STORIE DI VITA - Mondo Voc marzo 2012 Torna al sommario
AMBROGIO SPARAGNA
Il virtuoso dell’organetto
È il suonatore di organetto più ascoltato in Italia e ambasciatore nel mondo della musica popolare riconducibile alla “Taranta”. In tour ovunque, con zampogne e tamburelli, riesce a conquistare platee francesi, russe, oltre che pugliesi e milanesi, facendosi interprete di un patrimonio culturale che racconta chi siamo. Nel 1976 ha fondato a Roma la prima scuola italiana di musica popolare contadina. Per il Giubileo del 2000 ha composto una “Messa popolare”. Attualmente è direttore dell’Orchestra Popolare dell’Auditorium Parco della Musica di Roma.
di Vito Magno
Quando e come è nata la sua passione per la musica popolare?
Gli anni settanta erano anni speciali per il nostro Paese. La passione è nata sulla scorta del desiderio di rinnovare il Paese partendo dalle radici, dal legame profondo con la cultura del popolo. Avevo un grande desiderio di raccontare la storia degli umili, dei poveri, la storia che uno non trova nei libri, ma che, tuttavia, è storia di moltissima gente. Quando eseguo i canti legati al mondo dell’emigrazione italiana come posso dimenticare il dramma profondo vissuto da intere generazioni?
Cosa ha più influito sulla sua formazione?
Sono innanzitutto un etnomusicologo, per cui lo studio della musica popolare, anche in termini scientifici, mi ha molto segnato. E poi sono un musicista che viene dalla terra, una dimensione che non ho mai perso e che vorrei non perdere mai.
Ricerca del passato e studio scientifico dei testi. Quanto c’è, invece, d’improvvisazione?
Molta, anche perché la musica popolare vive nell’innovazione. Non esiste una musica popolare come fatto esclusivo di tipo, chiamiamolo così, “repertoriale”, archivistico. La musica popolare vive in mezzo alla gente, ha bisogno di essere cambiata, trasformata, sentita partecipe, altrimenti è puro esercizio di retorica.
Cosa cerca la gente che viene ad ascoltare la musica popolare a base di organetti, fisarmoniche, zampogne e tamburelli?
Cerca il rapporto con le radici, cerca la sincerità, vuole una musica che arrivi al cuore. Quando suoni questi strumenti entri in un mondo antico, ascolti una voce di altri tempi, ma che ti dà la possibilità di interpretare il presente.
Quali argomenti lo rendono possibile?
Tre grandi temi: quello dell’amore che si può esprimere attraverso la forma della serenata, dello strambotto, delle villotte; poi c’è il canto legato al mondo del lavoro con le sue ansie, le sue difficoltà ed anche con la contestazione contro le irregolarità, le ingiustizie; infine c’è la ricerca spirituale, legata alla fede e alle devozioni popolari.
Queste ultimamente sono le predilette. Perché?
Perché fanno leva su un sentimento semplice, diretto. Soprattutto sono canti dedicati alla Madonna. Trovare nel canto una forma di sostegno è parte integrante della fede.
C’è un santo a cui la devozione popolare fa particolare riferimento?
San Paolo. Si dice che in uno dei suoi viaggi a Malta egli abbia domato un serpente, abbia avuto la capacità di essere superiore alla forza del veleno. Un’ altra figura fortissima è quella dell’arcangelo Michele, il guerriero che colpisce e purifica coloro che riescono a combattere il male.
Bisogna però ammettere che nelle musiche popolari gli elementi religiosi si mescolano a quelli magici, come, per esempio, nei canti della taranta!
Questo fa parte della storia della religiosità popolare. Quante figure abbiamo, ma non solo in Italia, di cosiddetti sincretismi culturali! Certo, andare in Campania, sotto il Vesuvio, e vedere cantare la tamurriata in onore della Madonna è qualcosa di particolare. Assistere, poi, a scene di isterismo, crea imbarazzo.
In che luoghi questo capita più frequentemente?
Nei santuari del Sud, come può essere l’Aspromonte, in un paese come San Luca, a tutti noto per le tragiche vicende legate al mondo della ‘ndrangheta. Qui c’è un santuario dedicato alla Madonna che raccoglie decine di migliaia di persone che suonano, cantano, ballano per tutta la durata della festa. La loro è una devozione sincera.
Cosa capita, invece, quando i nostri canti popolari li porta in giro per il mondo, come ha fatto recentemente in Siberia?
I russi, appena cominciavamo a suonare con i tamburelli, gli organetti, le fisarmoniche, le zampogne, immediatamente, al primo canto, iniziavano a saltare dalle sedie, perché erano completamente presi dal ritmo delle nostre musiche.
Cosa suggerisce per avvicinare ancora di più i giovani, soprattutto delle grandi città, a questo genere musicale?
Suggerisco il metodo della lettura non superficiale, della lettura un po’ più nel profondo, che capisco essere un po’ un’anomalia oggi, però secondo me è quella la direzione: cercare di leggere tra le righe. La musica popolare impone una profondità con se stessi, che poi diventa anche il modo per fare la musica e per dialogare con le persone. La semplicità come esperienza di vita, da cercare sulla strada e direi anche, per parafrasare delle grandi parole, nella musica degli ultimi, perché sono proprio quelli a far parte del Regno di Dio.
Non si sente, allora, un cantante di serie B!
No, assolutamente! Penso di essere a tutti gli effetti un cantante di serie A. Ma non perché ho tanta gente che viene ad ascoltare i miei concerti, ma per la bellezza stessa della musica popolare che è come il pane, tante tipologie esistono dell’una, tante ve ne sono dell’altro.
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