STORIE DI VITA - Mondo Voc novembre-dicembre 2014 Torna al sommario
CINA ED EMIRATI ARABI UNITI, STORIE DI FEDE E DI PASSIONE
Non si può distruggere una chiesa
Due casi, una realtà
Il governo comunista di Pechino lancia una campagna per demolire i luoghi di culto cristiani e scopre che le comunità sopravvivono, ancora più forti. Gli emiri concedono invece la terra per una cattedrale e oggi contano su tanti nuovi alleati.
di Vincenzo Faccioli Pintozzi
Una chiesa non è soltanto un luogo fisico, una struttura di pietre e metallo chiamata a riempire uno spazio vuoto. Essa è piuttosto una sorta di incubatrice, che intorno a sé e grazie alla Presenza dentro di sé ha la capacità di creare una comunità, spesso a sua volta chiamata a divenire un motore di cambiamento sociale. Per questo ogni governo mondiale ha un atteggiamento particolare, quando si parla di edilizia di culto. E se nel mondo occidentale questo atteggiamento è comunque abbastanza simile a tutte le latitudini, nel mondo asiatico e in quello islamico esso può cambiare a seconda ci si trovi a sud o a nord di un confine. È il caso di due realtà molto diverse fra di loro come la Cina e gli Emirati Arabi Uniti: nel primo Paese decine di chiese sono state distrutte negli ultimi sei mesi in nome di un’ideologia sempre più debole; nel secondo una chiesa è sorta per dimostrare che la convivenza interreligiosa è possibile anche nei Paesi a maggioranza musulmana.
Ad Abu Dhabi per incontrare San Paolo
Circondati da un oceano di intolleranza religiosa e di violenza senza senso, gli Emirati Arabi Uniti hanno un piccolo record personale: qui, negli ultimi due anni, è sorta una nuova chiesa – nella periferia di Dubai – e un’altra è in costruzione ad Abu Dhabi. La prima è nata grazie al sostegno dell’emiro ud Bin Saqr al Qasimi, che ha donato il terreno di Ras Al Khaimah: qui, con l’aiuto anche economico della Chiesa universale, è sorta una chiesa dedicata a sant’Antonio da Padova.
Il giorno della sua inaugurazione, il 14 giugno del 2013, oltre 10mila persone hanno affollato i banchi per rendere grazie a Dio di questo dono. Come ha raccontato mons. Paul Hinder, Vicario apostolico dell’Arabia del Sud, “non ce lo aspettavamo. La chiesa era gremita, l’auditorium sottostante era stracolmo e migliaia di fedeli hanno solo ascoltato la celebrazione, all’esterno della Chiesa. Tutta la comunità cattolica, fatta di gente povera, di umili lavoratori immigrati, che vivono precarietà e insicurezza, ha ricevuto un grande incoraggiamento nel suo cammino di fede. Abbiamo ricevuto la benedizione e avvertito la presenza amorevole di Papa Francesco”.
Lo stesso mons. Hinder ha voluto annunciare che la nona chiesa cattolica degli Emirati sarà intitolata a San Paolo: “Sarà la seconda chiesa ad Abu Dhabi, e sorgerà sulla terraferma, dato che il territorio dell’Emirato è in parte un’isola. Contiamo di edificarla in due anni. È segno che la nostra missione prosegue, ringraziamo il Signore”.
Si stima che negli Emirati i cristiani rappresentino circa il 9% della popolazione, a fronte di un 76% di musulmani e un 15% di fedeli di altri credi. I gruppi religiosi dei non-musulmani, cristiani inclusi, possono richiedere agli emiri un permesso di costruzione specifico per i luoghi di culto. I permessi sono discrezionali, ma semplici da ottenere. La preferenza è data dal fatto che, secondo un’interpretazione del Corano, i cristiani sono – al pari degli ebrei – “gente del Libro”, cioè monoteisti che praticano una religione più antica rispetto all’islam, in cui Abramo è considerato un Patriarca.
Le zanne del Dragone
Al contrario, per cercare di riaffermare un’ideologia oramai sconfitta come quella dell’ateismo di Stato, il governo cinese ha lanciato da mesi una campagna contro le chiese. A farne le spese soprattutto quelle protestanti, demolite perché “violano i regolamenti edilizi”. Ma anche alcuni edifici cattolici sono finiti sotto le ruspe. In un solo giorno, il 15 settembre scorso, i governi di tre province cinesi hanno ordinato la demolizione di due chiese cattoliche e la rimozione della croce dal tetto di una terza. Le chiese distrutte sono quella di Jinxi, nella provincia centrale dell'Hunan, e quella dedicata alla Vergine di Jingdezhen, nella provincia orientale del Jiangxi. La croce rimossa è invece quella della chiesa di Jingtou, nella provincia meridionale del Zhejiang.
Le demolizioni sono avvenute nell’ambito di una campagna lanciata subito dopo che Xia Baolong, segretario del Partito del Zhejiang, all'inizio dell'anno ha compiuto un'ispezione e ha notato a Baiquan una chiesa con una croce che svettava in modo “troppo evidente” e “offensivo alla vista”. Vedendo poi in altre città una selva di croci nello skyline, ha dato ordine di “rettificare” quella visione. Da allora, demolire le croci, distruggere statue e radere al suolo chiese è divenuto l'impegno più cospicuo del Partito.
Contro tutti i piani del governo, però, le comunità cristiane hanno risposto non con la violenza ma con la fede. Gruppi organizzati di credenti hanno iniziato a montare la guardia davanti alle proprie chiese, mentre altri hanno presentato petizioni ufficiali al governo contro la campagna. Una catechista dell’Hebei, anonima per motivi di sicurezza, dice: “Possono distruggere tutti gli edifici che vogliono. Ma siamo noi, e la Parola di Dio che vive dentro di noi, i veri pilastri della Chiesa cinese. E noi non possiamo essere demoliti”.
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