DIVERSO PARERE - Mondo Voc marzo 2012 Torna al sommario
Grazie all’associazionismo oggi la Chiesa sta vivendo una nuova primavera mettendo in primo piano il ruolo dei laici.
Associazionismo: un segno di speranza per la Chiesa
Prima del Concilio, il mondo cattolico era tristemente diviso in due. Da una parte c’erano i preti e le suore. Dall’altra c’erano i laici. Il termine “vocazione” era utilizzato solo per il clero. Sembrava quasi che, per raggiungere il Cielo, fosse necessario diventare preti. Oggi, invece, soprattutto grazie al contributo dei nuovi movimenti, non è più così. Anche i laici possono vivere pienamente la loro vocazione cristiana, senza necessariamente entrare in convento ed isolarsi dal resto dell’umanità. Anzi, è perfettamente possibile seguire il Vangelo restando nel mondo, con tutti e due i piedi. Occorre tuttavia ammettere che circa il ruolo dei laici la Chiesa mostra ancora alcuni ritardi e che la lezione del Concilio è stata accolta e applicata solo in minima parte.
di Aldo Maria Valli
Il mio lavoro di giornalista che si occupa di religione mi porta a viaggiare, e ogni volta che mi sposto resto stupito da quanto è grande la Chiesa cattolica. Grande nel senso che coinvolge tantissime persone diverse, in forme infinite. Nel nome dell’unico Vangelo, la creatività cristiana riesce a esprimersi in modo sorprendente, perfino nei luoghi in cui meno te lo aspetteresti. Ho trovato cattolici riuniti in gruppi di volontariato e di assistenza anche nei paesi meno cattolici del mondo e anche là dove i cattolici sono guardati con sospetto se non addirittura con astio.
Noi spesso diciamo “Chiesa” e pensiamo al Vaticano o alla gerarchia ecclesiastica. Ma la Chiesa cattolica è una realtà molto più vasta, e l’associazionismo è una delle sue espressioni più forti e radicate.
Da quando, con il Concilio Vaticano II, il ruolo dei laici è stato valorizzato e messo sullo stesso piano di quello dei consacrati, e da quando, in base all’insegnamento dello stesso Vaticano II, si è attribuita al laico la speciale responsabilità di evangelizzare le realtà mondane attraverso la propria opera di ogni giorno, là dove ciascuno vive, l’associazionismo ha fatto registrare una vera esplosione. Al centro c’è la testimonianza, che è fatta di parole ma prima ancora di gesti, di scelte concrete, di comportamenti. È questo il terreno fertile sul quale è nato il fenomeno dei movimenti ecclesiali.
Sul piano storico, occorre ricordare che già molto prima del Concilio voluto da Giovanni XXIII i cattolici si riuniscono per dar vita a organizzazioni tese a soddisfare le esigenze delle persone e dei gruppi. È soprattutto l’impulso di papa Leone XIII (1878 – 1903) a consentire al movimento cattolico, sulla base della dottrina sociale della Chiesa, di imporsi (sia pure fra tante difficoltà e in modo non uniforme) come fenomeno vasto e articolato, non in opposizione alla modernità ma in spirito di collaborazione. Con la Rerum novarum del 1891 Leone XIII affronta apertamente la questione operaia, denuncia lo sfruttamento dell’uomo, difende la dignità della persona, indica la strada per uscire dalla sola dimensione assistenziale e caritativa.
Inizia così un percorso molto articolato, che coinvolge anche la politica, ma che mantiene come punto fermo la centralità dell’impegno dei laici nella società, a tutti i livelli.
Il fenomeno dei movimenti è tuttavia qualcosa di diverso e di tipico della fine del Novecento. Nel momento in cui il messaggio evangelico sembra perdere fascino e capacità di presa, specie sui giovani, i movimenti, grazie alla profezia di alcuni fondatori dai tratti carismatici, riescono a suscitare nuove energie ed entusiasmi.
I giovani sono attratti da questi movimenti perché vi trovano mondi vitali ricchi di stimoli, sul piano religioso ma anche culturale. Vi trovano quel bene così prezioso che è l’amicizia e la possibilità di confrontarsi con i propri coetanei avendo però a disposizione guide sicure, ricche si spiritualità e di saggezza umana.
Un rischio che trapela è quello dell’omologazione. Per stare all’interno del gruppo ed esservi accettati è richiesta in certi casi la rinuncia, in tutto o in parte, all’esercizio del senso critico, anche nei confronti della stessa realtà associativa. Si sviluppano così forme di adesione nelle quali la necessità di “fare gruppo” prevale sull’apertura al mondo e sull’elaborazione personale, situazioni in cui può affiorare una certa sindrome da accerchiamento che si tramuta in atteggiamento aggressivo verso chi non è parte del gruppo e di sospetto verso le realtà esterne.
Resta la grande proposta di fondo: essere nel mondo senza essere totalmente del mondo; riconoscere e respingere gli idoli, proporsi come anima della società lavorando per la giustizia e stando dalla parte dei poveri, sostenere ovunque la dignità dell’uomo in quanto creatura voluta a immagine e somiglianza di Dio, far prevalere l’amore sul male. È la missione di ogni cristiano, e l’associazionismo cattolico è chiamato a realizzarla con quella che il beato Giovanni Paolo II chiamava, significativamente, “la fantasia della carità”.
A proposito del ruolo dei laici occorre però ammettere che la Chiesa mostra alcuni ritardi. Valorizzati sulla carta, soprattutto in campo sociale, restano spesso emarginati quando si tratta di affrontare i problemi della Chiesa stessa. Si possono notare anzi, su questo piano, sintomi di clericalismo di ritorno, quasi che la gerarchie temessero la libertà di giudizio del laico. Sotto questo aspetto bisogna ammettere che la lezione del Concilio è stata accolta e applicata solo in minima parte.
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