ATTUALITÀ - Mondo Voc novembre 2013 Torna al sommario
INTERVISTA ALL’ESPERTO
All’origine dell’intolleranza
Modelli e sintomi di un atteggiamento che indica paura e insicurezza
Paola Medde, psicologa, psicoterapeuta, presidente dell’Associazione S.P.I.C.A.P. (Società Professionisti Italiani del Comportamento Alimentare e Peso) si occupa da più di 25 anni delle problematiche dell’adolescenza e dei disturbi specifici di questa età, collaborando con il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e Socializzazione dell’Università “
In passato ha curato corsi di Formazione per gli Insegnati e si è occupata di fenomeni di devianza, tossicodipendenza (in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità) e criminalità, con particolare attenzione alle bande giovanili (con il Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica dell’Università “
Attualmente svolge attività clinica a Roma e attività di formazione per la preparazione degli Psicologi.
di Novella Caterina
Domanda: Quali le origini dell’intolleranza in generale?
Non possiamo parlare di intolleranza senza parlare di pregiudizio, definito – qui cito lo psicologo statunitense Gordon Allport - come «atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una persona appartenente ad un gruppo, semplicemente in quanto appartenente a quel gruppo».
A causa della complessità della realtà sociale, abbiamo bisogno di organizzare e schematizzare l’ingente mole di informazioni di cui siamo bersaglio, per comprenderla e capirla. Non potendo permetterci il lusso di “perdere tempo”, siamo portati a generalizzare. Ciò avviene attraverso il processo cognitivo della “categorizzazione” che, con il minimo sforzo, ci permette di raggruppare degli oggetti o persone con caratteristiche comuni. Quando la classificazione e la generalizzazione sono sommarie e non suscettibili di revisioni, si arriva al pregiudizio.
Per poter parlare di intolleranza però, è necessario un passo ulteriore: l’inclusione in una categoria (es. razza bianca) e l’attribuzione di superiorità che nasce dal confronto (es. razza bianca migliore della nera). Di fronte alla diversità, la persona intollerante legge la differenza esistente in modo assoluto, traendo la conclusione che tutto ciò che fa parte del proprio mondo e vissuto interiore è la verità, è la cosa giusta, è il punto di riferimento assoluto, e tutto ciò che si discosta da questo è sbagliato, bisogna cambiarlo.
Domanda: Perché siamo intolleranti verso il prossimo, verso il “diverso” soprattutto?
La diversità spaventa perché ha a che fare con “l’ignoto”in generale. Tutto questo quindi può generare: paura dell’altro, paura di perdere potere, difficoltà di mettersi in discussione, difficoltà ad accettare di non avere più una verità assoluta, paura di confrontarsi e di perdere qualcosa, insicurezza, la nascita di un dubbio, il rinunciare a qualcosa in cui si era creduto da tanto tempo, la difficoltà ad accettare che un aspetto diverso dell’altro sia “dentro di noi”. Anziché accettare il fatto che possa esistere anche un altro modo di pensare, un altro modo di vivere, di credere, di vestirsi, di agire o di comportarsi, la persona intollerante comincia ad avere paura o a dubitare in ciò in cui ha fino ad allora creduto, vissuto, sperato; praticamente è come se gli stesse crollando un mondo che per lui era l’unico esistente fino a quel momento. L’intolleranza, in questa lettura, è lo strumento di controllo dell’ansia di un individuo debole ed insicuro.
Domanda: Quali sono i segnali, nei comportamenti dei nostri ragazzi, che devono preoccupare?
Dal punto di vista psicologico l’adolescenza è un momento “critico” per la nascita dell’intolleranza. Il giovane, che sta ancora formando la propria identità psicologica, ha più di altri la necessità di difendere la propria integrità, poiché è ancora in via di formazione. È più facile, in questa fase, sentirsi vulnerabili e dai contorni “poco definiti”. È frequente allora assumere posizioni egocentriche, narcisistiche, associate al senso di onnipotenza. Se poi si pensa di avere la verità assoluta e non relativa – basata cioè sul rispetto delle idee altrui - allora abbiamo l’intollerante. Pertanto in questo periodo, in particolare, quando ancora possiamo intervenire, dobbiamo osservare l’ atteggiamento dei ragazzi rispetto al “diverso” e fare attenzione alla presenza di vissuti emotivi quali: frequente incomprensione dell’altro, fastidio, tensione, risentimento, rabbia, mancanza di empatia. Ma soprattutto, la difficoltà ad aprirsi a gruppi eterogenei, la mancanza ad esempio di curiosità ed interesse nei confronti di ciò che non si conosce e, addirittura, la mancanza di domande atte ad approfondire argomenti dei quali si conosce poco. Tutti segnali, questi, che potrebbero fare pensare al rischio di “personalità intollerante”.
Domanda: Come si manifestano a scuola gli atteggiamenti di intolleranza verso gli altri? E in famiglia?
Possiamo osservare atteggiamenti di rigida adesione ai valori convenzionali tipici della classe media associata ad atteggiamenti di sottomissione acritica ad un capo (leader). Di contro, atteggiamenti opposti e compensatori quali: tendenza a respingere e punire chi viola i valori convenzionali, avversione per i compagni che hanno un animo gentile e disponibile, tendenza a pensare in rigide categorie ed identificazione con le figure del potere. Soprattutto, ribadisco, l’indisponibilità ad affrontare delle conversazioni in cui esiste un punto di vista difforme, manifestando fastidio nella discussione e ritrosia all’ascolto e al confronto.
Domanda: Quali sono i comportamenti sbagliati di genitori ed educatori? Quali gli atteggiamenti o le parole del quotidiano che favoriscono la nascita di questo sentimento nei ragazzi?
Da un punto di vista psicologico il processo di formazione della personalità affetta da pregiudizi è la risultante di uno stile educativo genitoriale caratterizzato da una disciplina rigida e intimidatoria, imposta dall’alto, dall’autorità parentale. Dato che i rapporti tra genitori e figli prevedono in questo tipo di famiglia, ruoli di dominio/sottomissione, ciò comporterà per il bambino il manifestarsi di una buona dose di ostilità e di aggressività nei confronti dei genitori. Ma poiché è impossibile scaricarla sui diretti interessati, il bambino la rimuove e la proietta all’esterno; i bersagli prescelti, in funzione della trasposizione del conflitto, saranno quelli ritenuti più deboli o inferiori, come i membri di gruppi devianti o di minoranze etniche.
Domanda: Quali le azioni educative nei confronti dei ragazzi?
Se la modalità autoritaria di dominanza/sottomissione genera intolleranza, il ruolo e l’atteggiamento che l’educatore deve ricoprire è quello di trasmettere ai ragazzi il valore dell’eguaglianza, seppur nella diversità. In poche parole: rispetto. Non solo a parole ma con i fatti.
Ciò significa dimostrare interesse per il loro mondo, comprensibile solo attraverso il dialogo bidirezionale. L’insegnante spesso si limita a dare e chiedere informazioni sulla sua materia ma raramente si sofferma a chiedere informazioni e notizie sulla vita del ragazzo. Lo esorta ad essere “conforme” ai suoi criteri e poco si interroga sui criteri dell’altro, sul loro modo diverso di vivere, di pensare, di relazionarsi.
In realtà, imparando dai loro modi nuovi e diversi di vivere, possiamo arricchire noi stessi interiormente ed evolverci tutti, avendo una mente aperta verso di loro e verso il loro modo di vedere. Per questo voglio fare un ringraziamento a tutti quei ragazzi incontrati nelle aule scolastiche o nel privato del mio studio. Sono stata “toccata” da ognuno di loro e grazie a loro ho potuto aumentare la mia conoscenza, superare i pregiudizi, modificare la mia visione e ricordare ciò che sono stata alla loro età. Grazie ancora.
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