Che il canto fosse in realtà un modo di pregare lo sosteneva, già nel IV secolo, il Padre della Chiesa Ambrogio.“La voce canta per gioire – ripeteva il vescovo di Milano - mentre la mente si addestra nell’approfondire la fede”. Eppure, per molti secoli, il canto non è stato considerato essenziale al rito cristiano, occupando un ruolo marginale nella celebrazione. È solo dopo il Concilio Vaticano II che la “musica” cambia. Dal “cantare durante la messa” si passa al “cantare la messa”. “[…] la musica sacra sarà tanto più santa - si legge al numero 112 della Sacrosanctum concilium - quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente la preghiera e favorendo l’unanimità, sia arricchendo di maggiore solennità i riti sacri”. La musica e il canto nella celebrazione non sono più visti come riempitivi, ma riconosciuti come segni sacramentali. È cambiato anche il rapporto con gli strumenti e, cosa più importante, con l’assemblea dei fedeli, riconosciuta soggetto attivo nella celebrazione e non più spettatrice della stessa. L’unanimità cui fa riferimento la citata prescrizione esige una Chiesa interamente mobilitata, con tutte le sue membra, nel lodare il Signore con il canto e la musica. La solennità invece porta con sé la necessità di avere animatori musicali delle celebrazione competenti e preparati, che sappiano scegliere i canti più opportuni per sottolineare i diversi momenti del rito e i diversi tempi dell’anno liturgico, che sappiano dare spazio a tutte le ministerialità della Chiesa e rendere le celebrazioni dignitose, emotivamente coinvolgenti, liturgicamente corrette
Gianni Epifani
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