25 giugno 2013
Incontro finale del Gruppo Samuele alla presenza dell’Arcivescovo. Scrive un giovane: «All’inizio avevo paura: ero già attivo in oratorio e non capivo cosa non andasse nella mia fede. E mi sbagliavo...»
«Grazie a questo cammino ho imparato a essere libero»
L’iniziativa, nata nel 1989 da un’intuizione del cardinale Martini, ha sempre avuto un grande successo. Articolato in 8 tappe, il percorso è gestito da don Maurizio Tremolada e da don Cristiano Passoni insieme a un’équipe di educatori adulti che accompagnano i ragazzi nella ricerca della volontà di Dio nella loro vita.
«Se penso a cosa è stato il Gruppo Samuele - scrive oggi Luca, 22 anni (il nome è di fantasia) - non è semplice riassumere tutto in poche parole, ma credo che sia proprio questo: giocarmi fino in fondo per essere libero e felice». E aggiunge: «È nella libertà che Gesù ha parlato al mio cuore ed è nella libertà che mi sono incamminato insieme con questi compagni». Certo, all’inizio «ho avvertito non poca paura», ammette Luca, perché «essendo sempre stato attivo nell’ambito dell’oratorio e nella mia comunità cristiana, non comprendevo cos’altro ancora servisse o che cosa non andasse bene nella mia fede. E mi sbagliavo di grosso...».
Grazie al cammino fatto quest’anno e alla sua guida spirituale, Luca ha capito che non basta vivere la dimensione del servizio e darsi da fare con i più piccoli in oratorio, perché l’incontro più profondo con Gesù avviene nella preghiera. «Mi rendo conto che più sono ricco nella preghiera, più coltivo il silenzio, più cammino e scopro Lui». Attraverso il Gruppo Samuele «ho cercato di mettere ordine nella mia giornata, di creare una scala di importanze e di distinguere tra ciò che conta e ciò che non è essenziale. Ho compreso che sono sempre stato libero di fare tutto, ma sto imparando passo passo la libertà di fare il bene: quella che mi insegna Gesù».
E alla fine «arriva il momento di scegliere, ma non perché sia finito il tempo utile, bensì perché di fronte a un amore così grande per noi, per me, rimanere immobile mi sembra come non amare. E non si tratta di scegliere questa o quella professione, né un abito o una sistemazione». Piuttosto «di una scelta per la felicità, senza cadere nell’inganno che gioia e fatica non coesistano. Anzi, la fatica me la porto sempre dentro, ma non ha senso aspettare che essa svanisca per sorridere! E prendere una scelta è quanto mai faticoso perché taglio qualcosa...». Per questo paragona la vocazione a «una caduta da cavallo».
Però Luca ha capito che deve «fare chiarezza» tra quelli che sono i «miei desideri» e «quelli che sento venire non solo da me e mi danno una felicità autentica», perché per lui scegliere vuol dire «compiere quel passo verso Gesù che non mi estranea dal mondo, ma che dà significato e mi impegna all’umiltà e alla coerenza».
(www.incrocinews.it)
Postato da: Emilia Flocchini