ATTUALITÀ - Mondo Voc aprile 2013 Torna al sommario
“Sacerdoti non si diventa da soli”
Insegnamenti e ricordi dei Pontefici
Una carrellata, tra il filo dei ricordi, il racconto di esperienze personali e alcune note di insegnamento magisteriale, sulla formazione al sacerdozio. Accenti, sottolineature, richiami che delieano i tratti caratteristici del sacerdozio ministeriale.
di Salvatore Izzo
La Lettera ai seminaristi di Benedetto XVI
“Il seminario è una comunità in cammino verso il servizio sacerdotale. Con ciò, ho già detto qualcosa di molto importante: sacerdoti non si diventa da soli. Occorre la ‘comunità dei discepoli’, l’insieme di coloro che vogliono servire la comune Chiesa”. In uno dei documenti più personali del suo Pontificato, la Lettera ai seminaristi del 18 ottobre 2010, Benedetto XVI rende onore ai Centri di formazione dove le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa dovrebbero trovare – ma non sempre accade – un habitat che favorisca il loro armonico sviluppo. Nella sua Lettera, Joseph Ratzinger ricorda che nel dicembre 1944, quando fu chiamato al servizio militare, il comandante di compagnia gli domandò a quale professione aspirasse per il futuro. “Risposi – scrive – di voler diventare sacerdote cattolico. Il sottotenente replicò: ‘Allora Lei deve cercarsi qualcos’altro. Nella nuova Germania non c’è più bisogno di preti’. Sapevo che questa ‘nuova Germania’ era già alla fine, e che dopo le enormi devastazioni portate da quella follia sul Paese, ci sarebbe stato bisogno più che mai di sacerdoti”.
“Oggi – rileva però il Papa Emerito – la situazione è completamente diversa. In vari modi, però, anche oggi molti pensano che il sacerdozio cattolico non sia una ‘professione’ per il futuro, ma che appartenga piuttosto al passato. Voi, cari amici, vi siete decisi ad entrare in seminario, e vi siete, quindi, messi in cammino verso il ministero sacerdotale nella Chiesa Cattolica, contro tali obiezioni e opinioni. Avete fatto bene a farlo. Perché gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che ci si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale, per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere presenti e rendere efficaci i criteri della vera umanità”.
La vocazione “Dono e mistero” per Giovanni Paolo II
“La definitiva maturazione della mia vocazione sacerdotale – racconta anche Karol Wojtyla nel diario sulla sua vocazione, pubblicato nel volumetto ‘Dono e mistero’ – avvenne nel periodo della seconda guerra mondiale, durante l’occupazione nazista. Una semplice coincidenza temporale? O c’era un nesso più profondo tra ciò che maturava dentro di me e il contesto storico? Nei piani di Dio nulla è casuale. Ciò che posso dire è che la tragedia della guerra diede al processo di maturazione della mia scelta di vita una colorazione particolare. Mi aiutò a cogliere da un’angolatura nuova il valore e l’importanza della vocazione.
Di fronte al dilagare del male ed alle atrocità della guerra mi diventava sempre più chiaro il senso del sacerdozio e della sua missione nel mondo”. “Durante il periodo dell’occupazione – ricorda il futuro Giovanni Paolo II – l’arcivescovo metropolita sistemò il seminario, sempre in forma clandestina, presso la sua residenza. Ciò poteva provocare in ogni momento, sia per i superiori che per i seminaristi, severe repressioni da parte delle autorità tedesche. Soggiornai in questo singolare seminario, presso l’amato principe metropolita, dal settembre 1944 e lì potei restare insieme ai miei colleghi fino al 18 gennaio 1945, il giorno, o meglio la notte, della liberazione”. Tra i ricordi più belli di quei giorni, il Papa polacco segnala il suo incontro con un sacerdote che divenne per lui una figura di riferimento importante. L’arcivescovo, ricorda, “ci aveva presentato fin dall’inizio un giovane sacerdote, che sarebbe stato il nostro padre spirituale. Si trattava del padre Stanislaw Smolenski, laureato a Roma, uomo di grande spiritualità”.
Un tempo unico, irripetibile e decisivo
“Carissimi, ricordate che il periodo del Seminario è unico, irripetibile, decisivo per il vostro futuro ministero. Approfittatene per mettere alla base della quotidiana preparazione una forte spiritualità, che si alimenti ad una solida pietà eucaristica, cristocentrica e mariana. Lasciatevi permeare sempre più in profondità dalla novità del Vangelo, e sul gioioso annuncio del messaggio cristiano improntate il vostro programma di vita”, raccomandò lo stesso Giovanni Paolo II ai seminaristi di Brescia, in occasione della sua visita pastorale del settembre 1982, soffermandosi in particolare sulla pietà mariana che aveva accompagnato la vocazione del suo predecessore, Giovanni Battista Montini, che proprio in quella città aveva maturato la propria vocazione sacerdotale, e si recava quasi tutti i giorni nel Santuario della Madonna delle Grazie, “fanciullo ancora e poi ragazzo e giovane, per pregare, riflettere, aprire l’animo ai grandi ideali che cominciavano a dischiuderglisi dinanzi. Qui in particolare, egli maturò la decisione fondamentale della sua vita, il ‘sì’ alla divina chiamata al sacerdozio”. Una frequentazione ricordata dallo stesso Paolo VI, sottolineò Papa Wojtyla, con parole soffuse di nostalgia: “in quel pio domicilio, casa e chiesa, di culto mariano, maturò la nostra giovanile vocazione sacerdotale”.
Il sacerdozio nel pensiero di Paolo VI
E sabato 12 giugno 1971, ricevendo alunni e superiori del Pontificio Collegio Pio Latino Americano e dei Pontifici Collegi Teologico e Filosofico di Propaganda del Pontificio Collegio Beda, del Pontificio Collegio Pio Brasiliano, e un gruppo di sacerdoti e seminaristi dell’Ecuador, che si apprestavano a tornare in Patria, terminati gli studi, proprio Paolo VI apparve emozionato fin quasi alle lacrime. “Nel contemplarvi qui, davanti a Noi, una intima trepidazione ci prende; ci commuove il pensiero di che cosa sarete, di che cosa farete domani; ma ci conforta tanto il sapere che, in qualunque ministero siate destinati, voi sarete i fedeli continuatori di Cristo in mezzo agli uomini, per la gloria di Dio: per mezzo vostro, Cristo continuerà a pregare il Padre, a immolarsi nel Sacrificio eucaristico, a santificare le anime col contatto della sua grazia, che avete ricevuto per l’imposizione apostolica delle mani; per mezzo vostro, Cristo continuerà a predicare, ad annunziare il piano della salvezza messianica, a prediligere i piccoli, i giovani, i sofferenti”.
Una solida e completa preparazione al ministero sacerdotale
“Desideravo visitare un seminario ed incontrarmi con voi – confessò invece Giovanni Paolo II ai futuri preti di Philadelfia il 3 ottobre 1979 in occasione della sua prima visita pastorale negli Stati Uniti – per dire a tutti i seminaristi del mondo quanto siete importanti per me, e quanto siete importanti per il futuro della Chiesa: per il futuro della missione che Cristo ci ha affidato”. “Voi – assicurò – occupate un posto speciale nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Nelle vostre vite c’è una grande promessa per il futuro dell’evangelizzazione. E voi ci date la speranza che il rinnovamento autentico della Chiesa, che ha avuto inizio con il Concilio Vaticano II, darà i suoi frutti. Ma perché questo avvenga, bisogna che in seminario riceviate una solida e completa preparazione”.
L’insegnamento della parola di Dio e la disciplina
In quell’occasione, il Papa polacco riassunse efficacemente il senso di tante istruzioni e provvedimenti vaticani sulla materia.
“Se i seminari devono compiere la loro missione nella Chiesa, due attività nel programma generale del seminario – spiegò – sono assolutamente necessarie: l’insegnamento della parola di Dio e la disciplina. Se voi, seminaristi di questa generazione, dovete essere preparati adeguatamente a ricevere l’eredità e la sfida del Concilio Vaticano II, avete bisogno di essere ben formati nella parola di Dio. E in secondo luogo, il seminario deve fornire una sana disciplina per preparare a una vita di servizio consacrato secondo l’immagine di Cristo”.
Per Papa Wojtyla, “quando la disciplina è applicata nel modo dovuto, essa crea una atmosfera di raccoglimento che mette in grado il seminarista di sviluppare interiormente quegli atteggiamenti che sono tanto desiderabili in un sacerdote, come l’obbedienza gioiosa, la generosità, l’abnegazione”. “Nelle varie forme di vita comunitaria che sono proprie del seminario, si impara – elencò – l’arte del dialogo: la capacità di ascoltare gli altri e di scoprire la ricchezza della loro personalità e l’abilità di darvi. La disciplina del seminario, anziché diminuire la vostra libertà, la rinforzerà, perché vi aiuterà a sviluppare in voi stessi quelle caratteristiche e quegli atteggiamenti di mente e di cuore che Dio vi ha dati e che arricchiscono la vostra umanità e vi aiutano a servire il suo popolo più efficacemente. La disciplina vi aiuterà anche a ratificare giorno per giorno nel vostro cuore l’obbedienza che dovete a Cristo e alla sua Chiesa”.
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