DIVERSO PARERE - Mondo Voc dicembre 2013 Torna al sommario
LE TRE SFIDE PER I CATECHISTI
Fare catechesi oggi
Comunicare la bellezza della vita cristiana
Partendo dall’etimologia del termine, l’Autore esamina le interessanti prospettive di una “catechesi” fatta con la testimonianza gioiosa della vita, prima che con i libri, e con l’attenzione rivolta alle differenti età della vita. L’invito è ad accettare le sfide di una cultura nella quale occorre suscitare la nostalgia del sacro.
di Aldo Maria Valli
La parola greca dalla quale deriva la nostra “catechesi” significa istruire a viva voce. È importante sottolineare questo significato originario. La catechesi, ogni catechesi, non si fa sui libri, per lo meno non in via primaria, ma con il rapporto diretto e dunque con la testimonianza.
Come ha detto Giovanni Paolo II, il catechista è colui che fa risuonare dentro di sé il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa.
La “lezione” del catechista dunque non avviene soltanto dentro un’aula, in orari prestabiliti, ma è permanente: nasce da ogni suo gesto, da ogni sua parola. Nasce dalla sua stessa vita.
C’è voglia di ritrovare la fede
Va da sé che ogni battezzato, in quanto fedele a Gesù e al Vangelo, è anche catechista. Ma chi ha preso su di sé questa responsabilità specifica, all’interno di una parrocchia, di un movimento ecclesiale o di altre realtà della Chiesa, deve possedere una consapevolezza particolare del proprio ruolo. Prima di tutto, io credo, deve sapere che la presunta indifferenza nei confronti della fede, questa indifferenza di cui tanto si parla e che sarebbe una conseguenza del processo di secolarizzazione, nei fatti non c’è. Lo si vede bene con papa Francesco, questo pontefice umile e semplice, che ha messo al centro del suo insegnamento il messaggio della misericordia divina.
È bastato davvero poco e Francesco è riuscito a richiamare alla fede tante persone che sembravano lontane. E non le sta richiamando in modo superficiale. I dati sull’aumento delle confessioni sono eloquenti. Quelle persone, apparentemente ormai “perdute” in termini di adesione alla fede e di appartenenza alla Chiesa, sono tornate, stanno tornando. Sono state raggiunte dalla tenerezza del papa e hanno risposto.
Abolire le dogane pastorali
Dico tutto questo perché credo che il catechista, qualunque sia l’ambito in cui opera, debba evitare quell’atteggiamento nel quale è facile cadere e che consiste nel mostrare un’espressione a metà fra il rassegnato e il disgustato, come se dicesse: “Io mi sono assunto questo difficile compito, ma so che non c’è quasi più niente da fare in questo mondo che non mi capisce”. Un’espressione del genere di certo non invoglia a entrare, o a ritornare, all’ovile, e papa Francesco l’ha descritta molto bene quando ha detto che certi cattolici a volte hanno una faccia da “peperoncini all’aceto”, e sono poi quegli stessi cattolici che anziché facilitare l’adesione al Vangelo istituiscono una specie di “dogana pastorale”.
Dunque il catechista sia testimone e testimone gioioso. Non vuol dire scioccamente allegro. Vuol dire che deve lasciar trasparire la speranza che è in lui. E lo deve fare in ogni momento della sua vita, non soltanto quando ha davanti a sé i suoi alunni.
Una catechesi mirata per ogni età
Di catechesi oggi c’è bisogno ovunque. Con i piccoli, con i giovani, con gli adulti e con gli anziani. Per ogni età è necessario trovare le parole e gli atteggiamenti più adeguati. I piccoli, ad esempio, già pesantemente scolarizzati, non hanno voglia di stare sui quaderni anche a catechismo: con loro c’è bisogno di fantasia. I giovani non è facile agganciarli, perché presi da mille messaggi: importante è far capire loro che l’adesione al Vangelo si è realizza ogni giorno, ogni minuto, in tutte le nostre scelte di vita, e che l’avventura cristiana è bella e merita di essere vissuta.
Quanto agli adulti, spesso con loro si tratta di scalfire la scorza del distacco, del disinteresse e della disillusione, per raggiungerli dritto al cuore con il messaggio della salvezza. E con gli anziani c’è da portare tanto conforto e tanta consolazione.
Il catechista e la nostalgia del sacro
In generale, il catechista sappia che ha tanto da ricevere oltre che da dare. L’esperienza con i piccoli è significativa: spesso i bambini hanno folgorazioni e sono capaci di sintesi davvero profonde, anche sul piano spirituale e addirittura teologico. Il catechista dunque ascolti tanto e non pretenda di parlare sempre. Si renda disponibile. E sappia trasmettere l’attenzione e il rispetto per il sacro. In una cultura come la nostra, che tende a livellare spazi e tempi, eliminando le differenze e mescolando tutto all’insegna dell’insensatezza o del godimento effimero, riuscire a riconoscere il sacro, a rispettarlo e a viverlo è molto importante.
Il catechista oggi ha davanti a sé molteplici sfide, tutte difficili, ma se riuscirà a far risuonare in sé la bellezza del Vangelo, la misericordia di un Padre accogliente e la tenerezza di Gesù, troverà certamente il modo di affrontarle, portando ovunque la luce e ricevendo a sua volta doni preziosi.
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