LETTERE - Mondo Voc gennaio 2013 Torna al sommario
Accattonaggio: elemosina o “racket della povertà”?
Femminicidio e cultura “machista”
Risponde Padre Sandro Perrone
Accattonaggio: elemosina o “racket della povertà”?
Caro Padre, non saprei a chi altri manifestare il mio disagio dinanzi ad un fenomeno che, a parer mio, sta diventando molto grave; mi riferisco all’accattonaggio, che diventa sempre più diffuso e insistente. In un primo tempo, ai semafori, c’erano solo i venditori di fazzoletti e quelli che a tutti i costi volevano pulirti il parabrezza. Oggi ci sono accattoni dovunque, in metropolitana, sui treni interurbani, ai vari crocicchi e, soprattutto direi, alle porte delle chiese. Secondo me, non si tratta di essere “cattivi” o poco cristiani: questa genta vive e prospera mendicando: non sono “poveri” e sfruttano la compassione della gente facendosi accompagnare da figli piccoli e piccolissimi. Lei che ne pensa.
Un lettore “perplesso”, di Milano
Caro lettore “perplesso”, il fenomeno dell’accatonaggio è sempre esistito e non è stato certamente inventato ai nostri giorni. Ma oggi assistiamo ad una vera e propria “esplosione” di poveri o di “finti poveri”. Alcune inchieste, serie ed informate, hanno documentato, infatti, che esistono delle vere e proprie organizzazioni criminali che hanno in mano il “racket della povertà”, che gestiscono con stampo manageriale, assoldando uomini e donne, soprattutto bambini, spesso piccolissimi, oltre che mutilati di ogni specie. Questo esercito di poveri non riceve che una misera parte del proprio lavoro: il grosso del guadagno va tutto ai caporioni. Non è difficile, d’altra parte, vedere al mattino dei macchinoni che scaricano tutti questi poveri, piazzandoli nei punti strategici; e la sera, le stesse persone passano a racciogliere i loro lavoratori. Che fare?, mi chiede. Non è facile né semplice rispondere, dato che il problema investe più l’ordine pubblico che non la religione. Sicuramente ci vorrebbe un controllo più accurato del territorio e delle persone non in regime poliziesco, ma con osservatori della povertà; l’assistenza sociale dovrebbe verificare la situazione di queste persone, soprattutto dei minori, in modo particolare per evitare qualsiasi genere di abusi e il rispetto delle norme basilari del vivere civile, a cominciare dall’obbligo scolastico. I cristiani, poi, potrebbero fare molto di più di quello che già fanno; penso, per esempio, con il coordinamento delle varie agenzie di assitenza, a cominciaere dalla Caritas, a livello parrocchiale, diocesano, nazionale. I singoli, poi, si possono impegnare nelle varie forme di volontariato e, all’occorrenza, secondo coscienza: se credono di poter dare un’elemosina, bene; ma se sentono puzza di truffa o di sfruttamento, vadano tranquillamente per la loro strada.
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Femminicidio e cultura “machista”
Caro Padre, credo che non sarà passato inosservato un fatto molto grave, che mi sembra vada peggiorando ogni giorno di più. Mi riferisco a quello che i giornali, con pessimo termine, hanno definito “femminicidio”. Non può non colpire tutta questa violenza contro le donne, molto spesso nello stesso ambito familiare. Gli uomini, i “maschi”, sembrano non accettare che una donna, una “femmina” ragioni con la sua testa, che possa prendere decisioni e strade che a loro non piacciono; e quando questo avviene, si scatena una violenza brutale, che non di rado arriva fino all’uccisione, al “femminicidio”, per l’appunto. Secondo lei, da che cosa dipende?
Anna Maria M., Firenze.
Cara Anna Maria, un vecchio proverbio recitava: “Chi semina vento raccoglie tempesta”. Il fenomeno a cui accenni, che purtroppo dura da troppo tempo e che non accenna minimamente a finire, a parer mio è il risultato di una cultura che, esaltando la libertà e l’autonomia della donna (indipendentemente dalla sue scelte, buone o cattive, riprovevoli o meno), ha messo in grave crisi l’uomo, il “maschio” (come tu ti esprimi). Abituato per secoli ad essere il padrone assoluto della e nella famiglia (non dimenticare che il pater familias romano aveva addirittura il potere di vita e di morte), quasi improvvisamente si è ritrovato privo del suo “ruolo” di padrone e non ha accettato (e non accetta) di essere messo da parte (secondo lui). Non ritiene che la pari dignità sia un valore, ma la ritiene un’offesa personale, da lavare anche con il sangue. Espressioni come “o con me o con nessuno”, sono l’indice inequivocabile di un’incapacità di accettare la realtà che è cambiata e continua a cambiare ogni giorno. L’unico rimedio possibile è quello di educare i bambini e i ragazzi al rispetto reciproco, all’accettazione dell’altro comunque sia. Le persone sono persone e non cose, che si possiedono e magari si buttano quando non serve. Ma se tutta una cultura e una mentalità continua a presentare la donna come “oggetto sessuale” (basta guardare certi cartelloni pubblicitari), il discorso diventa difficile, e la strada da percorrere ardua e in salita. Ma l’unico cammino è quello, e prima ci si abitua a percorrerlo, meglio è.