marrazzo16 dicembre 2012

Padre Giuseppe Marrazzo: una vita per le anime. Nel 20° del Dies Natalis.

L'apostolo rogazionista della riconciliazione

 

Giuseppe Marrazzo nacque a San Vito dei Normanni (Brindisi) il 5 maggio 1917, sesto di nove figli, in una famiglia di modeste condizioni. Il padre Luigi era contadino e la madre Maria Concetta Parisi casalinga; fu battezzato nella parrocchia di San Domenico, alla quale la famiglia apparteneva, e nelle stessa parrocchia ricevette la prima comunione e, il 3 giugno 1928, la Cresima. Terminate le scuole elementari, Giuseppe andò ad aiutare il padre nel lavoro dei campi; è in questo periodo che cominciò a maturare la propria vocazione religiosa. I genitori ne parlarono con don Francesco Passante, cugino della madre e arciprete del villaggio, che li indirizzò verso la scuola apostolica dei rogazionisti di Oria, diretta da padre Pantaleone Palma.

Il 20 ottobre 1930, all’età di tredici anni, Giuseppe Marrazzo fu ammesso alla prima ginnasiale della scuola apostolica. Nel 1933, completati i tre anni del ginnasio inferiore e non essendoci, già da qualche anno, il ginnasio superiore nell’istituto di Oria, Marrazzo si trasferì nell’istituto “Villa S. Maria” di Trani; ammesso al probandato e ricevuto l’emblema del rogate, il giovane venne formato alla devozione mariana che, nella sua vita, emergerà sempre come una speciale caratteristica della sua spiritualità.

Alla fine del semestre, Marazzo divenne “fratello” e, con la vestizione religiosa, fece l’ingresso nel noviziato che, secondo le regole dell’ordine del tempo, durava diciotto mesi. Suo maestro in questo periodo fu padre Serafino Santoro, direttore della casa di Trani ed uno dei primi sacerdoti della congregazione, vissuto molti anni a contatto con Annibale di Francia. Il noviziato è un periodo di maggiore maturazione della scelta vocazionale che consiste, secondo le stesse parole di Marrazzo, in “meditare, pregare, studiare le regole, mortificare l’amor proprio, esercitare l’umiltà, lasciarmi trattare con la più illuminata docilità, e così rendere sicura la mia vocazione”. Il 29 marzo 1936, alla presenza di padre Francesco Vitale, superiore generale giunto da Messina, pronunciò i primi voti, divenendo religioso effettivo della congregazione rogazionista.

Una prassi formativa dei rogazionisti è quella di mandare i giovani studenti, alla fine del liceo e prima di iniziare gli studi di teologia, a svolgere un anno di cosiddetto “magistero”, ossia di tirocinio pratico, in qualche casa della congregazione. Tra il 1938 e il 1939, Giuseppe Marrazzo svolse il proprio anno di magistero nella Casa Madre di Messina, dedicandosi all’assistenza degli alunni dell’istituto. Nell’ottobre del 1939, tornò a Messina per cominciare gli studi di teologia nel seminario diocesano che, visto il deteriorarsi della situazione internazionale, era stato precauzionalmente trasferito dalla via I Settembre al villaggio Giostra, dove tuttora si trova.

Nel corso dei suoi studi di teologia, Marrazzo riportò ottimi risultati, specie in ascetica e sacra liturgia; al termine del primo anno e dopo cinque anni di professione temporanea, all’età di 23 anni, emise la professione religiosa perpetua. Giuseppe Marrazzo conseguì nell’ordine: la tonsura (24 dicembre 1939), l’ ostiariato e il lettorato (8 dicembre 1940), l’esorcistato e l’accolitato (primo febbraio 1942), il suddiaconato (19 dicembre 1942), il diaconato (2 maggio 1943), e, finalmente, il presbiterato (a causa della guerra, solo sette giorni dopo, il 9 dello stesso maggio 1943, dal vescovo di Messina mons. Angelo Paino presso la basilica di S. Sebastiano di Barcellona Pozzo di Gotto, dove si era trasferito il seminario maggiore). Celebrò la prima messa il 9 maggio del 1943, nel santuario della Madonna della Neve, a S. Lucia del Mela.

Per i primi cinque anni di sacerdozio, padre Marrazzo si occupò dell’Ufficio di Propaganda, dapprima presso i locali del seminario di S. Lucia del Mela, che padre Vitale aveva ottenuto in uso dal vescovo Geraci, poi, nel 1947, quando quella residenza fu chiusa, si trasferì insieme al suo ufficio nella casa di Trani. Nel 1948, iniziò a svolgere il proprio impegno sacerdotale presso la Casa Madre dei rogazionisti, in via S. Cecilia a Messina, allora diretta da padre Carmelo Drago, assumendo la carica di “addetto” al ministero del santuario di S. Antonio, annesso alla Casa. Egli, inoltre, ebbe l’incarico di assistente ecclesiastico del gruppo interno di Azione Cattolica “Can. Annibale Maria di Francia” e dell’associazione dei paggetti antoniani.

Padre Marrazzo risedette per tutta la vita in questo istituto, tranne per due brevi periodi; nel 1956 fu di stanza presso la casa “S. Antonio” a Padova, col ruolo di padre spirituale dei ragazzi della scuola apostolica e di addetto al reclutamento vocazioni, e, dal settembre del 1972 al novembre del 1974, si trovava nella Casa del Noviziato rogazionista di Colle S. Pietro a Zagarolo, dove ebbe la carica di vice superiore e di vicario attuale, cioè parroco della vicina chiesa della Madonna della Fiducia. Nel corso degli anni padre Marrazzo sviluppò un profondo ed indissolubile legame col santuario di Messina, entrambi gli ordini trasferimento – sulle cui reali motivazioni si sta ancora cercando di fare luce – pur accettati con piena dedizione, causarono, quindi, disagio, sofferenza, tristezza ed insoddisfazione.

Lungo tutto il periodo di residenza nell’istituto messinese, continuò a mantenere l’impegno verso il santuario, alternando le cariche di “addetto” al ministero, cooperatore, cappellano e rettore. Con parole di gratitudine, l’arcivescovo di Messina, mons. Fasola, inaugurando i locali del tempio, dopo alcuni lavori di restauro, affermava che il santuario è “la clinica spirituale di Messina, della quale il P. Marrazzo era il medico di guardia”. Il settimanale della diocesi, La Scintilla celebrando, nel 1968, il 25° di sacerdozio di Marrazzo affermava che, “alla sua attività di apostolo indefesso e intelligente si deve in gran parte l’importanza di questo santuario nella nostra città”

Egli fu assistente ecclesiastico di alcuni gruppi laicali, in special modo l’associazione dei paggetti antoniani, dalla quale non si è mai allontanato, dell’Azione Cattolica, della Pia Unione della rogazione evangelica, divenuta poi associazione delle Zelatrici del Rogate e delle Figlie di Maria. Per qualche anno fu anche il confessore degli orfani, degli studenti della scuola apostolica e delle suore degli istituti “Cristo Re” e “Spirito Santo” e, dal 1975, divenne padre spirituale della Casa.

Marrazzo giunse nella città dello Stretto quando ancora erano ben visibili gli effetti della difficile congiuntura post-bellica, caratterizzata da una stasi della vita produttiva e sociale. Nei primi anni del dopoguerra, l’economia della città (dove, al censimento del 1951, risiedevano 220.776 persone) era segnata dalla ristrettezza della base produttiva e dalla mancanza di vere e proprie industrie, se si eccettua la cantieristica. Preminente – per fattori contingenti, legati alla “doppia ricostruzione” della città – era il settore edile. La città sembrava aver definitivamente perso la propria antica vocazione di città crocevia di traffici marittimi, incanalandosi verso una terziarizzazione debole e disgregata, orientata in direzione di servizi tradizionali e non produttivi, con un addensamento dell’occupazione nel settore del pubblico impiego.

Marrazzo era solito svegliarsi molto presto; quando il santuario veniva aperto ai fedeli, alle 6:30, era già in chiesa concentrato in preghiera, quindi iniziava subito a confessare e continuava per diverse ore. Si dedicava all’animazione della liturgia domenicale, dei tridui e delle novene guidando l’assemblea nei canti e nelle preghiere. Nel corso degli anni, egli fu il confessore anche di numerosi sacerdoti, regolari e secolari, della città e dei paesi della provincia.

Fin dai primissimi giorni, uno degli elementi caratterizzanti del magistero messinese di padre Marazzo fu la sua particolare dedizione verso i più poveri e bisognosi. Assai di frequente visitava i degenti della vicina clinica “S. Antonio” e i ricoverati dell’ospizio “Collereale”, che allietava cantando, accompagnato dalla sua inseparabile chitarra; molti altri malati ed anziani andava a visitare a casa ed altrettanto numerose erano le famiglie in difficoltà che cercavano il suo aiuto. Per questo ottenne dall’autorità diocesana uno speciale permesso, rinnovato annualmente, per potere celebrare la messa in casa degli infermi, quando si prevedeva una lunga malattia. Grazie alle risorse dell’istituto ed alle donazioni dei fedeli, fu in grado di prestare soccorso ai tanti poveri sparsi sul territorio cittadino.

Particolarmente devoto alla Madonna di Lourdes, si recò in pellegrinaggio per la prima volta a metà degli anni Cinquanta e vi tornò tutte le volte che gli fu possibile. Partiva con il treno attrezzato per il trasporto dei malati allestito dall’Unitalsi, lungo il percorso celebrava la messa, confessava, portava la comunione ai malati sistemati nelle carrozze, e rendeva a tutti meno faticoso il viaggio grazie al suono della sua chitarra. La sua devozione alla Madonna si manifestava, tra l’altro, in un sincero e continuo affetto verso tutte le mamme, specialmente verso le mamme dei sacerdoti, in quanto era convinto che in ogni vocazione al sacerdozio affiorasse l’irradiazione della fede di una madre. In ricordo della madre scomparsa, scriveva: “O Maria, SS.ma mamma di Dio, regina di tutto il Paradiso, o tutta mamma e tutta santa, modello di tutte le mamme dei sacerdoti, vieni a vivere visibilmente accanto ad ogni sacerdote nella sua mamma terrena. O Maria, mamma delle mamme dei sacerdoti, prega per noi”. E, in occasione della Festa della mamma del 1983: “cerchiamo la mamma perché è l’unica persona di cui non si può fare a meno. Se perfino Dio ha avuto bisogno di una mamma, possiamo immaginare cosa deve essere per noi”

Marrazzo spesso si scherniva dicendo che “il metodo del predicatore è per me difficile”; tuttavia, nel corso degli anni, aveva elaborato un suo modo personale, semplice ma efficace di predicare; per rendere più immediatamente comprensibili le sue orazioni le arricchiva di massime, aneddoti, proverbi, ma anche di detti di Voltaire, Hugo, Foscolo e Metastasio, pazientemente raccolti.

Morì la notte tra il 29 e il 30 novembre 1992, per arresto cardiaco da infarto del miocardio. Con queste parole l’Istituto diede la triste notizia alla città: “E’ deceduto nella sua stanzetta accanto al Santuario, avendovi esercitato il ministero sacerdotale per quasi cinquant’anni. Spirito semplice, riempì d’amore verso Dio e il prossimo e di una filiale devozione alla SS. Vergine, tutta la sua vita. Ne danno il triste annunzio i PP. Rogazionisti”.

I funerali ebbero luogo alle 16:00 del primo dicembre nel santuario di S. Antonio. La chiesa era gremita e molta gente rimase all’esterno, nella strada e sui marciapiedi, perché assolutamente impossibilitata ad entrare. L’arcivescovo di Messina, mons. Ignazio Cannavò, presiedette la liturgia, con oltre quaranta con celebranti, tra i quali il vicario generale dell’ordine Fortunato Siciliano, in rappresentanza del padre generale Pietro Cifuni, impossibilitato a venire, e il vescovo ausiliare mons. Francesco Miccichè. Durante l’omelia, sinceramente meravigliato dalla grandissima affluenza di persone che “di solito si vede solo in occasione della festa di S. Antonio”, il vescovo tratteggiò la sua figura sacerdotale, in particolare, ricordandone la devozione alla Madonna, la speciale dedizione al sacramento della confessione e le doti di umiltà, bontà, pazienza, disponibilità:

Quanto bene comunicava col suo perenne sorriso, quanta semplicità nel dare una caramella per avviare un discorso, un discorso costruttivo, sul piano della vita cristiana, della vita spirituale! Una mitezza, una umiltà e una semplicità che erano in funzione del servizio che egli rendeva a Dio e al prossimo. La sua virtù si esprimeva in tanti modi, avvicinando i poveri, confortandoli, soccorrendoli così come poteva, anche sul piano materiale. Ma era già un grande gesto di carità un’espressione di carità, la comunicazione di quel sorriso e di quella gioia che lo accompagnava sempre nel volto e nella parola. […] Fratelli, dobbiamo riconoscere che Padre Marrazzo è stato davvero un grande uomo; ma quest’uomo, con la sua umile vita, lascia a tutti un messaggio; quest’uomo diventa un modello che vogliamo provare a seguire.

Alla fine della celebrazione, il direttore dell’istituto Michele Ferrara lesse un messaggio di cordoglio da parte del padre generale. Giuseppe Marrazzo è sepolto nella cappella dei rogazionisti al Gran Camposanto di Messina. Così lo ricordava il più importante quotidiano cittadino:

Padre Giuseppe Marrazzo era un sacerdote rogazionista. Nulla di più. Ma qui, nel suo ministero, nella sua vocazione religiosa, c’è proprio tutto. Sacerdote. […] Perché padre Marrazzo era semplicemente un prete. Non era un uomo di cultura, non sfoggiava preparazione teologica o chissà quali specializzazioni pastorali o catechetiche. Per trovarlo, bastava entrare nel Santuario di Sant’Antonio. Era sempre lì, nella navata di sinistra, seduto a confessare, oppure immerso nella celebrazione eucaristica. […] La sua persona irradiava l’umiltà e la semplicità dei santi. Padre Marrazzo era un umile del Signore. A se non attribuiva nulla, tutto invece rendeva a Dio. […] Padre Marrazzo confessava, diceva una buona parola, aiutava tutti. […] Quando non era in chiesa, instancabile, continuava a vivere ovunque e comunque il suo ministero: quanti poveri, quanti ammalati, quanti anziani da ieri sono più soli!. […] Padre Marrazzo resterà nel cuore di molti: con la sua morte Messina ha sicuramente perso un grande sacerdote, ma ha guadagnato, per il popolo dei credenti, un nuovo amico presso Dio.

E “L’Osservatore romano”:

Predicazione, Messa, e confessioni… confessioni, confessioni, ininterrottamente, diuturnamente, con una disponibilità instancabile, sorridente e dolce, che gli faceva ascoltare ogni persona come se fosse l’unica da sentire e da ascoltare in quel giorno, mentre lunghe file di altre persone aspettavano pazientemente il loro turno […] Era sempre lì, al suo posto, umile silenzioso, accogliente, sempre col sorriso, come sulla sponda di un fiume di gente che gli passava e sostava dinnanzi ininterrottamente…per cinquanta anni.

Di recente, in occasione del decennale della morte di padre Marrazzo, Giacomo Ferraù, professore ordinario dell’Università di Messina, ha proposto una diversa e più approfondita analisi delle motivazioni interiori che sono state alla base di un impegno così continuo e di una devozione tanto grande al proprio dovere di sacerdote; da questa riflessione è emersa “una esperienza ben più complessa e tormentata, un itinerario spirituale in termini non scontati, una problematicità risolta spesso con fatica, entro l’ambito di una devozione comunque indiscussa: un percorso ben diverso dalla vulgata delle caramelle e della chitarra”. Per questo motivo - continuava Ferraù - l’esperienza di padre Marrazzo dovrebbe essere considerata come esemplare del significato, dei valori, delle difficoltà del ministero sacerdotale.

Le osservazioni di Giacomo Ferraù si fondano su alcuni scritti di Marrazzo, su una serie di testimonianze dei fedeli che lo hanno avuto come guida spirituale e, soprattutto, sulla lettura di un quadernetto che rappresenta una sorta di diario spirituale, scritto tra il 1954 e il 1957 ed intitolato Storia della misericordia del nostro Signore Gesù Cristo. In quest’ultimo, breve documento è possibile rilevare una serie di dati che torneranno come costanti strutturali nella vita del padre Marrazzo. Il motivo dominante risulta essere la preoccupazione per la salvezza delle anime e rispecchia quella che è stata la tensione fondamentale della sua attività di sacerdote. Marrazzo chiede continuamente a Dio di mandargli anime e lo ringrazia per i successi della sua opera di confessore; egli, inoltre, pur ancora molto giovane, è già pienamente consapevole che il luogo migliore per svolgere questa attività sia il santuario: “Mamma, fammi consumare tutta la vita nel santuario di S. Antonio, qui in Messina, per santificarmi e salvare tutte le anime che mi affiderai”. Abbiamo già visto quanta sofferenza gli abbiano causato i due, pur temporanei, allontanamenti dal santuario messinese.

Un secondo motivo che emerge e che caratterizza la spiritualità di questo sacerdote è il già ricordato speciale affetto verso le “mamme sacerdotali”; esso acquista significato come corollario alla personale riflessione mariana. La Vergine è la mediatrice privilegiata nel rapporto colla divinità e le sue virtù, sante ma umane, veicolano una via di imitazione più facile ed accessibile; Marrazzo stabilisce, quindi, un collegamento tra la Madre celeste e quella terrena: “la mamma terrena per me è il prolungamento della Mamma celeste. Come la Mamma celeste è Dio fattosi mamma, così la mamma terrena è Maria fattasi madre, restata madre sulla terra”. Come emerge dall’epistolario con le figlie spirituali, la presenza di una figura femminile “mariana” accanto al sacerdote è in grado di rendere meno forte il timore per la distanza tra Creatore e creatura e rendere più vicino lo stesso Cristo.

Ricostruire l’itinerario spirituale di padre Marrazzo – conclude Ferraù, ribaltando i precedenti giudizi, espressi anche all’interno della congregazione – consente di rendere “più viva, tormentata, problematica quella semplice figura di ‘prete del popolo’ tramandata dalla vulgata: per cui, la mirabile opera nel confessionale, la capacità di darsi alle anime, di trarle a sé in rapporto di carità, parte da un complesso travaglio di esperienza spirituale solo in fine pacificata”. Gli stessi gustosi aneddoti legati alle caramelle ed alla chitarra non sono soltanto indice di un’ingenua psicologia, ma assumono il significato di “un’alta e consapevole sapienza cordis un’accortezza di colomba per attrarre le anime, una sapienza cordis umile e semplice che supera qualunque orgogliosa sapienza umana nel costruire un ponte che conduce alla salvezza ‘anime, anime, anime’, secondo la vocazione e l’invocazione di padre Marrazzo”.

Alla celebrazione del decennale, era presente anche una delegazione giunta da S. Vito dei Normanni, tra cui il fratello Luigi e la sorella Palmina, insieme ai nipoti sacerdoti Aldo Tateo e Vito Vita; quest’ultimo, nella messa celebrata nella cappella del cimitero, lo ha ricordato “come una persona che viaggiava su onde diverse. Era più interessato allo spirituale che alle vicende terrene”. Alla fine della serata furono raccolte oltre settemila firme e consegnate a padre Riccardo Pignatelli, postulatore della causa di canonizzazione di Annibale Di Francia, affinché si interessasse anche del processo di canonizzazione di padre Marrazzo.

(www.padremarrazzo.rcj.org)