STORIE DI VITA - Mondo Voc novembre-dicembre 2014 Torna al sommario
Storia di una parrocchia “ai margini” della città
Il centro della periferia
Consacrata nel 2010, la parrocchia dei Santi Elisabetta e Zaccaria è diventata il fulcro del quartiere di Prima Porta
di Stefania Careddu
Periferia nord della Capitale, al confine con i comuni di Formello, Sacrofano e Riano. Siamo nel quartiere di “Prima Porta”, celebre per la presenza del cimitero, il più grande d’Italia. Sono una ventina i chilometri che ci separano dal cuore di Roma, dove le vie dello shopping si intrecciano con quelle delle attrazioni artistiche e culturali, eppure, anche se poco distante, l’atmosfera è completamente diversa. E mentre in centro le chiese si susseguono con una certa disinvoltura, qui la parrocchia rappresenta un punto di riferimento – uno dei pochi se non l’unico – per i 15 mila abitanti della zona. “La realtà insieme si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie”, ha detto Papa Francesco che ha voluto iniziare il suo viaggio tra le comunità romane proprio dalla chiesa dei Santi Elisabetta e Zaccaria.
Luogo di aggregazione spirituale e sociale
Fino a quattro anni fa, in questa periferia non esisteva neppure un tempio: le celebrazioni e le catechesi si svolgevano all’interno di un garage, quello dove il 26 ottobre 1997 fu accolto anche Giovanni Paolo II. Dal febbraio 2010 un grande edificio di culto di circa 600 metri quadrati, firmato dall’architetto Giuliano Panieri, ha dato un senso diverso alla vita di molti. Con il suo caratteristico colore rosso e soprattutto con il suo campanile alto 30 metri, visibile già dalla trafficata via Sacrofanese, la parrocchia è diventata il nucleo fondamentale per l’intera comunità, formata per la maggior parte da famiglie, spesso giovani. Nel quartiere non c’è un cinema e neppure un teatro. Le occasioni di incontro scarseggiano. “Non ci sono altre strutture: è una zona dispersiva che si sviluppa per sei chilometri e non ha una sua identità”, conferma il parroco, don Ben Ambarus. La parrocchia è dunque “il centro di aggregazione”, un luogo che ha davvero un ruolo strategico, sia nel portare a tutti la buona Novella sia nel costruire una vera ‘famiglia di famiglie’.
In questo lembo di terra alla periferia di Roma, del resto, le palazzine o i grandi complessi edilizi lasciano il posto a case o villette ‘formato famiglia’, con piccoli giardini e spazi verdi. Ci sono genitori che hanno scelto questa area negli anni passati, ma anche giovani coppie che si sono stabilite recentemente. “Non abbiamo particolari emergenze, ma anche qui avvertiamo la fatica che si affronta in un periodo di crisi, specialmente quando si perde il lavoro”, dice il sacerdote. “La pastorale è prevalentemente rivolta alle famiglie e ai tantissimi ragazzi che nel pomeriggio frequentano l’oratorio, il campo da calcetto inaugurato l’anno scorso - aggiunge don Ben sottolineando - è in atto un investimento di forze educative e di risorse in vista di una migliore gestione dei più giovani”. “Abbiamo avviato le attività del laboratorio musicale e del corso di chitarra, quelle del dopo-cresima e dell’oratorio, così come un percorso per genitori e un itinerario di catechesi per gli adulti che vogliono approfondire la loro fede”, elenca il parroco, facendo emergere la vitalità di una comunità “giovane”, che sta scoprendo insieme le strade per raggiungere il cuore di ciascuno. Senza dimenticare chi si trova in difficoltà. “Provvediamo alla distribuzione di vestiti e di alimenti, anche se al momento non esiste un gruppo Caritas strutturato. Stiamo però ragionando sulla possibilità di formarlo e di creare un Centro di ascolto”, confida don Ben.
Grandi potenzialità, sfide da raccogliere
La chiesa cerca di essere infatti una casa accogliente per tutti, dove la fede può maturare e dove si possono costruire relazioni autentiche. “La parrocchia – spiega - è stata istituita nel 1985, ma è dal 2010, cioè da quando ci siamo trasferiti nella nuova sede, che ci siamo resi conto dell’enorme potenzialità di questi spazi che non devono essere solamente riempiti. Bisogna infatti creare unità di corpo”. La sfida, conclude il sacerdote, “è uscire dalla logica di chiesa come supermercato, dove le persone si recano perché si fa qualcosa di bello senza tuttavia responsabilizzarsi. Occorre invece far capire che quando ci si coinvolge si riceve molto di più di quello che si dà”.
Secondo don Ben, dunque, “ora che la costruzione architettonica è terminata, resta da completare quella del corpo spirituale”.
Nella parrocchia dei Santi Elisabetta e Zaccaria si va avanti, con fiducia e con grande passione. Ricordando che, come ha sottolineato Papa Francesco, “la Chiesa non è un’associazione assistenziale, culturale o politica, ma è un corpo vivente, che cammina e agisce nella storia. E questo corpo ha un capo, Gesù, che lo guida, lo nutre e lo sorregge”.
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