ATTUALITÀ - Mondo Voc marzo 2013 Torna al sommario
LA FELICITÀ È ALLA PORTATA DI TUTTI
Il paradosso di Easterlin
… e altre teorie sulla felicità
Che la ricchezza non dà la felicità non è solo un modo di dire, ma anche una teoria economica empiricamente dimostrata. E allora, se non sono i soldi, cosa rende felici le persone?
di Novella Caterina
“Tutti gli uomini vogliono essere felici - asseriva Seneca - ma nessuno riesce a vedere bene cosa occorra per rendere la vita felice”. Filosofi, scrittori, artisti di ogni epoca hanno provato a trovare una definizione (“felicità è amare” diceva Hesse, “è esercitare liberamente il proprio ingegno” asseriva Aristotele, “risiede nelle virtù” sosteneva Seneca) eppure l’idea di felicità che comunemente è condivisa dalla gente c’entra poco con gli aforismi.
La relazione tra ricchezza e felicità
Il moderno concetto di felicità risiede nella ricchezza. È raro oggigiorno vedere qualcuno che gioisce nel profondo se al risveglio vede un bel sole in cielo e riconosce in questo miracolo, che ogni mattina si ripete, la presenza di Dio nella vita. È più facile vedere qualcuno con un sorriso immenso per aver vinto una somma al gioco.
Sembrerebbe quindi che ciò che fa la felicità sia potersi assicurare una disponibilità di denaro sempre maggiore per potersi permettere sempre più cose. A riprova di quanto appena detto è il fatto che oggi, in Italia, la maggior parte delle persone dichiara di sentirsi infelice e giustifica questo stato d’animo ricollegandolo al difficilissimo momento economico che stiamo vivendo. Paura del domani, impossibilità a soddisfare anche piccoli desideri, rinunce e sacrifici creano ansia, depressione, in una parola infelicità.
Questo confermano gli studi statistici condotti nel nostro Paese e in quelli cosiddetti sviluppati. E qui arriva la prima sorpresa. Con riferimento alle nazioni povere del mondo si apprende che le persone si sentono e si dichiarano felici anche con poco.
Da questa evidenza si potrebbe dedurre che la felicità sia un concetto variabile, legato molto al contesto in cui si vive. Se nei paesi in via di sviluppo è qualcosa che prescinde dall’avere, nei paesi industrializzati è un valore direttamente proporzionale alla ricchezza. In sintesi, più si hanno soldi, più si può essere felici. Almeno così è nell’immaginario collettivo. Eppure la scienza confuta questo assunto.
La felicità da denaro è una U rovesciata
L’economista scozzese Adam Smith dimostrava che l’uomo lavora giorno e notte per acquisire talenti superiori ai suoi concorrenti, spinto dall’idea ingannevole che il ricco sia più felice o che possieda maggiori mezzi per la felicità, mentre in realtà trascorre la vita senza avere un attimo di tranquillità, divorato dall’ansia di perdere tutto e dalla smania di accumulare sempre di più, rinunciando di fatto al tempo per sé e per le relazioni.
Anche Sigmund Freud si è cimentato nel dare un fondamento scientifico all’idea che la felicità derivante dall’accumulo è effimera. Scriveva infatti: “quello che si chiama felicità, nel senso più stretto, corrisponde all’improvviso appagamento di bisogni accumulati e, per la sua stessa natura, può esistere soltanto come fenomeno episodico”.
A fare di queste deduzioni un vero e proprio filone dell’economia è, nel 1974, l’economista Richard Easterlin. Questi elabora il cosiddetto paradosso della felicità, secondo cui l’aumento di reddito individuale produce una maggiore felicità iniziale. Raggiunta una certa soglia però, questa felicità non solo non aumenta più, ma addirittura diminuisce. Ha praticamente l’andamento di una U rovesciata. Lo stesso concetto il cardinal Ravasi lo sintetizzava nella frase: “ se vuoi essere felice per un anno vinci alla lotteria”.
Le ragioni di questo paradosso risiedono principalmente in due fenomeni. Il primo è quello dell’adattamento. La soddisfazione che si prova quando si acquista un nuovo bene è momentanea, poi ci si abitua a quel bene e la soddisfazione provata svanisce. Il secondo fenomeno è legato strettamente al primo. Per continuare a provare soddisfazione (quindi sentirsi felici stando alla definizione del dizionario che, alla voce relativa recita: condizione di pieno appagamento) bisogna alzare il livello di ambizione ogni volta. Se, ad esempio, acquisto un cellulare nuovo, passando da uno di vecchia generazione ad uno smartphone, provo soddisfazione, sono felice. Poco dopo entrerò nel circolo dell’assuefazione a quel bene, che porterà la mia soddisfazione, quindi la mia felicità a diminuire. Per provare ancora quell’emozione di gioia dovrò comprare un altro smartphone, più prestante del precedente.
L’altra faccia della felicità
Se quindi è vero, come dimostrano gli studi, che non è il denaro a rendere felici, allora cosa rende felici?
Tutte le spiegazioni al paradosso di Easterlin impongono di considerare nel novero delle cose che rendono felici anche le relazioni interpersonali. Rispetto a queste, il fenomeno dell’adattamento e quello conseguente delle maggiori aspirazioni hanno un impatto più debole. Il matrimonio, i figli, le amicizie, il dedicarsi agli altri attraverso il volontariato … danno soddisfazioni che, sebbene nel tempo tendano comunque a diminuire, sono più durature di quelle derivante dall’acquisto di beni di consumo. E, a pensarci bene, sono alla portata di tutti.
Copyright © La riproduzione degli articoli di MondoVoc richiede il permesso espresso dell'editore