DIVERSO PARERE - Mondo Voc febbraio 2012 Torna al sommario
Preti e suore dell’era digitale
Sono ormai sempre di più i preti e le suore che usano Internet, Twitter e Facebook; ci sono poi i monaci e le monache di clausura che con i loro messaggi in rete valicano i confini dei loro conventi; tante anche le suore-webmaster che gestiscono newsletter e che raccontano la loro vita e dialogano attraverso la webcam. Verrebbe da dire che la rete dei «pescatori di Galilea» è stata in molti casi sostituita da quella delle moderne tecnologie. Ma è davvero questa la strada giusta su cui la Chiesa deve puntare per una moderna e attenta pastorale?
di Aldo Maria Valli
Conosco molti preti che usano Internet, Twitter, Facebook. E conosco suore altrettanto navigate nel … navigare. Mi sembra naturale. Gesù non incontrava forse tante persone e non dialogava con tutti? Non inventò forse un modulo comunicativo, le parabole, per parlare con la gente del suo tempo? E la Chiesa non è forse stata sempre, fin dall’inizio, esperta in comunicazione avendo da trasmettere, letteralmente, una buona notizia? E che cosa sono stati gli evangelisti se non provetti comunicatori?
Secondo una recente ricerca, il 92,9 % dei preti in Italia dichiara di accedere tutti i giorni ad internet, in misura leggermente superiore alla media mondiale (90,4 per cento). Lo studio mostra “un approccio positivo dei sacerdoti alla rete, ma non ingenuo, che non nasconde i rischi e l’importanza di rispondere alla sfida educativa.
“Più che essere presente nello spazio digitale, il sacerdote è invitato ad abitarlo”, ha detto all’Avvenire don Luca Bressan, docente di teologia pastorale alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e nel Seminario arcivescovile di Milano e autore di un’inchiesta, Diventare preti nell’era digitale, pubblicata a puntate dalla Rivista del clero.
Don Bressan, che da anni studia le questioni legate alla pastorale e alla parrocchia in relazione ai nuovi mezzi di comunicazione, spiega che “per un presbitero essere presente in rete non può significare costruirsi un’identità esterna e interpretare Internet come un cartellone pubblicitario del proprio io. La rete è soltanto una delle dimensioni della vita attuale del prete. È giusto che in quanto uomo la viva e quindi la conosca per comprenderne sia le fatiche, sia le opportunità. Ma è necessario che la abiti per quello che è, e non la utilizzi secondo la logica dell’occupazione degli spazi”.
La rete sta modificando l’esperienza del prete. “Sicuramente vengono alla luce tre tratti di trasformazione. Il primo è quello che ha portato il prete a perdere quell’alone di separazione e di sacralità che aveva e quindi lo ha condotto in un sistema di relazioni in cui è allo stesso livello degli altri. Il presbitero, poi, entra in un’era in cui è più difficile essere solo; ne deriva che rientrare in se stessi per sentire la voce di Dio può apparire problematico in quanto si è continuamente sovrastimolati. In terzo luogo, il digitale è per definizione cattolico, nel senso che contiene tutto e permette di essere in contatto con le diversità in un modo che in passato era inimmaginabile”.
Ma non c’è il timore, chiede Avvenire, che l’identità presbiterale acquisisca alcune componenti ambigue del mondo virtuale?
“Penso di sì. E vedo soprattutto due rischi. In primo luogo quello della provvisorietà. Su Internet posso riplasmarmi secondo l’ambito in cui mi trovo. È il contesto a determinare la mia identità. L’altro rischio è l’onnipotenza: potendomi trasformare di continuo, mi è concesso di ridisegnarmi in toto”.
Per un prete è possibile dare un’anima alla rete. “L’importante è che la abiti in modo gratuito, interessandosi al contenuto che si vuole trasmettere, a cominciare dal messaggio di salvezza che viene da Cristo, e dimostrando che si possono costruire relazioni senza un tornaconto personale”. Nella cultura digitale il cristianesimo può essere sicuramente protagonista. “I segni sono al centro di Internet e la tradizione cristiana ci trasmette una radicata capacità di avvalersi dei simboli per annunciare Dio e il senso più profondo dell’esistenza. Probabilmente san Paolo si sarebbe trovato a suo agio davanti a questa sfida perché conosceva bene le regole dei linguaggi e aveva anche il coraggio di ripartire quando le cose non funzionavano”.
Se i preti sono all’avanguardia, le suore non sono certo da meno, come ha dimostrato il corso per religiose blogger organizzato l’anno scorso dall’Istituto superiore di scienze religiose dell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum di Roma.
L’iniziativa ha preso spunto dall’esperienza di una suora olandese, Elvira de Witt, che per sopperire al calo di vocazioni si è inventata dieci anni fa un blog per comunicare e rispondere alle domande delle giovani generazioni.
Uno dei nodi centrali messi in luce dal corso riguarda l’acquisizione di senso critico nei confronti di social network e blog, sistemi che possono creare dipendenza. Molte le congregazioni che chiedono di organizzare incontri su questi temi, perché il web, se non utilizzato adeguatamente, tende a distrarre le religiose dalle attività e dalla loro vocazione.
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