ATTUALITÀ - Mondo Voc novembre 2011 Torna al sommario
Le proposte avanzate ne “Il Cambiamento demografico. Rapporto proposta sul futuro dell’Italia” a cura del Comitato per il Progetto Culturale della CEI per rilanciare il ruolo e la crescita della famiglia.
Stiamo diventando un Paese per vecchi
Nel nostro Paese continua a scendere in modo sempre più vertiginoso il numero delle nuove famiglie e delle nuove nascite. La fecondità è crollata sotto il livello che consente il ricambio generazionale, attestandosi intorno alla media di 1,4 figli per donna. All’Italia serve un patto intergenerazionale senza il quale il Paese non potrà invertire il proprio declino. In sostanza non regge l’equazione “più consumo meno figli”. Quanto piuttosto quella culturalmente opposta: “meno individualismo più famiglia”. Come invertire questa tendenza?
di Salvatore Izzo
In Italia oggi ha meno di venti anni solo un cittadino su cinque, e la stessa proporzione l’hanno raggiunta gli ultrasessantacinquenni. E ciò mentre la durata media della vita - grazie a Dio - ha superato gli ottanta anni e la mortalità infantile si è ridotta a livelli fisiologici. Stiamo diventando cioè un Paese di vecchi, come dimostrano i 500 mila ultranovantenni che vivono nella Penisola. A determinare quello che appare come un rapido e apparentemente irreparabile tramonto dell’Italia in questo secondo decennio del secondo millennio è il fatto che la fecondità è scesa sotto il livello che consente il ricambio generazionale, attestandosi intorno alla media di 1,4 figli per donna. Infatti ormai da tempo le nuove nascite non arrivano alle 600 mila all’anno che occorrerebbero per mantenere l'attuale dimensione demografica di 60 milioni di abitanti, visto che abbiamo un tasso di mortalità attestato da tempo al 10 per cento.
A fotografare la realtà italiana del 2011 è uno studio curato dal Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza episcopale Italiana, che si intitola “Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell'Italia”, pubblicato dagli Editori Laterza. Si tratta del secondo curato dal Comitato presieduto dal cardinale Camillo Ruini dopo quello sull’emergenza educativa, e anche in questo caso non si limita a misurare l’andamento della popolazione dell’Italia (che vede ormai appena 450 mila nascite all’anno) ma propone vie di uscita da questo “inverno demografico” che appare molto più complesso dell’attuale crisi economica. “Da circa tre decenni - si legge nell'introduzione - in Italia si è instaurato un circolo vizioso involutivo da cui il Paese non sembra ancora in grado di uscire. Non solo, il Paese non sembra neppure avere una consapevolezza adeguata alla drammaticità delle sfide che lo attendono”.
Il rapporto è stato presentato lo scorso 5 ottobre dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, e dal suo predecessore, cardinale Camillo Ruini, oggi responsabile del Comitato per il Progetto Culturale, con i demografi Giancarlo Blangiardo e Antonio Golini e il giurista Francesco D’Agostino. “All’Italia - ha spiegato Bagnasco - serve un patto intergenerazionale”. Senza il quale il Paese “non potrà invertire il proprio declino”. In sostanza non regge l’equazione “più consumo meno figli”. Quanto piuttosto quella culturalmente opposta: “meno individualismo più famiglia”.
Per Bagnasco, dunque, il primo nodo è di carattere culturale. “La nostra cultura - ha ricordato - fa talvolta vedere i figli come un peso, un costo, una rinuncia, ma i figli sono prima di tutto una risorsa. E non solo perché nel futuro potranno prendersi cura dei genitori, ma perché già nel presente li interpellano, li sostengono, li incoraggiano”. Quindi “la ragione del calo delle nascite non può essere soltanto di tipo economico. Si tratta piuttosto di una povertà culturale e morale, che ha di molto preceduto lo stato di innegabile crisi che caratterizza la congiuntura presente”. “Non vi è dubbio - ha sottolineato, infatti, Bagnasco - che una società in cui si interrompe la catena generativa e si blocca il circuito della testimonianza tra le generazioni è una società impoverita e destinata a isterilirsi, oltre che a rivelarsi miope sotto diversi profili”.
Lo stesso presidente della Cei denunciò già a maggio scorso che “stiamo andando verso un lento suicidio demografico” e i numeri avvalorano questa amara considerazione: “in Italia - ha osservato il demografo Blangiardo - c’è una media di 1,4 figli per donna, ma un desiderio di maternità di 2,2 figli per donna”. Dunque occorre che questo desiderio non sia frustrato da altre cause. Altrimenti, “dopo aver assistito in questi anni al sorpasso del numero dei nonni (over 65) sui nipoti (under 20), tra breve avremo quello dei bisnonni (over 80) sui pronipoti (under 10). In sostanza, come ha fatto notare Golini, “l’Italia è gravata non solo dal debito pubblico, ma anche da quello demografico, che sarà molto più difficile da saldare”. Ragion per cui non c’è un attimo da perdere. “È’ necessario eliminare - ha sottolineato D’Agostino - gli ostacoli che sterilizzano la famiglia, senza che però ciò avvenga tramite interventi coercitivi dello Stato”.
Da parte sua, il cardinale Ruini ha ribadito l’impegno della Chiesa di fronte ai problemi demografici sui quali “non ha smesso di insistere”. Il porporato ha rilevato che l’incremento degli immigrati e i ricongiungimenti familiari, “al di là dei problemi di sostenibilità che comportano, non sembrano in grado di rappresentare una vera soluzione”. Ed ha ricordato che altre nazioni “non troppo dissimili da noi - come in particolare la Francia - si sono mostrate in grado di affrontarlo”. Sono due i fattori capaci di influire sull’andamento delle nascite: “il primo - si legge nel Rapporto-proposta - è costituito dagli interventi pubblici, cioè da una serie organica di provvedimenti di lungo periodo rivolti non a premere sulle coppie perché mettano al mondo dei figli che non desiderano, bensì semplicemente a eliminare le difficoltà sociali ed economiche che ostacolano la realizzazione dell’obiettivo di avere i figli che esse vorrebbero”.
Il secondo ordine di fattori si colloca a un livello più profondo, “quello delle mentalità” quindi “dei vissuti personali e familiari e della cultura sociale, che influiscono potentemente sui comportamenti demografici”. Ruini ha detto che “giustificare una politica questo genere è abbastanza facile: i figli - infatti - rappresentano un bene pubblico, e non soltanto un bene privato dei loro genitori”. Ma nelle politiche sociali per la famiglia “l’Italia è certamente in grave ritardo, un ritardo da riparare iniziando subito col mettere in campo un impegno adeguato alla posta in gioco e molto prolungato nel tempo”. Però esistono “due vantaggi potenziali” vale a dire “la solidarietà interna e la rilevanza sociale delle famiglie italiane”. Una sinergia che “per essere efficace deve rendere consapevoli e coinvolgere ciascuna delle componenti della nostra società”. Lo scopo di questo Rapporto-proposta, ha concluso l’ex presidente della Cei, “è proprio far penetrare nell’intero corpo sociale la consapevolezza della sfida demografica con cui l’Italia deve inevitabilmente misurarsi”.
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