MEDIAEDUCATION - Mondo Voc dicembre 2012 Torna al sommario
IL NATALE NELLA MUSICA SACRA
Quando le note meglio esprimono il Mistero
Affidare il mistero del Natale alla capacità espressiva della musica – come hanno fatto alcuni grandi compositori nella storia – significa correre il rischio di affidare una grande verità della fede cristiana a qualcosa di indeterminato e di ineffabile, ma anche altamente comunicativo e del tutto coinvolgente, specialmente oggi.
di Luciano Cabbia
Molti sono i brani del repertorio classico che celebrano il Natale del Signore. Alcuni più noti, come il Concerto Grosso “fatto per la Notte di Natale” di Arcangelo Corelli, altri meno. Forse non tutti conoscono l’opera per organo di Oliver Messiaen, denominata La Nativité du Seigneur, o la sinfonia n. 2 di Krzysztof Penderecki detta “di Natale”, ma certamente più conosciute sono le composizioni presentate in questa essenziale rassegna.
Il Messia di Haendel, una maestosa tenerezza
L’Oratorio di Haendel, il Messia (in tre parti), è conosciuto per la famosissima pagina dell’Alleluia che conclude la seconda parte. Quella che però qui interessa è solo la prima parte dell’Oratorio che riguarda la promessa, la profezia e il compiersi dell’Incarnazione di Cristo nel Natale (le altre due riguardano la Passione e Risurrezione di Cristo: 2ª parte; e la glorificazione finale di Cristo insieme con la Chiesa: 3ª parte). Fermiamo l’attenzione su uno dei brani più belli dell’Oratorio: “For unto us a Child is born” (“Un Bambino è nato per noi”), nel quale il Coro canta l’annuncio della nascita di Gesù.
Il brano unisce insieme la gioia incontenibile per la divina salvezza che giunge all’umanità (una vera teofania della luce, resa con il canto anziché con i colori), e l’immensa tenerezza che accompagna la nascita di un bambino. La regalità di Gesù e la sua divinità vengono espresse dalla grandiosità del brano, e dal fatto che l’annuncio viene ripetuto quattro volte, quasi a voler dire che il messaggio della nascita di Gesù è rivolto a tutta la Terra, nei suoi quattro punti cardinali. Anche l’aspetto della tenerezza che accompagna una nascita trova spazio nell’andamento di danza gioiosa di tutto il brano. Questo aspetto di intimità familiare viene sottolineato soprattutto dal brano successivo, una Sinfonia pastorale – brano solo strumentale – che è una specie di ninna-nanna. Gli strumenti evocano il suono delle zampogne, mentre il ritmo della musica ci richiama alla memoria l’immagine di Maria che culla il suo Bambino.
Nell’insieme, in questi due brani Haendel ha saputo unire in modo sapiente la proclamazione della maestosità dei nomi messianici di Gesù, espressa da una musica di sfolgorante letizia, insieme con la semplicità domestica di una scena di presepio, cara alla genuina tradizione della fede popolare.
L’Oratorio di Natale di Bach, quando il cielo si unisce alla terra
L’Oratorio di Natale è una delle più famose composizioni sacre di Johann Sebastian Bach. È composto da un ciclo di sei cantate per il periodo natalizio del 1734-1735 ed è tutto intriso della profonda e convinta fede personale del compositore (di confessione luterana). Qui interessano soprattutto le prime tre cantate, che si possono condensare in un quartetto di verbi all’infinito: gioire ed esultare, ammirare ed adorare.
Nella prima cantata la musica rende bene lo stupore, la meraviglia, ma anche il giubilo per la festa. La seconda cantata racconta l’annuncio della nascita di Gesù ai pastori, ed è introdotta da una soave sinfonia che invita ad un momento di contemplazione di fronte al mistero del Dio fatto uomo.
La terza cantata conclude il racconto della Notte di Natale con l’adorazione dei pastori nella grotta di Betlemme. La musica dei pastori si alterna alla musica degli angeli, come se gli esseri umani volessero far propria l’eterea musica celeste, e gli angeli volessero esprimere l’anelito che c’è nel cuore degli uomini, in un interscambio tra alto e basso, tra cielo e terra, ormai uniti per sempre nell’Incarnazione del Verbo di Dio. Quasi a sintesi della meraviglia che si è compiuta, una mirabile aria del contralto canta: «Racchiudi, mio cuore, questo miracolo di beatitudine saldamente nella tua fede! Che questo miracolo, quest’opera divina sempre rafforzi la tua debole fede!».
Il Natale del Redentore di Perosi, l’impazienza di vedere Dio
Di Lorenzo Perosi, occorre qui ricordare Il Natale del Redentore, un Oratorio in due parti (L’Annunciazione e la Natività) del 1899, per soli coro e orchestra. Proprio all’orchestra è assegnato il compito di legare ogni momento dell’opera in un fluire unitario. Un brano di elevata qualità musicale è l’interludio La notte tenebrosa, che segna il passaggio dalla prima alla seconda parte dell’Oratorio. A riguardo di questo interludio, all’indomani della prima esecuzione dell’Oratorio, lo scrittore francese Romain Rolland ebbe a dire: «Quando il coro ripete: veni, veni ad salvandum nos, si ha un grido appassionato e supplicante. È un anelito religioso, una preghiera amorosa e impaziente, di vedere apparire Dio».
“Et incarnatus est” di Mozart, sospesi sull’abisso davanti al Mistero
Un clima estatico di profondo raccoglimento sul mistero del Natale lo si può raggiungere nell’ascolto del “Et incarnatus est” tratto dal Credo della Messa in Do minore (K 427) di Wolfgang Amadeus Mozart, Messa rimasta incompiuta. Siamo qui in presenza di un vertice della musica mozartiana.
Fino a questo punto il coro ha ripetuto il suo “Credo” in maniera decisa, quasi martellante, ma poi, per più di otto minuti, una melodia incantevole del soprano canta il mistero dell’Incarnazione di Dio. Il flauto, l’oboe e il fagotto affiancano la voce del soprano che per tutto il tempo ripete le sole parole del Mistero: “Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est”. È la meraviglia per l’inconcepibile, consegnata ad un canto dolcissimo, è un’ascesa verso l’alto, l’indicazione – resa in una sorta di vertigine sonora – di quale Splendore possa spalancarsi sopra di noi. Ad un certo punto la coloritura stessa del soprano sembra agganciare il cielo, ma poi, su queste tonalità altissime, il canto si interrompe, come se il fiato venisse a mancare, come sospeso sull’abisso che si apre davanti alla rivelazione di un così grande Mistero.
Si è di fronte ad una musica che esprime non solo un’infinita tenerezza, non solo il desiderio di assoluto che abita nel cuore dell’uomo, la sua gioia ineffabile e l’intima riconoscenza per un così grande Dono; ma soprattutto ci troviamo ad ascoltare una musica che esprime l’infinito amore di Dio, che rinuncia alla propria onnipotenza per diventare uno di noi, per rivelarci in Cristo quell’infinito amore che ci salva. “Non è il potere di Dio, ma il suo amore a unire cielo e terra nella nascita di Gesù» (Anselm Grün).
Dopo l’Et incarnatus est, Mozart ha interrotto la composizione del Credo. Dalla sua biografia non risultano impedimenti esterni determinanti. Qualche commentatore ritiene che lo abbia fatto perché non restava più nulla da dire, né in parole, né in musica, quasi si fosse arrivati sulla soglia dell’indicibile: «Chi sente questa musica sperimenta redenzione e liberazione, prova l’incarnazione di Dio sulla propria pelle» (Anselm Grün).
Qualcosa di molto simile la diceva nell’anno 2000 anche il Cardinale Joseph Ratzinger: «Quando in chiesa ascoltiamo Mozart capiamo in maniera meravigliosa cosa significhi Gloria Dei, ossia la gloria di Dio: il mistero della bellezza infinita è palpabile e ci fa sperimentare la presenza di Dio in maniera più viva e autentica di quanto potrebbero fare molte prediche». Anche, forse soprattutto, le prediche nella Messa della Notte di Natale.
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