carolina_iavazzoDicembre 2012

I “figli del vento” di Carolina Iavazzo: un’alternativa per i giovani della Locride dalla suora che ha collaborato con don Pino Puglisi

Il "testimone" di don Puglisi è una suora!

C’è una suora ad indicare un’alternativa ai giovani della Locride: Suor Carolina Iavazzo, in Calabria dal 1994. Era già stata anni prima a Crotone dove aveva conosciuto un energico sacerdote trentino, padre Giancarlo, che qualche tempo dopo sarebbe diventato monsignor Bregantini. Ma suor Carolina la sua vita l’ha cambiata nel segno di un altro uomo straordinario, don Pino Puglisi. Il sacerdote di Brancaccio, ucciso dalla mafia nel 1993, le ha lasciato un testimone; e lei ha sentito che la lotta al fianco dei giovani contro le “lusinghe” della criminalità organizzata andava condotta dove c’era più bisogno. La Locride, diventata “famosa” negli anni ’80 e ’90 per i sequestri di persona, dove i morti ammazzati cadevano a centinaia e gli innocenti rimanevano dimenticati, era il posto dove andare. E lì, a Bosco Sant’Ippolito, un piccolo centro tra Bovalino e San Luca, suor Carolina fonda nel 2005 il centro “Don Pino Puglisi”. Un posto pieno di giovani, energie e creatività. Uno dei tanti segni di una terra in fermento, che testimonia alla storia come Don Pino Puglisi abbia aiutato tanti giovani ad uscire dal tunnel della paura e dell’ignoranza, attraverso una pedagogia attiva, coinvolgente, sofferta. Ma autenticamente liberante. Ed è ora anche  di liberare l’operato di questo sacerdote dal riduttivismo del “prete antimafia”: chi opera nello spirito del Vangelo non può non essere “contro” la mafia, ma è piuttosto la mafia ad essere “contro” il Vangelo: e Padre Puglisi sapeva che la vera e autentica testimonianza del vangelo è coincidente anche con l’impegno civile e umano.

Prezioso è stato l’apporto femminile e materno di Suor Carolina Iavazzo, che è stata la principale collaboratrice di padre Pino Puglisi: appartiene all’ordine delle “Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena”, un ordine religioso missionario apprezzato per il suo carisma e voluto da padre Puglisi per gestire il centro d’accoglienza “Padre Nostro” da lui realizzato per fronteggiare le povertà del quartiere Brancaccio di Palermo.

Suor Carolina racconta che Padre Puglisi aveva un bellissimo sogno: portare il sole nel quartiere Brancaccio: il sole della solidarietà, del riscatto morale e civile, il sole della promozione umana e spirituale, della libertà, del sorriso e dell’amore. Un sogno che non voleva realizzare da solo; per questo aveva innescato il sistema infallibile del contagio, del coinvolgimento, della corresponsabilità. Con un gruppo di persone aveva, in poco tempo, diffuso una gran voglia di cambiare il quartiere a iniziare dai bambini, dai giovani e si lasciava aiutare non solo dalle suore ma anche dai volontari del quartiere o da suoi amici fuori quartiere. Padre Puglisi – racconta suor Carolina -  ogni giorno che passava, tirava fuori dal suo cassetto un pezzo di sogno e stava per completare il suo puzzle, quando qualcuno, la mafia, ha inteso spezzare  questo sogno che però continua e si trasforma in realtà.

Suor Carololina, è autrice di poesie in cui parla di Palermo, dei suoi tanti ragazzi, definendoli con la struggente espressione di “figli del vento”. Strappati alla strada e alla violenza mafiosa, con una tenacia mai vinta, mai sopita, nonostante la morte di Padre Puglisi:

“Muori così, senza far rumore…nel silenzio te ne vai, lasci a noi solo le impronte di una nuova libertà”.

Non parte dalla cattedra la poesia di suor Carolina, ma dalla strada. E porta comunque alla cattedra, poiché pone degli itinerari pedagogici di vero stupore. Fatti di libertà e gioia. Quella gioia che ha accompagnato don Pino fin nel gesto ultimo del suo morire, immolato, ucciso dalla violenza, ma capace di cambiare il cuore del suo assassino proprio tramite quel suo mite sorriso.

Per la suora, l’insegnamento di vita di Puglisi difficilmente si dimentica: “Tutti siamo chiamati a lasciare qualcosa che resti nella storia e nella vita degli uomini, come un testimone che passa da una mano all’altra, di generazione in generazione perché la vita è un compito che qualcuno ci affida perché altri dopo di noi, possano ritrovare la strada che porta alla meta”. Quando aveva detto: “Non lasciate il mio corpo troppo solo”, Padre Puglisi voleva dire: “Continuate voi la mi attività, la mia speranza, realizzate voi il mio sogno”. Il sogno dell’”uomo di Dio che semina a piene mani, raccogliendo sassi che trasforma in zolle profonde”, zolle che erano soprattutto i cuori dei ragazzi di Brancaccio,  in cui Padre Puglisi ha seminato insopprimibili semi di pace e di libertà.

(Anna Rotundo in www.kalabrians.it. Postato da Elena Coppi)