ORIENTARSI - Mondo Voc ottobre 2013 Torna al sommario
La vocazione questione di amore
Il Cantico dell’amore innamorato
Un’interessante lettura in chiave vocazionale del Cantico dei Cantici. La scoperta dell’amore come il vero motore della ricerca vocazionale e dell’innamoramento come condizione permanente dell’animo di ogni persona chiamata, a partire dall’amore di Dio, l’eternamente chiamante perché eternamente innamorato.
di Amedeo Cencini
È tra i libri più brevi delle Scritture sante, ma ha un contenuto esplosivo: descrive il corteggiamento di due amanti, l’uno perdutamente innamorato dell’altro, con le note della lirica e dell’idillio, i toni del dramma e della passione, le parole dei sensi e dello spirito…, per raccontare o cantare l’amore di Dio per il suo popolo o per la singola sua creatura.
Fra tanti libri della Scrittura, il Cantico dei Cantici non costituisce un punto abituale di riferimento per l’animazione vocazionale, ma nondimeno mi sembra un testo quanto mai pro-vocante in quest’epoca degli amori stanchi e delle “passioni tristi” (Benasayag-Schmit).
Pudore (anti)vocazionale
Per tanto, troppo tempo un sottile puritano ecclesiale imbarazzo, spaventato-scandalizzato dal realismo dell’espressioni, ha fatto sì che questo delizioso libretto fosse in pratica ignorato dalla predicazione ufficiale e sottratto all’attenzione del lettore. Oggi non è più così se siamo qui a parlarne, ma il problema in qualche modo permane: la Chiesa continua, infatti, a essere accusata di incapacità di parlare della bellezza misteriosa della sessualità, o d’intervenire sull’argomento solo per dire quel che non si può fare, mentre l’uomo di Chiesa, celibe per vocazione, benedice matrimoni, ma spesso non sa bene-dire la sessualità e ne ignora il mistero (a volte ingenerando dubbi sulla sua stessa scelta).
Chissà se anche da questo dipende la crisi vocazionale del matrimonio, che è forse la crisi oggi più pesante o la madre di tutte le crisi vocazionali. Quanto tempo dovrà passare ancora perché impariamo a riconoscere e declinare la sacralità dell’eros, o a contemplare nel corpo umano l’immagine di Dio e nell’amore carnale un riflesso o simbolo dell’amore divino, a finirla di fare i “guardiani del sesso” e a proporre – finalmente – la morale sessuale come fascino e attuazione di questa bellezza?
Motore di ricerca
Il Cantico dei Cantici è storia dell’amore innamorato, non di un amore qualsiasi. E quale è la differenza? Semplice, è nella tensione con cui l’innamorato cerca la persona amata, una tensione potente, costante, destrutturante, che dura tutta la vita… Nel libro sacro questa ricerca è diurna e ancor più notturna, sfida le ombre della notte, non consente di riposare. Né l’amato si lascia facilmente trovare; al contrario, “l’ho cercato, ma non l’ho trovato” (3,1), l’amore innamorato conosce e sopporta la terribile esperienza della perdita dell’amore della vita. Ma non molla, proprio perché è innamorato. Né si vergogna di chiedere e farsi aiutare: “Avete visto l’amore dell’anima mia?” (3,3). Ovvio che nessuno può rispondere, poiché solo l’innamorato può incontrare e riconoscere il suo amore. E una volta trovatolo non si ferma, comunque, né pretende possederlo per sempre, ma semmai riprende ancora a cercarlo quando lui sparirà nuovamente. Con un desiderio ogni volta ancor più grande, sempre più intenso e luminoso.
Perché così è fatto tale amore: amore sempre in crescita, che scopre ogni giorno una bellezza diversa nell’amato, un’attrazione più grande, motivi nuovi per amare. L’innamoramento è la formazione permanente dell’amore.
Come non riconoscere in questa tensione una metafora della ricerca vocazionale? E l’amore come il vero motore di ricerca vocazionale? Chi non ama ha paura del futuro e non si sente responsabile della propria vita.
Dio, il primo innamorato
In realtà questa storia della creatura che si innamora del Creatore e lo cerca e lo trova per cercarlo ancora, va esattamente rovesciata: è Dio a essere innamorato dell’uomo, è il Creatore che dall’inizio dei tempi non fa altro che andare a cercare la creatura, anche quando questa scappa altrove. È già grande e meraviglioso che l’essere umano, creatura limitata e contingente, coi suoi sentimenti leggeri e passeggeri, contraddittori e oscuri, possa imbarcarsi nell’avventura meravigliosa e ogni giorno inedita della ricerca di Dio, ma è ancor più sorprendente pensare che questo desiderio insopprimibile di Dio è nient’altro che la risposta, piccola e debole, all’amore grande e forte dell’Eterno. L’eternamente chiamante perché eternamente innamorato!
Cambia allora radicalmente anche la proposta vocazionale e il modo di porgerla: non più l’uomo che cerca, ma l’uomo che è cercato e braccato da Dio; non più la vocazione come autorealizzazione, ma come compimento di ciò che solo Dio può chiedere e che è impossibile all’uomo; non più la chiamata come scelta umana, ma come libertà di lasciarsi scegliere da Dio e a lui abbandonarsi per un progetto generato dal suo amore; non più una decisione fatta una volta per tutte, ma una ricerca continua, che dura tutta la vita, perché per tutta la vita Dio, l’innamorato mendicante dell’amore umano, non cessa di cercare l’uomo e chiamarlo a seguire lui, dove lui solo sa; non più l’affanno vocazionale (da parte di certi animatori vocazionali e forse di alcuni loro superiori), ma la certezza che l’amore di Dio alla fine trionfa sulle resistenze e paure umane. “Perché forte come la morte è l’amore” (Cantico dei Cantici 8,6).
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