ORIENTARSI - Mondo Voc marzo 2013 Torna al sommario
Fratelli Maccabei,
ovvero la forza della fede combattiva
La vicenda biblica dei fratelli Maccabei è paradigmatica per quei credenti che oggi sentono la loro fede cristiana minacciata ed emarginata, ma forse ancor più, in maniera strisciante, resa evanescente e talvolta derisa. Occorre riscoprire l’orgoglio e la fierezza della propria fede in Gesù Cristo, per una nuova testimonianza e un nuovo annuncio del Vangelo
di Amedeo Cencini
È sorprendente, nella storia dei fratelli Maccabei, l’assoluta fedeltà con cui, alla morte del padre Mattatia, uno dopo l’altro, Giuda, Gionata, Simone conducono la stessa battaglia col coraggio di chi crede in una grande idea. Una battaglia comune, in cui non c’è spazio per arrivismi personali e rivalità interne, e ove – al contrario – tutti sono uniti per combattere contro il nemico che vuol distruggere Israele, la sua fede, le sue usanze e leggi. È un momento di grande rilievo per la sopravvivenza d’Israele non solo come entità storica, ma come popolo che Dio s’è scelto.
Tale evento forse ha qualcosa da dire anche a noi, oggi…
Tempo di lotta
Sgomberiamo subito il campo da ogni equivoco di vittimismo e pessimismo, come se la realtà che ci circonda fosse solo a noi negativa e fossimo tornati indietro ai tempi del Colosseo e delle persecuzioni. Non è così. Ma chi potrebbe negare oggi che il popolo dei credenti, figlio d’Israele, è alle prese con una storia che sembra a volte non riconoscerli, con una cultura che pare emarginarli/estrometterli, con una politica che vorrebbe rinchiuderli nelle sacrestie (o in qualche catacomba), con una modernità che li sente come residuo di un passato che non è più? Chi potrebbe negare che questo popolo è ancora oggi chiamato a lottare?
Non certo nei termini cruenti e bellicosi della vicenda dei Maccabei, ma in quelli soft and light, educati ed eleganti, di una pressione che a lungo andare ti può anche schiacciare. La fede non è forse combattiva per natura sua? In tal senso le Scritture sante ci sono di grande aiuto. Indicandoci alcuni atteggiamenti validi un tempo e pure oggi, che sono come una vocazione alla quale oggi Dio ci chiama, una vocazione universale, per tutti.
Vigilanza
Anzitutto rendercene conto. Sorprende e sconcerta, nel dramma di Israele, l’atteggiamento di molti che nemmeno si accorgono di quanto sta capitando e del rischio di smarrire, a opera del re straniero, quella “fede dei nostri padri” in cui ogni israelita riconosceva identità e radici.
Non sono tanto diversi quei credenti, oggi, che non si accorgono nemmeno di tutti quei tentativi, messi in atto da varie agenzie culturali-ideologiche o politico-sociali, per togliere credibilità alla fede e qualsiasi fondamento all’atto credente. Ci siamo molto risentiti con quei politici miopi/strabici o corti di memoria che hanno voluto negare le radici cristiane dell’Europa, e non ci accorgiamo di chi oggi queste radici tenta in modo nascosto e sistematico di tagliarcele di nascosto, sotto i piedi, nella vita di ogni giorno, in nome della libertà di pensiero o di azione, o ridicolizzando la fede e le sue manifestazioni, o proponendoci – sottilmente seduttivo e ammiccante – criteri di giudizio, punti d’interesse, linee di pensiero, modelli di vita vuoti di senso e in contrasto con quella Parola di Dio che è la radice della nostra fede.
Ma perché il credente a volte è così distratto o ingenuo, addormentato e superficiale, debole e manipolabile?
Responsabilità
Un’altra limpida lezione che ci viene dall’atteggiamento dei Maccabei è il coraggio di agire, senza paura, con grande determinazione. Mattatia e Giuda, come Gionata e Simone, non temono di reagire di fronte al tentativo del potente di turno di togliere ogni traccia di Dio e del culto a lui dovuto.
Intendiamoci, non si tratta di fare oggi alcuna crociata, ma dovrà pur essere capace il credente di non tacere, ma di dire la propria fede, di dare ragione – a parole e non solo – della speranza e certezza che è in lui, e di saper rispondere a chi l’attacca per distruggere la logica credente, di rivendicare la dimensione ragionevole della fede, come punto più alto della capacità riflessiva dell’uomo, in grado di aprirsi al mistero. Il credente è respons-abile della fede, ovvero abile/capace di rispondere.
Abbiamo forse per troppo tempo idealizzato l’immagine equivoca del credente umile e mansueto, senza accorgerci che a volte finiva per esser anche un po’ ebete e sprovveduto, o semplicemente ignorante e pauroso. La verità è mite e persino debole, poiché non si impone in alcun modo, ma questo non consente a nessun credente di lasciare che venga calpestata senz’alcuna sua reazione, o di lasciare che solo qualcuno debba pensare alla difesa o all’annuncio della fede.
Certezza
Infine c’è ancora un dato comune nello stile di questi combattenti della fede d’Israele: la certezza della protezione dell’Altissimo, la convinzione che in ballo non c’è semplicemente la vittoria su un nemico, ma una storia di salvezza che Dio sta facendo col suo popolo e che porterà avanti nonostante la povertà dello strumento umano di cui si serve (vedi le forze di cui dispone Israele sempre inferiori a quelle del nemico).
Così è o dovrebbe essere anche oggi per noi, purtroppo molte volte frenati da una strana paura o da un imbecille rispetto umano che ci rendono muti e smarriti, quasi intimoriti dinanzi al potere delle forze del male, o di chi si contrappone al credente. E invece, non è forse quello il momento in cui sperimentare quella potenza della Grazia che si manifesta nell’umana debolezza? In ogni caso il cristiano non può essere un fifone, né un depresso, o uno che ha il complesso di inferiorità, né un imbranato, un imboscato, un timido, quando si tratta di annunciare la buona novella… E questo per una sola ragione: perché sa che Dio è con lui per combatter assieme la sua battaglia.
L’evangelizzazione parte da questa convinzione. Ed è nuova evangelizzazione nella misura in cui ogni credente la assume come la sua propria vocazione.
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