ATTUALITÀ - Mondo Voc gennaio 2013 Torna al sommario
“La bellezza salverà il mondo”
Le suggestioni di una bellezza soltanto esteriore, pervasivamente proposte dai modelli dell’attuale sistema culturale, rischiano di far perdere alla persona la dimensione della profondità e dell’interiorità. Papa Benedetto XVI propone un ideale alto di bellezza, e invita a scoprire la bellezza di Gesù Cristo, che è bellezza di servizio e di amore.
di Matteo Sanavio
L’affermazione del titolo si trova nel romanzo l’Idiota di Dostoevskij, nel contesto di un dialogo animato (e annaffiato abbondantemente da coppe di champagne) tra numerosi personaggi. In una battuta, Ippolit Terent'ev, l’amico tisico del protagonista del racconto, attribuisce la frase proprio all’epilettico (e quindi “idiota”) principe Myškin. Affermando che “La bellezza salverà il mondo” il grande scrittore russo apriva una delle sue più riuscite riflessioni sull’estetica, l’amore e la spiritualità.
Con gli anni, tuttavia, la frase è diventata una massima un po’ snob e spesso inflazionata in una società come la nostra, che fa della bellezza (soprattutto esteriore!) uno dei pilastri del successo e della realizzazione personale. Basta prendere in mano una rivista, aprire una pagina web, avvicinarsi agli scaffali di un supermercato, guardare una pubblicità, cercare sulle pagine gialle un centro fitness, un centro benessere o di estetica, e rimanere impressionati per un’offerta smisurata di simili articoli: il mondo che ci viene “proposto” (sarebbe meglio dire: imposto) ci vuole belli, efficienti, circondati da case, persone, animali, ambienti “troppo belli” per essere veri.
“Quale bellezza salverà il mondo?”
Ecco allora che l’interrogativo del povero Ippolit rivolto al protagonista dell’Idiota: “quale bellezza salverà il mondo?” diventa pressante proprio oggi, nel bel mezzo del ventunesimo secolo. Qual è la vera bellezza, quella che ci salverà davvero? E ci viene da ribattere con un’altra domanda: ma non stiamo forse andando verso un mondo dominato dal narcisismo e dall’egocentrismo? A questo proposito sarebbe utile ricordare proprio il mito greco di Narciso (chi non ne conosce la sua triste fine?), scoprendo che già nell’antichità i pensatori si erano accorti di quanto fosse rischioso per l’uomo fermarsi solo alla bellezza esteriore.
In realtà di Narciso non si conosce bene l’antefatto: era un giovane di aspetto avvenente, di cui si era innamorata perdutamente Eco, una ragazza meravigliosa, però con un grande difetto: era troppo chiacchierona. Un difetto talmente pesante che gli dei vollero punirla rendendola quasi completamente muta: poteva ripetere solo le ultime parole che qualcuno le avesse rivolto (da qui l’origine mitica dell’eco!). Narciso, trovandosi di fronte questa giovane troppo “difettosa” per lui, così bello, e ritenendo che non fosse degna di lui, si richiuse nel suo egoismo e decise che non le avrebbe mai rivolto le parole fatidiche: “ti amo”.
Eco quindi morì di crepacuore e gli dei, resosi conto del dramma che si era consumato, condannarono Narciso a ripiegarsi sempre di più su se stesso, innamorandosi perdutamente della sua immagine, fino al punto che, come tutti sanno, vedendosela specchiata in un laghetto e volendola abbracciare, Narciso morì a sua volta, annegato nel fondo dello specchio d’acqua.
“Di bellezza si può morire”
I Greci già erano arrivati alla conclusione che “di bellezza si può morire” se essa viene mitizzata e si rinchiude nell’autoreferenzialità. Di bellezza si può morire, se a quella esteriore non corrisponde un “bello” interiore nell’uomo, che apra alla felicità e al dono di sé. Sembra incredibile, ma questo grande insegnamento vecchio di millenni sembra che non sia penetrato nella nostra società, se è vero che proprio i suoi elementi più sensibili ed esposti, i giovani, ne soffrono profondamente: le statistiche dicono che aumentano i suicidi per futili motivi, si moltiplicano i casi di anoressia, e si spendono miliardi per interventi di chirurgia estetica. D’altra parte, le scelte che comportano una responsabilità condivisa si dilazionano sempre più e il “noi” è ormai entrato in una crisi profonda, perché troppo spesso è fagocitato dall’ “io”. Cosa bisogna fare, allora, di fronte a questo panorama a dir poco sconfortante?
Nell’Anno della Fede Papa Benedetto XVI invita i cristiani ad “evangelizzare” il mondo e la società attuale riscoprendo la bellezza di Cristo Gesù, colui che è stato definito, con un’altra espressione biblica molto fortunata: “il più bello tra i figli dell’uomo”. Certo, a prima vista sembra assurdo: come si può dire, guardando il crocifisso, che quel condannato, ricoperto di piaghe, così ripugnante, sia il più bello tra gli uomini?
Ci vuole coraggio! Ebbene, il messaggio evangelico ripete oggi al mondo che la vera bellezza, quella che salverà davvero l’uomo, è determinata dall’incontro con Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per noi. Gesù ci salva perché ha avuto il coraggio di dirci che l’autentica bellezza l’abbiamo persa scegliendo di dire di no all’Amore. E gli esiti di questa tragedia sono sotto gli occhi di tutti: gli anni in cui viviamo testimoniano che il mito del progresso senza limiti ha distrutto e continua a distruggere proprio l’uomo.
Ci salverà la bellezza dell’amore
La bellezza dell’incontro personale con Gesù, allora, appare estremamente provocatoria ma necessaria e urgente. È la bellezza del servizio, dell’apertura all’altro, della scoperta della dignità altrui, la bellezza dell’amore che diventa decisione di vita, quella che salverà il mondo. Ci piace chiudere con qualche frase di Papa Benedetto XVI che nelle sue catechesi sulla fede, nelle udienze generali del mercoledì, è diventato un interlocutore sapiente della società, proponendo la bellezza e il desiderio di Dio all’uomo di oggi.
“Sarebbe di grande utilità – sostiene il Pontefice – promuovere una sorta di pedagogia del desiderio, sia per il cammino di chi ancora non crede, sia per chi ha già ricevuto il dono della fede. Una pedagogia che comprende almeno due aspetti. In primo luogo, imparare o re-imparare il gusto delle gioie autentiche della vita. (…) Un secondo aspetto, che va di pari passo con il precedente, è il non accontentarsi mai di quanto si è raggiunto. Proprio le gioie più vere sono capaci di liberare in noi quella sana inquietudine che porta ad essere più esigenti – volere un bene più alto, più profondo – e insieme a percepire con sempre maggiore chiarezza che nulla di finito può colmare il nostro cuore” (Benedetto XVI, Udienza generale, mercoledì 7 novembre 2012, Piazza San Pietro, Roma).
La vera bellezza dunque, è nel nostro cuore, se la sappiamo scoprire. La bellezza dell’amore, quella che ci apre agli altri, soprattutto se piccoli e poveri e ce li fa servire, come ci ha insegnato il Cristo, è una scelta coraggiosa, ma forse è anche l’unica che davvero ci salverà.
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