kolbe4 maggio 2014

Ribelli per amore

Il 25 aprile rievoca storie di martirio e testimonianza cristiana di laici e religiosi che si sono spesi per la libertà delle generazioni future.

La “Resistenza” cattolica e cristiana contro il nazifascismo ma anche la lotta contro tutti i totalitarismi, anche quelli espressi dalle ronde vendicative comuniste nei paesi occidentali, rappresentano un esempio di testimonianza cristiana fino al martirio che ha coinvolto centinaia di religiosi, presbiteri e laici in Italia e in Europa. Nel giorno del ricordo della Liberazione è importante ricordare storie e di eroica cristianità di donne e uomini, alcuni già riconosciuti dalla Chiesa beati che hanno sacrificato la loro vita per le generazioni future.

I partigiani bianchi “ribelli per amore”

"Nella tortura, Signore, serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Ti preghiamo, Signore, noi ribelli per amore". È una delle più note frasi di “Ribelli per amore”, la preghiera dei partigiani composta da Teresio Olivelli, partigiano cattolico, oggi servo di Dio, morto il 22 gennaio 1945 nel lager nazista di Hersbruck. È la storia di un giovane che si accompagna a centinaia di altre. Il piemontese Gino Pistoni è stato uno dei più celebrati martiri cattolici della Resistenza, che fece parte delle formazioni garibaldine in Valle d’Aosta, o Aldo Gastaldi ‘Bisagno’, l’autorevole capo della banda Cichero (poi inquadrata nelle formazioni garibaldine) in Liguria, o ancora il padovano Luigi Pierobon, comandante della brigata “Stella” all’interno della divisione garibaldina “Ateo Garemi”, fucilato dai fascisti. In Romagna il beato Alberto Marvelli, illustre esponente del movimento cattolico, fu protagonista degli anni della lotta di liberazione, proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 2004. Furono garibaldini Benigno Zaccagnini e Pietro Pironi, giovane dirigente della Giac nel riminese, poi giustiziato in Germania. In Umbria Antero Cantarelli, presidente diocesano della Giac di Foligno, comandò la 4a brigata garibaldina, nella quale militavano altri giovani cattolici della zona. In Veneto è fondamentale il ricordo del martirio dei fratelli Flavio e Gedeone Corrà. La loro storia è raccontata con grande pathos nel volume di Andrea Tornielli e Jacopo Guerriero “Partigiani di Dio”. Erano due giovani “normali” della campagna veronese, l’uno esuberante, l’altro timido, innamorati di Cristo e della Chiesa, studenti di Azione Cattolica, frequentatori di canoniche e amici sacerdoti, ma anche di allegre scampagnate con gli amici e compagni d’infanzia e università. Testimoni e martiri morti nel campo di concentramento di Flossenbürg.

E ancora non si può dimenticare altri personaggi per troppo tempo rimasti noti solo nell’ambito locale o a quello degli studiosi: preti come don Aldo Mei, don Giuseppe Morosini o don Pietro Pappagallo, oppure a donne di straordinarie capacità come Anna Maria Enriques Agnoletti.

Infine meritano Odoardo Focherini e padre Placido Cortese e Giovanni Palatucci (per citare solo tre tra le tante vittime cristiane della propria generosità verso i perseguitati), o di nuovi “Giusti tra le nazioni”, compreso un cattolico-fascista come l’ex podestà di Cagliari Vittorio Tredici. Ovviamente l’impegno per la salvezza attraversò tutte le comunità cristiane: basti qui ricordare il nome del pastore Tullio Vinay.

I giovani della Rosa Bianca e l’arcivescovo Van Galen con il nazismo

I giovani eroi della “Rosa Bianca”, partigiani anti-nazisti di matrice cristiana erano cinque studenti: i fratelli Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, tutti poco più che 20enni, sostenuti e aiutanti dal professore Kurt Huber. La Gestapo li arrestò e dopo sommario processo li condannò. Schmorell e Huber furono ghigliottinati il 13 luglio 1943. Graf tre mesi dopo, il 12 ottobre 1943. «Figure come i giovani della Rosa Bianca, il colonnello Hans Oster e il reverendo Dietrich Bonhoeffer, il vescovo di Munster, Clemens August von  Galen e il colonnello von Stauffenberg testimoniano ancora oggi», scriveva Giovanni Maria Vian direttore de L'Osservatore Romano, «il  tentativo di opposizione al nazismo».

Padre Massimiliano Kolbe e Dietrich Bonhoffer

Padre Massimiliano Kolbe era un frate francescano deportato dai tedeschi nel campo di concentramento di Auschwitz. Durante la prigionia padre Kolbe assistette al tentativo di fuga di un prigioniero il quale, a seguito del fallimento, fu destinato alla pena di morte per dare l’esempio agli altri prigionieri. Kolbe si offrì di morire al posto di quel prigioniero, avente moglie e figli a carico, per salvargli la vita. Kolbe fu ucciso il 14 agosto 1941 con una iniezione di acido fenico e il suo corpo cremato. Il Francescano è stato proclamato Santo nell’ottobre del 1982 da papa Wojtyla.

Dietrich Bonhoffer, teologo cristiano considerato ancora contemporaneo, a 39 anni fu impiccato per la sua opposizione al regime nazista. Una vita relativamente breve, ma di grande intensità. Bonhoeffer ha coniugato la ricerca accademica e l'attività di pastore evangelico. Esponente di spicco della Chiesa confessante, la minoranza dei cristiani riformati dissociatasi dal nazismo, e ha segnato una generazione di pastori dirigendo il seminario clandestino di Finkenwalde. È diventato un punto di riferimento universale ed esemplare per tanti credenti, al di là della tradizione luterana a cui apparteneva.

(www.vaticaninsider.it)