ORIENTARSI - Mondo Voc novembre 2011 Torna al sommario
Una storia nella quale si può ritrovare la verità fondamentale di ogni vocazione.
DAVIDE: una vocazione emblematica e paradossale
Quella di davide è una storia vocazionale piena di contrasti e paradossi, di santità e di peccato, una storia nella quale ciascuno può rispecchiarsi e ritrovare la verità fondamentale del proprio cuore e della propria vocazione.
di Amedeo Cencini
La vicenda di Davide è tra le più significative delle storie di personaggi biblici, per quel che ci rivela di Dio e dell’uomo, del Chiamante e del chiamato. È una storia anche di contrasti e paradossi, di santità e di peccato, storia nella quale ognuno di noi si può rispecchiare e ritrovare la verità fondamentale di ogni vocazione: è il Padre il suo autore e realizzatore, è il Figlio il suo punto di arrivo.
“Forse tu mi costruirai una casa?”
Davide, il re buono, soprattutto agli inizi, vuole costruire una casa per il Signore, una dimora stabile che sostituisca la tenda che custodiva l’arca di Dio e che sia degna della sua gloria. Progetto lodevole, che attira subito l’approvazione del profeta. Così come quando uno si consacra alla causa del Regno, tanto meglio se pubblicamente, e suscita di solito il plauso generale, a partire da quello della sua guida. Ma il Signore, nel caso di Davide, non si unisce agli applausi: “no, non sarai tu a costruirmi una casa, sarò io – semmai – a darti dimora, discendenza, futuro, successo… Come, per altro, ho già fatto finora, da quando ti ho preso dal pascolo rendendoti re di Israele”.
Noi siamo sempre preoccupati di dare qualcosa al Signore, e quando ci sembra di farcela ci sentiamo eroi e benefattori, servi utili e santi subito. Se invece fossimo capaci di accorgerci di quanto il Signore ha già fatto per noi, per lasciare che sia ancora lui a realizzarci! Seguire la propria vocazione vuol dire in realtà permettere al Padre Creatore di portare a termine in noi il suo disegno delle origini. Vuoi mettere la tua autorealizzazione, gestita e pasticciata da te, a confronto con quello che Dio e solo lui può realizzare in te?
“Ho peccato contro il Signore”
Davide l’aveva combinata proprio grossa: adulterio, omicidio dell’inconsapevole rivale in amore, violenza calcolata, abuso di potere... e – quel ch’è peggio – nessuna coscienza del proprio male. Ma Dio non lo molla. E gli manda il profeta a raccontargli la storia di quel riccone egoista, che ruba l’unica pecora di un povero, per fargli comprendere la gravità del suo gesto. Davide ammette lo sbaglio, e Dio continua con la sua pedagogia perdonandolo ma anche facendogli sperimentare un dolore immenso: quello della malattia e morte del figlio. Non è un Dio punitivo che fa questo, ma un Dio che educa il figlio suo a cogliere il senso e la coscienza del peccato, a sperimentare nel suo dolore quello del Padre Dio per un figlio che rischia di perdersi. Ma al quale lo stesso Dio in ogni caso resta fedele.
Davide è grande nel peccato, ma ancora più grande nel riconoscerlo; si può dire che si lascia formare dalla sua esperienza di peccatore, o lascia che Dio lo educhi anche attraverso di essa, educhi il suo cuore di padre e pastore del suo popolo, lo renda umile e bisognoso di quella salvezza che può venire solo da Dio e che non è solo cancellazione di una pena e di una colpa.
“Miserere mei Deus”
Il salmo 51 è l’espressione più alta della coscienza di peccato, quella duplice consapevolezza che unisce il senso della gravità e radicalità della colpa (“nel peccato mi ha concepito mia madre”) alla certezza del perdono come atto ri-creativo del Creatore nei confronti della creatura (“crea in me un cuore puro”). Davide in questo ci è davvero maestro: nessuno, forse, come lui ha scandagliato la sconfinata capacità di fare il male del cuore umano, ma nessuno come lui ha vissuto il perdono di Dio come creazione nuova, chiamata inedita, gesto di fedeltà dell’Altissimo, sapienza segreta del cuore, gioia infinita dell’abbraccio del Padre.
Vuoi proprio sapere se stai vivendo o cercando bene la tua vocazione? Intérrogati sulla tua coscienza di peccato, anche se può sembrarti strano. Perché questo è il segno inequivocabile che stai camminando lungo la via di Dio, che è anche la tua via, quella che ti porta a scoprire il tuo cuore fin nei suoi recessi più segreti, senza spaventarti né raccontarti balle (“tu gradisci la sincerità nel mio intimo”), ma soffrendo la tua colpa e scoprendo in fondo a essa quella divina tenerezza che rende lo “spirito saldo” e il “cuore puro, …più bianco della neve”. Più ti avvicini a Dio e più prendi coscienza della tua fragilità; più soffri il tuo peccato e più ti sentirai avvolto dall’abbraccio del Padre. Solo a questo punto hai qualcosa di importante da dire e annunciare ai tuoi fratelli (“insegnerò ai ribelli le tue vie”), sennò parli a vuoto e sei insignificante, e tradisci la tua vocazione.
“Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: ‘ Maledici Davide!’ ”
Davide fa anche l’esperienza del tradimento, da parte del figlio Assalonne, e della maledizione di Simei, della casa di Saul. Ma vive tutto ciò senza sentirsi oppresso o colpito ingiustamente, senza vittimismi né spirito di vendetta e rivalsa, ma con quel cuore contrito di cui dicevamo prima. Giungendo a vivere anche la maledizione come mezzo di purificazione, addirittura come strumento inedito di formazione.
Credo che sia il massimo della libertà umana: lasciarsi formare dalle situazioni negative, dai nemici, da chi ti si oppone e ti manda a quel paese…
Nelle mani dell’Eterno anche il male che sembra accanirsi sulla nostra persona può divenire mediazione, per quanto misteriosa, di quel cammino educativo che è il Padre a portare avanti in ciascuno di noi attraverso il suo Spirito, ogni giorno e in ogni circostanza, anche quelle che sembrano le meno indicate. Come fossero delle chiamate continue, a esser sempre più conformi all’immagine del Figlio. Colui che sarà il discendente di Davide. E che ogni vocazione, nella sua umana fragilità, annuncia.
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