Matrimonio in crisi tra i giovani. Perché?
Emergenza matrimonio
Il grande passo rappresentato dal matrimonio sembra spaventare sempre più i giovani. Tutte le statistiche sono concordi nell’affermare che il “matrimonio” oggi è in crisi. Quali i motivi di questo calo del desiderio di ufficializzare la propria unione? Le cause sono molte e complesse. Eccone le principali.
di Sandro Perrone
Tutte le statistiche sono concordi nell’affermare che il “matrimonio” oggi è in crisi. C’è stato – e continua a crescere – un vero crollo nei matrimoni religiosi, spesso superati da quelli civili. Ma se è vero che Roma piange, Milano certo non ride, ed ecco che si scopre che anche quest’ultimi sono in crisi, segno che non è (solo) il problema religioso quello che frena il matrimonio. Quali le cause? Molte e complesse. Possiamo soltanto provare ad accennarne qualcuna.
1. Generazione senza lavoro
Manca il lavoro: l’ultima rilevazione Istat (febbraio 2011) rileva il tasso di disoccupazione all’8,4%. Il tasso di disoccupazione giovanile si attesta intorno al 28,1%. Gli inattivi tra i 15 e i 64 sono stabili al 38%. Naturalmente le statistiche vanno lette bene, e così si scopre che al Sud quasi una donna su due nella fascia tra i 15 e i 24 anni, ossia il 42,4% della popolazione femminile, è disoccupata. Ancora più rilevante, poi, è il divario tra maschi e femmine per quanto riguarda il tasso di inattività: sempre nel Mezzogiorno è pari al 48,8%, ma da parte delle donne il livello di mancata partecipazione al mercato del lavoro raggiunge il livello del 62,8%. Anche al Nord e al Centro la percentuale di donne senza lavoro è molto più alta rispetto a quella degli uomini: al Nord è del 27,3% e al Centro del 31,3%. Ma c’è di peggio, perché un giovane su quattro né studia né lavora né cerca lavoro. Anche per un laureato, uno specializzato riesce sempre più difficile trovare lavoro e “sistemazione”.
La “fuga dei cervelli” è composta quasi esclusivamente da giovani che, stanchi di aspettare inutilmente, preferisce cercare lavoro e fortuna all’estero, dove le condizioni economiche sono migliori. Senza un lavoro sicuro, senza una sistemazione economicamente stabile e certa, di fatto è mera utopia pensare a sposarsi e a mettere su famiglia. Quand’anche un giovane volesse sposarsi, deve uscire di casa e trovarsi un’abitazione propria. Ma, soprattutto nelle grandi città, trovare una casa decente è più difficile di un terno al lotto, a meno che non si possiede un ricco portafoglio, ma i giovani, si sa… E’ quasi giocoforza rimanere in famiglia, con mammà e papà, a fare i “bamboccioni” in attesa di una “sistemazione” stabile e sicura. Intanto il tempo passa…
2. Generazione 1000 euro o call center
Non è sempre così, naturalmente: c’è chi il lavoro lo trova, ma è un eterno “precariato”, senza certezze e senza futuro: contratti part-time, a termpo determinato, a progetto, con salari di fame (in genere, per un lavoro che arriva fino alle 12 se non 14 ore al giorno, non si superano gli 800 euro, ma al Sud sono capaci di arrivare a meno di 300!), sempre con l’incubo della delocalizzazione o esternalizzazione (outsourcing, fa più fine!), che sposta il lavoro dove costa meno: Albania, Romania, Tunisia, perfino Argentina, nonostante il problema del fuso orario. Così nasce e vive una generazione call center, una generazione precaria e instabile, sempre sull’orlo di una crisi di nervi o esistenziale. Altro che Generazione 1000 euro di Massimo Venier! Qui siamo a meno della metà! In una situazione del genere, come programmare la propria esistenza, come pensare di costruirsi una famiglia?
3. Generazione Peter Pan
Ma ci sono anche altre ragioni di diversa natura ma non meno importanti e gravi. Soprattutto in alcune regioni del Nord non c’è crisi di lavoro, anzi, si importano extracomunitari a volontà, per fare quello che i giovani del posto rifiutano di fare. C’è lavoro e i soldi non mancano. Le solite statistiche ci fanno sapere che (a Nord e a Sud) sono circa 10 milioni i “giovani che non vogliono crescere”: è la “generazione Peter Pan”. Questi “giovani” non è che si rifiutano di crescere, semplicemente. È che sono convinti nell’intimo di poter prolungare l’adolescenza fino all’arrivo dei capelli bianchi. E anche oltre. Sono i nuovi “quarantenni”. Potremmo chiamarli: second teen, se soltanto fossimo su Second Life. Ma la verità è che non c’è bisogno di andarli a cercare nella realtà virtuale di un computer.
Questi quarantenni adolescenti, quasi dieci milioni di italiani, sono in mezzo a noi. Viene subito in mente il film di Federico Moccia, Scusa ma ti chiamo amore. In questo caso è un quarantenne bello e fascinoso come Raoul Bova che perde la testa per una teenager in carne ed ossa. Un paio d’anni prima i quarantenni ben più cupi di Gianluca Tavarelli in Non prendere impegni stasera danno un flash su una generazione ancora alla ricerca di tutto. Su diverso versante, un altro film che ha sbancato i botteghini: Sms. Sotto mentite spoglie di Vincenzo Salemme segue genitori quarantenni che è davvero difficile distinguere dai loro figli. Quale è la differenza con un adolescente? Nessuna, nemmeno a guardare i numeri dell’Istat: quei 10 milioni di eterni ragazzi hanno le stesse “passioni” dei loro “figli”: discoteca, sport, pochi legami stabili.
4. Generazione Arrós covat - Riso scotto
In spagnolo c’è un’espressione idiomatica, che si può tradurre: “ti si scuoce il riso” (se te pasa el arroz) e si riferisce al passare del tempo. Più in concreto si riferisce alla perdita di occasioni rappresentata dal passaggio da un’età a un’altra - quando il riso si scuoce, non c'é niente da fare... non ha più lo stesso sapore. E proprio Arrós covat (Riso scotto) é il titolo di un piccolo successo televisivo made in Barcelona di quest’inverno, coronato non solo da buoni ascolti, nonostante che sia parlato prevalentemente in catalano, lingua che agli spagnoli risulta particolarmente ostica, É facile infatti ritrovarsi nelle avventure tragicomiche del trentenne Xavi Masdéu, alter ego dell’illustratore Juanjo Sáez, che soffre dei conflitti identitari di una generazione che della sindrome di Peter Pan ha fatto la sua bandiera.
La giovinezza è passata (il riso è scotto!), ma la si prolunga artificialmente con atteggiamenti e pose rubate ai ragazzini: vengono in mente certe mamme che si mettono i vestiti delle figlie. C’è il rifiuto di crescere, ma anche la volontà di “restare ragazzi”, con il rifiuto di impegni e di responsabilità (basta pensare al vergognoso scaricabarile a cui si assiste in campo politico e sociale: non è mai “colpa” di nessuno!) Tutta una pedagogia da combattimento li ha convinti, da quando erano in fasce, che la responsabilità (e la colpa) non si prende mai, perché tanto è della società, dell’ambiente, del clima, del tempo, magari anche del Padreterno. E il tempo passa: a 50 anni, come Michael Jackson, si vuol essere ancora ragazzini, passerotti che fanno fatica a lasciare il nido, cresciuti nella bambagia e incapaci di prendere il volo.
5. Generazione “Grande Fratello”
Cresciuto nella generale incertezza e confusione, hanno come modello quello che passa la televisione (o You tube): l’importante non è essere, ma apparire. Se un quarto d’ora di celebrità non si nega a nessuno (Andy Warhol dixit), oggi, una volta che si è andati sotto i riflettori, non si vuole più uscirne, costi quel che costi. Così le trasmissioni cult sono il Grande Fratello o Uomini e donne, ecc. non importa, quello che conta è andarci e restarci. Peccato che siano pochi i fortunati. E gli altri? Restano a guardare, a sognare, a desiderare, disposti a tutto pur di essere famosi: a distruggere una scuola, a dare fuoco a un barbone, massacrare un extracomunitario, stuprare in branco una coetanea e filmare tutto col telefonino, altrimenti perché si fa? Poi si troverà di sicuro un Solone pronto a condannare l’universo intero (lo stesso che prima ha giustificato tutto), ma finendo per dire che in fondo sono “bravi ragazzi” o “adolescenti tranquilli”, che cercavano di combattere la noia, “perché non avevamo niente da fare!” Inutile parlare d’impegno e di resposnabilità. E’ più facile rimandare a domani quello che non si vuole o non si può fare oggi e domani avrà un altro domani e così all’infinito, in un meraviglioso crescendo rossiniano. Il sogno è sempre quello di fare la velina o il tronista. Poi ci si meraviglia che l’Olgettina sia il quartiere più conosciuto d’Italia…
6. Generazione virtuale
L’attuale generazione dei giovani è la prima della storia che è stata nutrita a pane e web, pane e cellulare, pane e 3-D. Il risultato è che molti non riescono a distinguere il reale dal virtuale e viceversa. Fenomeni come Twitter e, soprattutto, Facebook hanno cambiato la comunicazione interpersonale. Creato nel 2004, oggi Facebook ha oltre 500 milioni di utenti attivi in tutto il mondo; in Italia sono più di 17 milioni. Anche la povera Sarah Scazzi era iscritta al sito (basta avere 13 anni) con un profilo falso, come fanno tanti, non sempre bene intenzionati. E’ più facile comunicare con uno sconosciuto distante centinaia o migliaia di chilometri (o forse solo pochi metri), dietro lo schermo dell’anonimità, assumendo l’aspetto e la personalità che più si desidera, senza alcuna responsabilità, dicendo quello che non si ha il coraggio di pronunziare apertamente, con rapporti e relazioni fasulli e distorti, con amicizie e conoscenze altrettanto fasulle se non pericolose. Il reale è pesante e diffisile, il virtuale bello e facile. Si vive sulla nuvoletta rosea e dorata, cullati dalla fantasia, guidati dai sogni, alla ricerca dell’Isola che non c’è, con la bellezza fascinosa di Riccardo Scamarcio o Robert Pattinson, con la fama della Pausini, dell’Amoroso, della Hunzicher anche se uno è una cozza o il nipote del gobbo di Notre Dame. La realtà è dura, meglio sognare.
7. Generazione game over
A margine, mettiamo un’ultima generazione, dei fan di Xbox, console simili. La fantasia non ha più limiti, imitata solo dalla disponibilità economica. E’ il mondo avatar in cui tutto è possibile. In Facebook rimani comunque una persona, ma qui puoi diventare mostro e serial killer, predone o don giovanni senza limiti né barriere: sesso, sangue, violenza, morte, distruzione,: tutto è possibile, tutto a portata di mano. Game over, è finita la partita. Nessun problema: Insert coin si ricomincia. Al pc un semplice Reset ti permette di azzerare tutto e ricominciare quando vuoi. Il virtuale – soprattutto 3-D – si sovrappone e sostituisce al reale, abituando a pensare che sia possibile farlo sempre. Peccato che il sabato sera l’incidente o lo sballo di droga non sia virtuale e i morti siano veri!
Conclusione
È possibile ritornare al punto di partenza: per queste generazioni cosa rappresenta il matrimonio? Anzi è ancora possibile parlare loro di matrimonio, di assunzione di responsabilità, di formarsi una famiglia, con legami stabili e duraturi con il peso e la gioia di una nuova generazione che nascerà? O non è piuttosto una bella utopia, buona magari per anziane nonne e zie trepidanti?
Un mondo di giovani formato da queste generazioni (e da altre che si potrebbero aggiungere) è in grado di affrontare questa sfida? Apparentemente, sembra di no. Per fortuna non tutto il mondo è così né tutti i giovani sono così (saremmo rovinati!), ma se le statistiche hanno una logica, buona parte dell’attuale generazione giovanile è così: è una generazione che trema ed ha paura al solo pensiero del matrimonio. Non fa quindi nessuna meraviglia se si preferisca la scelta (meglio sarebbe dire non-scelta) della convivenza, più facile, meno impegnativa, senza responsabilità e senza “pesi”.
Su un altro versante, la stessa difficoltà si manifesta nel campo vocazionale: molti giovani si dicono non preparati agli impegni definitivi, ai legami forti (che di conseguenza rifiutano): la consacrazione religiosa, il celibato sacerdotale, la scelta definitiva per il Signore (i voti perpetui), visti come un “giogo” troppo pesante e troppo assoluto. Si tratta in genere di giovani buoni, impegnati, volenterosi, che lavorano nella Caritas parrocchiale o diocesana, inseriti in associazioni di volontariato, che fanno campi scuola e di lavoro anche in terra di missione, ma sempre nell’orizzonte del “limitato”, del “tempo determinato”. Non si sentono pronti e capaci di scelte definitive che vengono rimandate indeterminatamente nel futuro, quando si pensa che si sarà “maturi” e non se ne potrà fare a meno. C’è la fede, verrebbe da dire, ma debole e piccola, un “lucignolo fumigante” di cui parla la Scrittura.
Sembra evidente che, se tali problemi incontrano coloro che comunque “credono”, è difficile che faccia delle opzioni diverse chi non crede, chi non ha un supporto religioso, un legame stabile e forte con Dio, che illumina nelle decisioni da prendere e sorregge nel cammino intrapreso. Il matrimonio cristiano è indissolubile, è per sempre. Il matrimonio civile ha la scappatoia del divorzio. La convivenza si scioglie quando si vuole. Non è sempre e solo un fatto religioso, è un cambiamento culturale, antropologico, quello che ha interessato e continua a interessare il nostro Paese, e che pone delle domande molto impegnative alla comunità cristiana.
La sfida è forte, terribile. Papa Benedetto XVI ha parlato varie volte di “emergenza educativa”, lanciando un allarme che forse non è stato completamente accolto. È necessario invece scendere in campo con tutto il coraggio che viene dalla fede, sostenuti dalla forza del Vangelo, impegnati per la costruzione del Regno. Questo è il tempo che ci è dato vivere. Qui e ora occorre dimostrare di essere “costruttori di pace e di bene”.
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