ORIENTARSI - Mondo Voc novembre 2013 Torna al sommario
L’uomo saggio, il chiamato
Una interessante lettura vocazionale del libro del Siracide lungo il filo rosso del concetto e del valore della sapienza. La generosa volontà di cercare Dio nella vita quotidiana da parte dell’essere umano, e la beatitudine di essere raggiunti da Dio che chiama all’incontro; e in questo trovare il senso pieno della propria storia personale.
di Amedeo Cencini
Con il libro del Siracide terminiamo la nostra lettura vocazionale dei libri cosiddetti sapienziali. Di solito non vengono tra loro associate due realtà come vocazione e sapienza, poiché della prima si ha un’idea non solo ancora molto parziale (come vi fossero solo alcune vocazioni), ma anche piuttosto limitata a quello che la persona è chiamata a “fare”, mentre la seconda è intesa soprattutto come conoscenza teorica o pura capacità razionale.
In realtà un rapporto c’è ed è prezioso scoprirlo. Come ci racconta a modo suo anche quel saggio di nome “Gesù, figlio di Sira, figlio di Eleazaro, di Gerusalemme” (Sir 50,27), che firma questo libro (l’unico libro dell’Antico Testamento recante la firma del suo autore).
Sapienza e Torah
Il concetto di sapienza è il filo conduttore del libro, ma con una novità rispetto al pensiero della letteratura sapienziale precedente: l’identificazione della sapienza con la Torah (cf 24,23). L’uomo saggio è colui che osserva i precetti della legge, dando prova di essere timorato di Dio, anzi è colui che ama la legge e corre sulla via dei suoi comandi (Sal 118,47.32), come tanti uomini illustri della storia di Israele (Sir 44,1-50,21).
È un saggio e assieme semplice insegnamento vocazionale, come una condizione fondamentale di ricerca: per scoprire il proprio progetto il credente ha già la via tracciata, è quella del contatto con Dio, della fedeltà alla Parola, dell’osservanza dei comandamenti, della carità verso i più poveri, della coerenza di vita…, e di tutto ciò che pone il suo cuore in sintonia con quello di Dio, in modo da giungere ad avere i suoi stessi desideri. Se vuole scoprire il piano divino pensato per lui, il credente deve entrare nel mondo di Dio, e conformare dunque la propria condotta ai suoi insegnamenti. Allora, se obbedisce a quel che Dio chiede a tutti, potrà scoprire pure quel che chiede a lui in particolare. O, diversamente detto, se rispetta il primato della oggettività, scoprirà anche la propria soggettività, quello che lui è chiamato a essere: l’oggettività, infatti, protegge e garantisce la soggettività, mentre la legge (e tanto più la legge di Dio) custodisce chi la osserva e lo svela a se stesso.
Sapienza e ricerca quotidiana
Ma non è tutta qui l’avventura vocazionale né si esaurisce qui la sapienza del saggio. Non basta un atteggiamento puramente osservante per rispondere alla domanda : “cosa è l’uomo?” (Sir 18,8) o per scoprire la propria vocazione, occorrono inventiva, coraggio, senso della ricerca, coraggio di non usare le certezze per bloccare la ricerca, consapevolezza che Dio è sempre oltre e al-di-là, dimestichezza col dubbio, persino una certa follia avventurosa…
Papa Francesco al riguardo ha parole davvero singolari e inconsuete. Premesso che il saggio cerca Dio ovunque, «in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da alcun margine d’incertezza, non va bene… Se uno ha le risposte a tutte le domande, questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso… L’incertezza si ha in ogni vero discernimento… Il rischio nel cercare e trovare Dio in tutte le cose è la pretesa di dire con certezza umana e arroganza: “Dio è qui”. Ma troveremmo allora solo un dio a nostra misura. L’atteggiamento corretto è invece quello agostiniano: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora. E spesso si cerca a tentoni, come si legge nella Bibbia… La nostra vita non ci è data come un libretto d’opera in cui c’è tutto scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere… Si deve entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e lasciarsi incontrare da Dio. Perché Dio sta prima, Dio sta prima sempre… È sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con lui» (dall’intervista alla Civiltà Cattolica).
Sapienza e beatitudine
E allora la sapienza di cui parla il Siracide apre alla pace e alla gioia del cuore: in una parola evangelica, alla beatitudine. Il testo non lo dice esplicitamente, ma è quello che ne possiamo dedurre, o ciò che resta nella mente e nel cuore dopo la sua lettura: l’uomo saggio non è tanto chi, ricco di esperienza e magari pure di anni, fin troppo serioso e infallibile, si muove con prudenza e secondo un copione fisso, bensì colui che, senz’alcuna presunzione, ma con grande passione, ogni giorno cerca Dio e se stesso in Dio. E in questa ricerca ha imparato a trovare la propria gioia.
Non dunque colui che ha scoperto ormai Dio e se lo tiene ben stretto, ma il cercatore di Dio, colui che ogni giorno si sente in cammino. E non perché nulla è certo nella sua vita e tutto sospeso, ma esattamente il contrario, perché nella precarietà della vita un fatto è sicuro e gli basta, poiché è la realtàdi gran lunga più importante: Dio, Dio come amore, e come amore che in continuazione lo chi-ama, e lui, l’uomo, che è tutto dentro a questo amore, da esso cercato e cercatore d’amore.
La vocazione mette insieme i due atteggiamenti. E proprio questa è la saggezza della vita: cercare e lasciarsi cercare, trovare e continuare a porsi in ricerca e costante ascolto dell’Eterno Chi-amante. Perché ogni giorno questo Dio ha qualcosa da dire al chi-amato, da dargli e da chiedergli, in una teofania che è anche rivelazione dell’uomo a se stesso, per indicargli un modo sempre inedito di vivere la sua vocazione. Beato quel saggio che cerca Dio con tutto il cuore e trova grande gioia nel sentire quella voce che ogni giorno non cessa di chi-amarlo.
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