ATTUALITÀ - Mondo Voc aprile 2013                                                               Torna al sommario

 

 

 

Tempi e luoghi dell’accompagnamento vocazionale

L’esperienza di un formatore


Le dinamiche dell’accompagnamento vocazionale nel racconto dell’esperienza di un formatore. Sulla scorta delle vicende bibliche di Eli e Samuele, della vocazione del profeta Geremia e di quella della profetessa Anna, si snodano i percorsi e le peculiarità tipiche per accompagnare la chiamata da parte di Dio nelle varie età della vita.


di Rosario Graziosi

 

accompagnamento_vocDal profeta Geremia, consacrato fin dal grembo materno, al piccolo Samuele, chiamato dal Signore fin dai primordi del suo servizio all’ombra del sacerdote Eli; dall’adolescente del Vangelo di Matteo, invitato alla perfezione evangelica da Gesù in persona, alla profetessa Anna che vede il compimento della sua vocazione ad 84 anni: il soffio della chiamata di Dio non prevede criteri stabili e predeterminati nello spazio e nel tempo.

 

 

L’importanza dell’accompagnamento vocazionale

I seminari, sulla scorta dei citati esempi di Samuele e del cosiddetto “giovane ricco”, nascono dalla consapevolezza che il Signore può chiamare in età giovanissima, adolescenziale. Coltivare i germi vocazionali, in un luogo idoneo e in una stagione della vita nella quale si avvertono i primi segnali, parte dalla certezza che l’accompagnamento vocazionale è fondamentale quando la voce di Dio viene percepita già con una certa chiarezza in tenera età. Proprio come Eli, la cui esperienza al Tempio gli permette di discernere la volontà di Dio sul fanciullo Samuele e, di fatto, gli suggerisce la risposta da dare a quell’invito, la quale risposta è, allo stesso tempo, tutta di Eli e tutta di Samuele: da quel giorno, infatti, colui che diventerà una delle più sagge guide nella storia biblica non lascerà andare a vuoto (alla lettera “cadere a terra”) neppure una delle parole del Signore. A dimostrazione che dopo l’accompagnamento, la responsabilità diventa personale e coscientizzata.

 


Il ruolo della vita in comunità

comunit_seminaristiLa mia vocazione è cresciuta nel seminario minore dei Padri Rogazionisti di Napoli, nel quale la Provvidenza mi ha donato di abitare prima in veste di candidato per il discernimento personale dalla mia prima adolescenza, e poi come Responsabile della formazione. I primi fuochi, le prime intuizioni di dedizione massima per il prossimo, i primi sogni missionari, vanno da subito intuiti e accompagnati e l’esperienza comunitaria del seminario può diventare molto proficua e determinante.  

 

Anche perché, da subito, un ambiente che raccoglie ragazzi con i medesimi ideali diventa insieme possibilità di confronto e di sana competizione, nella ricerca del bene da una parte e, dall’altra, aiuto a smussare i lati caratteriali più difficili che emergono con forza proprio nella fase adolescenziale. Quanto bene mi ha fatto, dai 14 ai 16 anni, convivere con ragazzi provenienti da varie parti d’Italia e confrontarmi quotidianamente, anche quando, ricordo bene, mi facevano notare che in genere i nostri discorsi si chiudevano sempre con un’ultima parola che doveva essere la mia, tanto da diventare proverbiale il fatto che “Rosario deve dire sempre l’ultima!”. Il quotidiano essere “macerati” attraverso le osservazioni dei compagni e dei formatori è una delle cose che maggiormente ha aiutato la mia crescita umana e spirituale.

 


Comunità giovanili e giovani adulti

comunit_gv_e_adultiAltresì, mi sento di dire con una certa libertà, l’esperienza del seminario minore deve confrontarsi con gli altri due paradigmi vocazionali citati in apertura. Ovvero la chiamata fin dal grembo materno nel caso di Geremia e quella di ultraottantenne avvenuta per la profetessa Anna. La sorpresa di Dio e la sua libera iniziativa spinge i formatori dei seminari ad essere sempre vigilanti sulla possibilità che lo Spirito possa far fermentare in persone adulte, anche oltre ogni limite di età, germi di vocazione che in loro abbiano avuto un terreno di semina e di macerazione fatto di strada, lavoro, impegni di vario genere, maturati in un impulso fecondo di dedizione al servizio di Dio.

 

In questo caso, accanto al seminario minore, fioriscono le comunità giovanili, luoghi di accompagnamento vocazionale per giovani adulti, non più propriamente nel fiore dell’età cronologica, ma ugualmente nel fiore del risveglio vocazionale, maturato magari con maggiore consapevolezza, dopo le alterne vicende della propria esperienza personale di vita. Nella mia esperienza di formatore le realtà del seminario minore hanno sempre avuto accanto, a volte in maniera preminente, proprio comunità di questo genere. I giovani che sono passati in queste comunità hanno portato un respiro nuovo e un modo di vedere le cose davvero diverso dai cammini formativi proposti, cosa che, non poche volte, mette in crisi in senso positivo gli stessi educatori: per quanto mi riguarda questa novità mi ha coinvolto e sconvolto parecchio.

 


Sapiente flessibilità nelle forme di accoglienza

accoglienzaRitengo che i programmi vocazionali dovrebbero essere quelli più soggetti a revisione e adattamento, senza pretendere di aver mai trovato una soluzione che “funziona”. I contesti sociali e culturali, le tappe della vita e della maturazione umana e affettiva, l’altalena delle emozioni, ma soprattutto la misteriosa e imprevedibile, sovrana e incalcolabile volontà di Dio nel donare la grazia della vocazione, mettono fuori gioco ogni nostra iniziativa programmatica.

In questi anni di lavoro nel campo della formazione nel seminario minore e comunità giovanile, ho vissuto il dibattito sulla tipologia di accoglienza: se vivere in maniera residenziale fin dal primo anno delle scuole superiori oppure aspettare al terzo-quarto anno di liceo per accogliere i ragazzi.

 

La mia piccola esperienza di questi anni mi porta a sostenere l’accoglienza dei ragazzi adolescenti a partire almeno dai 16-17 anni di età, e non prima, dal momento che la preadolescenza è più naturale viverla nel proprio grembo familiare e nell’ambiente di socializzazione, nel quale fare le esperienze “vocazionali” nella quotidianità della vita e nel proprio ambiente di crescita. Non è detto, però, che giovani adulti accolti per il discernimento abbiano già maturato integralmente gli eventuali germi vocazionali e abbiano bisogno, quindi, di un accompagnamento più incisivo.

 


Due sicuri criteri evangelici

L’icona evangelica della chiamata dei primi discepoli, che leggiamo nel Quarto Vangelo, può sintetizzare quanto abbiamo cercato di esprimere. Nelle prime battute, l’evangelista Giovanni esprime lo stile dell’animazione vocazionale di Gesù in due modi. Annota il tempo preciso in quell’incontro che trasforma la vita (“erano circa le quattro del pomeriggio”) e non menziona il nome del secondo dei due discepoli che seguono il Maestro, a voler indicare il coinvolgimento personale di ogni lettore. Sono questi i due criteri stabili e sicuri, perché evangelici: far coincidere il tempo cronologico della chiamata con la conferma dell’adesione interiore e sentirsi chiamati in prima persona, senza condizionamenti di sorta. D’altronde sono i due criteri per poter dire di essersi veramente innamorati!

 

 

 

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