ORIENTARSI - Mondo Voc gennaio 2014 Torna al sommario
IL RUOLO DELL’ANIMATORE VOCAZIONALE
I quattro carmi del Servo
La provocazione vocazionale di Isaia
Una lettura vocazionale dei quattro Carmi del Servo di Jhwh ad opera del profeta Isaia. Il rivelarsi delle dinamiche della vocazione nelle sue varie sfaccettature e il ruolo importante dell’animatore vocazionale. Il ruolo decisivo della sofferenza vicaria che per ogni persona chiamata sta a significare il farsi carico delle sofferenze degli altri, fino al dono della vita.
di Amedeo Cencini
“Il primo evangelista”. Così San Girolamo ha chiamato Isaia, tanto la sua profezia è come un racconto anticipato della vicenda di Gesù, con il quale condivide, tra l’altro, il significato del nome: “il Signore salva”. Di Isaia, profeta e poeta (c’è chi lo considera “il Dante della poesia biblica”), vediamo nella nostra rassegna biblica vocazionale, quattro brani assolutamente classici, i famosi carmi del Servo, cercando di cogliere in ognuno di essi un significato vocazionale.
Primo carme: “non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta”
Il Servo, questo personaggio misterioso, è presentato come “luce delle nazioni”, come chi aprirà “gli occhi ai ciechi”. Ma tutto ciò farà con stile singolare, senza gridare né alzare il tono: “non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta”. Da un lato un incarico di grande rilievo, ma vissuto con altrettanta grande modestia e semplicità, senza mettere avanti la propria persona, e con infinita delicatezza verso chi non è nella luce (42,1-9).
Molte volte la vocazione è questo “stoppino dalla fiamma smorta” in un giovane che è come “canna incrinata”. Vocazione quale “il più piccolo di tutti i semi”, così piccolo che nemmeno chi è chiamato lo riconosce dentro di sé. Ecco la funzione dell’animatore vocazionale: aprire gli occhi a chi non vede, ma con squisito tatto, senza invasioni di campo né… aggressioni vocazionali. È la solita strana polarità contrapposta: se da un lato oggi vi sono animatori poco coraggiosi nell’indicare gli ideali alti del dono di sé, dall’altro c’è l’animatore che sembra voler imporre al giovane la propria prospettiva, rischiando – entrambi – di spezzare definitivamente la canna incrinata, o spegnere del tutto la fiamma smorta.
Questi non sono certo servi del progetto di Dio.
Secondo carme: “è troppo poco che tu sia mio servo…”
Anche qui il Servo è delineato con duplice immagine: è colui che è chiamato dal grembo materno e la cui vita manifesterà la gloria del Signore per tutte le nazioni; dall’altro è colui che sperimenta il fallimento e il rifiuto a livello umano. Ma alla fine si ritrova dinanzi a un progetto che lo supera da tutte le parti: non solo è inviato alle tribù di Giacobbe, ma deve portare la salvezza fino all’estremità della terra, alle sue periferie.
Questa è la vocazione cristiana, come una tensione costante tra quel Dio che pronuncia il mio nome “dal grembo di mia madre”, che mi nasconde “all’ombra della sua mano” e mi rende “freccia appuntita”, e la delusione-frustrazione per il rifiuto e la scarsità dei risultati (49,1-7).
Eppure qualsiasi vocazione, in ogni caso, continua a essere qualcosa di grande, di eccedente i progetti umani, oltre quanto uno può pensare e sognare per sé, oltre il consenso sociale, qualcosa che nessun fallimento (apparente) potrà mai offuscare. Vocazione non è autorealizzazione: sarebbe troppo poco! Né si sceglie una vocazione in base alle doti che uno possiede: troppo banale! E nemmeno si può pretendere che la vocazione sia un successo: troppo pagano! O pensare che sia solo rinuncia e mortificazione: troppo deprimente!
Terzo carme: “Il Signore mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza”
Il Servo di cui parla Isaia non è semplicemente colui che è stato scelto e chiamato una volta per tutte, ma il credente al quale ogni mattina il Signore “dà una lingua da discepolo” o cui apre l’orecchio per renderlo attento. Vocazione è intimità continua tra il Chiamante e il chiamato, come storia d’amore destinata a non finire mai, ma che dà un’energia incredibile alla creatura: “ho presentato il mio dorso ai flagellatori”, perché “il Signore Dio mi assiste, … per questo rendo la mia faccia dura come pietra”.
Un misto di intimità amorosa e di forza prodigiosa, che porta il chiamato addirittura a sfidare chi gli si oppone: “chi mi accusa? Si avvicini a me” (50,4-11). Sparisce ogni paura. La paura è di chi è solo, perché non si lascia chiamare, o di chi non conta niente, perché non si sente chi-amare da nessuno.
Quarto carme: “…si è caricato delle nostre sofferenze”
Non sembra esaltante parlare di vocazione in questi termini, ma è la prospettiva nella quale ci invitano a porci le Scritture sante e, in particolare, i carmi del Servo. Per un motivo ben preciso: perché la vocazione, ogni vocazione cristiana, è costruita sul modello insuperabile della chiamata del Figlio Gesù, che il Padre ha chiamato e inviato per la salvezza dell’umanità. Da allora il Padre non cessa di chiamare ogni creatura perché in uno stato di vita o in un altro partecipi allo stesso progetto o missione.
Se prima abbiamo detto che non si sceglie una vocazione semplicemente per realizzare se stessi o le proprie doti, ora specifichiamo che non si risponde a una chiamata in vista della propria esclusiva salvezza personale, ma per la salvezza degli altri. Come il Servo. Che proprio per questo accetta di caricarsi sulle spalle un peso non suo e un peccato mai commesso, di diventare “uomo dei dolori che ben conosce il patire” e che è “trafitto per le nostre colpe”, d’aver perso, sempre per questo, ogni “apparenza e bellezza”, al punto d’esser “disprezzato e reietto dagli uomini”, “percosso da Dio e umiliato” (52,13-53,12).
Crediamo proprio che non sia esaltante parlare così di vocazione? E invece è esattamente il contrario: è molto più attraente una provocazione vocazionale che spinge a dare la vita per gli altri, che non un invito melenso a provvedere alla propria perfezione o autorealizzazione; è molto più convincente proporre il massimo, anche se faticoso, che non illudere il giovane di potersi accontentare del minimo. In fondo Cristo ci ha salvati proprio per questo: perché noi a nostra volta ci facciamo carico della salvezza altrui. E salvandoci ci ha resi capaci di fare la stessa cosa, divenendo tutti come il Servo. Mistero grande!
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