sa che quella parola gliel’ha affidata Dio se ne sente responsabile e non la tiene per sé, ma la comunica al chiamato, come parola dell’Eterno Chiamante.
° “Colui che parla prima di un evento”:
profeta non è solo colui che… commenta i fatti con le sue osservazioni, ma colui che legge la vita di una persona e la direzione che Dio le sta dando. Questa è proprio la funzione del vero AV, che nel presente del giovane intuisce, senza alcuna presunzione, la grazia della chiamata e di una chiamata particolare, ha il coraggio di dirglielo e la disponibilità ad aiutarlo nel discernimento. Ma è anche il suo rischio. Proprio per questo nessuno può improvvisare questo servizio o auto attribuirsi l’incarico; farebbe solo danni. Come ci sono stati i falsi profeti, così potrebbero esserci oggi falsi animatori vocazionali: faccendieri, preoccupati del numero, senza spirito e coraggio profetico, né rispetto per il piano di Dio e la libertà dell’uomo. Dio ce ne liberi!
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