ORIENTARSI - Mondo Voc agosto-settembre 2013 Torna al sommario
I giovani, il Papa e il “dopo” GMG
Un bilancio critico e propositivo sul “fenomeno” GMG. Interrogativi e perplessità che fanno riflettere e interpellano in senso complessivo la pastorale della Chiesa nei confronti dei giovani, un faticoso e “ordinario” impegno quotidiano, lontano dai riflettori, che però. Alla distanza, “paga”.
di Sandro Perrone
Dopo che i riflettori si sono spenti sulle Giornate Mondiali della Gioventù celebrate a Rio de Janeiro, in Brasile, è lecito porsi qualche domanda e cercare di dare qualche risposta.
Una volta spenti i riflettori
È indubbio che i giovani siano stati attratti, e sono attratti, da Papa Francesco, e l’esperienza straordinaria di Rio lo dimostra, ma sembra anche altrettanto certo che molti, se non la maggioranza, poi non “perseverino” nella fede e nella pratica religiosa. In pratica – è questa la critica di fondo –, i giovani si radunano in questi mega-eventi e “celebrano” i loro “riti” giovanili che non sembrano dissimili da quelli che si vedono nei grandi concerti rock.
C’è un bisogno ineliminabile di “trovarsi”, di stare insieme, cantare, ballare, fare festa in mille maniere (non escluse quelle “proibite”, come sballo, droga, alcol, sesso, violenza), che servono a connotare i tratti di una “tribù”, quella giovanile, che sente ineluttabile il passare del tempo, troppo veloce (si fa presto a trovarsi adulti!) e vuole esorcizzare le paure del presente (lavoro, impegno, responsabilità). Non è raro il caso di notizie anche tragiche all’indomani dei mega concerti (si pensi soltanto ai rave party): sono lo scotto da pagare sull’altare della festa e dell’evasione ad ogni costo.
Il senso vero delle GMG
Le Giornate sono la stessa cosa? Indubbiamente c’è una buona dose di esagerazione e di prevenzione nell’accusa che viene mossa. Nessuno ignora i sacrifici di coloro che preparano l’evento (e si parla di migliaia di volontari, in larga maggioranza giovani) e di coloro che vi partecipano, che devono rinunziare a vacanze, ferie, divertimenti per poter “esserci”. Ma anche le lunghe ore di preghiera, di riflessione, meditazione, con sistemazioni molto spesso di fortuna e tra disagi notevoli. Perché lo fanno? Non è solo per il desiderio di poter dire: “C’ero anch’io!”, ma anche e soprattutto per incontrare altri giovani, altre esperienze, altri sguardi e altre visioni e, principalmente, per incontrare, tutti assieme, Lui, Papa Francesco, come prima Papa Benedetto e Papa Giovanni Paolo II.
In un mondo in cui la figura paterna e sempre più assente (“bisogna essere amici dei propri figli… parlare di tutto da pari a pari…” e sciocchezze simili), il Papa rimane l’ideale e concreta figura paterna capace di una parola forte e chiara, che chiama all’impegno, al coraggio di andare contro corrente, alla testimonianza del Vangelo senza vergogna e falsi pudori, a non lasciarsi sedurre dai falsi idoli di oggi e di sempre. Non è facile parlare in questo modo, soprattutto ai giovani, che saranno anche ingenui ma non stupidi.
I giovani chiedono una testimonianza trasparente
Papa Francesco che porta la propria borsa non vuole insegnare niente a nessuno: Lui è così e basta, non si preoccupa delle chiacchiere e delle critiche. Oggi, i giovani cosa cercano nel prete e nel religioso? Anzitutto la coerenza e la chiarezza, la capacità cioè di far seguire i fatti alle parole, pronunziate spesso con superficialità. Non si tratta di rispolverare il vecchio: armiamoci e partite!, ma di essere coerenti con le scelte che si fanno: meglio non parlare di Chiesa dei poveri se si vive da borghesi, o di nuova evangelizzazione e dell’andare nelle periferie, se ci si limita ad una catechesi asfittica e marginale!
Papa Francesco non ha avuto paura di dare un mandato molto impegnativo: “Gesù ha fiducia in voi e vi affida la sua stessa missione: andate e fate discepoli”; e ancora: “Non abbiate paura di quello che Dio vi chiede, vale la pena di dire sì a Dio: in Lui c’è la gioia”. Se un prete vuole educare veramente i giovani alla fede, deve dimostrare questo stesso coraggio, senza avere paura di sporcarsi le mani o di chiedere troppo. I giovani lasciano la Chiesa non perché chiede troppo, ma perché rimangono disoccupati e non sanno che cosa fare.
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