DIVERSO PARERE - Mondo Voc novembre 2013 Torna al sommario
I CONSIGLI E LE STRATEGIE DI UNA RICCA ESPERIENZA QUOTIDIANA
Educare alla pace ogni giorno
Un esercizio che si pratica in famiglia
La famiglia può rivelarsi un ottimo ambiente per testare rapporti pacifici. Insegnando il rispetto dei tempi e degli spazi di ciascuno, il valore delle regole da osservare, l’importanza del perdono reciproco … la famiglia diventa un “laboratorio sociale” nella costruzione della pace, cominciando da quella “piccola” e “quotidiana”.
di Aldo Maria Valli
La pace si impara in famiglia
Ho sei figli, la cui età va attualmente dai ventotto ai quattordici anni, e quattro di loro vivono ancora in famiglia. Assieme a mia moglie ho dunque maturato una certa esperienza in fatto di convivenza e di strategie per il mantenimento della pace sociale. In effetti, mi chiedo perché le Nazioni Unite, invece di ricorrere ai caschi blu o agli alti diplomatici, non si rivolgano per le loro iniziative di pace alle famiglie numerose.
Prima di tutto: che cosa intendiamo quando diciamo pace? Risposta difficile, che si può riassumere così: intendiamo essenzialmente il rispetto di noi stessi e degli altri. Ma come garantire questo rispetto?
Qui incominciano i problemi. La mia esperienza mi dice che occorre fare i conti con due elementi essenziali per la vita di ciascuno di noi: il tempo e lo spazio. Rispettare se stessi e gli altri significa rispettare il tempo e lo spazio di cui ciascuno può godere. Può sembrare una risposta un po’ troppo semplice e forse anche troppo materialistica, ma voglio stare su un piano molto concreto.
Il segreto in tre parole: “permesso”, “grazie”, “scusa”
L’educazione al rispetto del tempo e dello spazio della persona si esercita sempre, ogni giorno, e lo si fa con gesti apparentemente banali, ma importanti. Recentemente papa Francesco ha detto che il segreto della pace in una famiglia sta nell’uso di tre parole: permesso, grazie, scusa. È proprio così! Chi usa queste tre parole ha imparato la lezione del rispetto, perché non mette al centro del mondo se stesso ma la relazione con l’altro, in modo pacifico, senza aggressività, senza invadenza, senza egocentrismo.
La famiglia è il luogo ideale per educare alla pace perché l’interazione è quotidiana e ravvicinata. In altri termini, è in famiglia che si impara (oppure, purtroppo, non si impara) la gestione del tempo e dello spazio nel rapporto con l’altro.
Rispettare il tempo e la spazio degli altri
Rifarsi il letto al mattino prima di andare a scuola, non lasciare i propri vestiti sparsi dappertutto, rimettere a posto accappatoio e asciugamano dopo la doccia, riporre le scarpe nella scarpiera, tenere in ordine libri e quaderni di scuola, chiedere alla mamma e al papà se hanno bisogno di aiuto nelle faccende domestiche quotidiane, supportare (e non solo sopportare) il fratello o la sorella che fanno i capricci …
Il rispetto del tempo e dello spazio degli altri è fatto di queste piccole-grandi attenzioni.
I bisticci sono inevitabili. Tempo e spazio, infatti, sono beni limitati e dunque il conflitto per il loro godimento è sempre possibile. Ma se la lezione del rispetto è stata interiorizzata si tratterà di un conflitto temporaneo, non permanente. Anzi, proprio il conflitto potrà essere occasione per ribadire le regole della convivenza pacifica.
Stare alle regole
Ecco: le regole. Senza regole, bisogna saperlo, non c’è pace. In famiglia come a scuola, nello sport come in parrocchia, il rispetto dell’altro si sostanzia attraverso il rispetto di regole. Le quali vengono assimilate se gli educatori hanno non solo e non tanto autorità, quanto autorevolezza. L’autorità si esprime attraverso ordini calati dall’alto e non giustificati, l’autorevolezza mediante l’esempio e la coerenza personale. La prima produce, quando va bene, schiavi e quando va male, rivolte. La seconda produce rispetto.
Il gioco, e dunque anche lo sport, è un ambito privilegiato in questo senso. Non si può giocare senza regole. Non a caso faticano molto a esprimersi attraverso il gioco quei bambini e quegli adolescenti che sono cresciuti senza conoscere il rispetto per il tempo e lo spazio dell’altro.
Il valore del perdono
E infine un’ultima parola, la cui importanza è veramente decisiva: perdono. Senza il perdono non c’è pace. Il perdono inteso non come colpo di spugna, non come cancellazione dell’esperienza, ma come purificazione della memoria (per usare una celebre definizione di Giovanni Paolo II), come disponibilità a voltare pagina senza lasciarsi intrappolare dal rancore, dal risentimento, dalla vendetta.
La capacità di perdonare e di lasciarsi perdonare può essere insegnata? Noi pensiamo di sì. Ancora una volta, conta soprattutto l’esempio. E poi noi cristiani abbiamo una vera arma segreta, l’unica che si possa usare per il mantenimento della pace. È la preghiera!
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