ATTUALITÀ – Mondo Voc gennaio 2011                                                                 Torna al sommario



Il centro di attrazione delle nuove generazioni.

 

Non tutti i miti sono sbagliati

 

Quando si parla di miti si pensa subito ai trascinatori di platee di giovani in una notte di musica assordante, alle veline o ai campioni di calcio considerati alla stregua di dei o eroi. Ma è un mito anche chi è capace di donare la vita, come San Massimiliano Kolbe, Dietrich Bonhoeffer, Madre Teresa di Calcutta, Giovanna Beretta Molla che affascinati da Cristo, hanno lasciato tutto per seguirlo.

 

di Alessandro Greco

 

concerto_rockOggi è molto diffusa la cultura dell’immagine e il potere della moda che fanno presa sugli adulti e, in particolare, sul mondo giovanile. Il fenomeno è visibile sia in riferimento a prodotti commerciali, sia in riferimento a persone o personalità pubbliche che ne fanno ampia pubblicità, specialmente quando si tratta di figure che hanno una fortissima presa sui giovani. E anche sui bambini.

 

Senza spendere il proprio tempo nel ricercarne nell’antichità l’origine, ai nostri giorni il mito nasce più o meno, così, come proiezione del proprio io, di ciò che si vuole essere. È la proiezione della propria mania di grandezza e delle proprie mete che, a volte, superano le possibilità umane.

 

Il mito, che rimanda a gesta di dei o di eroi, secondo la concezione del mondo classico, diventa il centro di attrazione delle nuove generazioni che fanno il possibile per emularli, considerando le persone comuni, che vivono tra noi, alla stregua di dei o di eroi. Ciò accade quando i giovani sono fortemente attratti da personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport, della moda, ma meno del mondo culturale, sociale o religioso.


Il mito, nella sua accezione più ricorrente e immediata, non richiama questioni filosofiche o teologiche, ma un modo di vivere di questo tempo della nostra storia con i condizionamenti dai quali tutti siamo limitati.


Dal punto di vista pedagogico, il fenomeno è preoccupante per una serie di motivi. Prima di tutto, diventa sempre più ricorrente l’atteggiamento dei giovani di fronte alla comparsa, sul proprio cammino, del proprio o dei propri miti che, a volte, porta allo smarrimento della ragione e alla perdita della propria personalità, anzi della propria identità. In secondo luogo, il problema si fa serio per la famiglia e per tutte le altre istituzioni educative le quali, tra le loro mete, non hanno certamente la creazione e la cura del mito.

 

Dal mio punto di vista, concentrando la propria attenzione su tale fenomeno, non si fa che promuovere l’effimero, avendo come riferimento personaggi ed eventi che durano una stagione. Poi si sprofonda nel nulla. Con il venir meno dei propri miti, si diventa preda dell’angoscia.

 

Ma non ci possono essere risvolti positivi? Certamente sì. Dipende da ciò che si vuole essere e da ciò che si vuole realizzare; dipende dalla propria mentalità, dalle prospettive, dalla cultura che si respira. Infatti, se ci sono giovani che credono di riempire la propria esistenza non perdendo mai un concerto, a qualunque prezzo, in qualunque luogo, con condizioni climatiche di qualunque tipo, per seguire il proprio mito, vi sono giovani che hanno prospettive radicalmente diverse.

 

Il mio riferimento non è generalizzato, ma intende fermarsi calcuttaall’ambito strettamente religioso, all’interno del quale, non mi sentirei di parlare di mito, ma di importanti punti di riferimento costanti che danno senso all’educazione, alle scelte fondamentali, ad un modo di vivere ricco di ideali.

 

Il primo pensiero, mi sia consentito, va a Cristo, alla sua identità, alla sua missione. Nei giorni del Natale appena celebrato, nell’ineffabile mistero noi consideriamo il Figlio di Dio come l’ideale di uomo perfetto che con l’intera sua esistenza e con il suo insegnamento si è donato come pienezza della vita. Il suo esempio è stato seguito da coloro che da Lui sono stati chiamati o che da Lui sono stati attratti; sono coloro che hanno compreso il senso delle sue parole: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo la salverà» (Mc 8,35).

 

Nelle parole di Gesù è molto chiara la prospettiva evangelica, soprannaturale, del Regno con i suoi valori. Spendendo la vita per tutto ciò, essa è guadagnata, davanti a Dio, nell’amore, per l’eternità. Umanamente, si perde tutto, materialmente non si possiede nulla perché il vero bene, la pienezza di ogni bene è Dio. Si tratta della vita spesa per Cristo e per gli altri. Per seguire tale ideale, sarebbe sufficiente il proprio rapporto vitale con Lui.

 

beretta_mollaLa nostra umanità, però, ha bisogno di essere incoraggiata attraverso esempi, modelli concreti che potrebbero essere considerati, in una forma molto generica, miti. Benedetto XVI, nella Spe salvi, indica la figura di Bakita. Ma chi non conosce i missionari martiri che ogni giorno arricchiscono il martirologio? Chi non conosce tante persone generose che consacrano la vita agli altri, rinunciando a tutto, perdendo cioè la propria vita? Tra costoro, non vi sono solo sacerdoti, suore o frati, ma laici, uomini e donne, giovani e adulti. Tra costoro si potrebbe individuare il proprio mito per spendersi donando la vita agli altri. Sono tanti coloro che hanno messo e mettono in pratica questa parola di Gesù. E non sono soltanto i Santi di cui la storia della Chiesa è molto ricca, forse più di santi sconosciuti che di santi noti e venerati.

 

Miti sono i trascinatori di platee di giovani in una notte di musica assordante, le giovani donne anoressiche che hanno un seguito sempre crescente; è un mito chi si fa beffe della legalità, chi si fa giustizia da sé, chi è capace di crearsi un impero economico. Ma è un mito soprattutto chi è capace di donare la vita, come S. Massimiliano Kolbe, Dietrich Bonhoeffer, Madre Teresa di Calcutta, Giovanna Beretta Molla ed una moltitudine immensa che nessuno potrà mai contare.

 

 

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