proch_orient124 Febbraio 2013

Suor Emmanuela, 81 anni, da 17 tra i detenuti cristiani in Israele

"Sì, noi portiamo la luce"

Nel 2012 ha visitato e seguito 59 detenuti nelle carceri israeliane. Per alcuni di loro non si è trattato solo di un tempo di incontro ma anche di un percorso di rinascita umana e spirituale. Suor Emmanuela Micallef, missionaria francescana di Maria, di origini maltesi, presta la sua missione tra i detenuti cristiani nelle prigioni israeliane. Ottantuno anni di età, di cui ben 27 trascorsi in Terra Santa, la religiosa fa parte del team che si occupa della pastorale delle carceri per conto del Patriarcato latino di Gerusalemme. Il Sir l’ha incontrata a Betlemme e ha raccolto la sua testimonianza.

Suor Micallef, come inizia la sua missione nelle carceri israeliane?
“E’ un servizio che nasce 17 anni fa per volere del Patriarcato Latino che ci sostiene finanziariamente. All’inizio potevamo incontrare solo i prigionieri per i quali veniva inoltrata richiesta di visita alla direzione del carcere. Oggi possiamo incontrarli tutti indistintamente”.

A chi si rivolge in particolare la sua azione?
“Ai detenuti cristiani, esclusi i prigionieri politici che non possiamo vedere. La maggior parte di loro proviene dall’America Latina e sono stati arrestati per reati connessi al traffico di droga. Ci sono anche indiani, sudafricani, nordamericani, palestinesi, eritrei e russi. Per questi ultimi abbiamo chiesto alla Chiesa ortodossa di collaborare, soprattutto per superare le difficoltà della lingua che non parliamo. Dietro i loro reati si nascondono spesso delle buone intenzioni come aiutare la famiglia rimasta nel Paese, pagare un’operazione per qualche membro della famiglia. Purtroppo hanno agito nel modo sbagliato e adesso scontano la pena in tutte le prigioni di Israele dislocate dal Nord fino al Sud, nel Negev”.

Come si articola la sua missione?
“In genere siamo un gruppo di due o tre operatori, con un sacerdote. Andiamo a visitare i detenuti settimanalmente o mensilmente, a seconda della disponibilità, portando loro aiuto spirituale, umano, morale, materiale. Le condizioni nelle prigioni israeliane, come in altre parti del mondo, non sono brillanti. Non sono trattati mai veramente bene, spesso vengono puniti per fatti non commessi. Le carceri in Israele sono molto affollate, tuttavia molti detenuti preferiscono scontare la pena qui piuttosto che essere estradati nel loro Paese dove le condizioni dei penitenziari è di gran lunga peggiore”.

Cosa fate durante la visita ai detenuti?
“La prima volta che incontriamo un detenuto gli doniamo la Bibbia. Le visite sono generalmente divise in due tempi: il primo è di condivisione con gli altri detenuti mentre il secondo è basato sulla preghiera, la lettura e la condivisione spirituale. La riflessione è sulla Parola del giorno o sulle feste più importanti dell’anno liturgico. Contestualmente portiamo anche aiuti materiali come medicine, denaro per loro o per le famiglie. Tra gli aiuti più apprezzati ci sono le carte telefoniche”.

Come siete accolti dai detenuti?
“Ci accolgono molto bene e ci aspettano con ansia. Spesso dobbiamo attendere che le Autorità carcerarie ci rinnovino i permessi per entrare nel penitenziario - non è sempre facile ottenerli - ed i tempi tra una visita e l’altra si allungano molto. Ecco allora che ci telefonano, ci scrivono per chiedere quando andremo. Per loro siamo come una luce. Ci aspettano da dietro le finestre del carcere. Siamo per loro come sentinelle che annunciano la gioia, che portano un momento di luce nel grigio della prigione e della cella. Quando siete qui - ci dicono - dimentichiamo dove siamo. Sono ore di libertà vera. Non hanno molte occasioni per incontrarsi insieme. La visita dura circa due ore”.

Che impatto hanno gli incontri e la preghiera che proponete sulla loro vita?
“Molti ci dicono che in prigione hanno riscoperto il senso della loro fede, qui hanno tempo di pregare, di leggere, di riflettere sulla loro vita e progettarne una più vera. In carcere abbiamo incontrato Dio - raccontano - ora siamo altre persone e quando ritorneremo a casa saremo fratelli per i nostri fratelli. C’è anche chi, scontata la pena, scrive per testimoniarci il suo cambiamento”.

Date molto ma ricevete anche molto…
“Riceviamo molto dai detenuti. L’anno scorso ho preparato, via telefono, un indiano al matrimonio, mentre l’anno precedente abbiamo celebrato un battesimo di un giovane detenuto palestinese. Per noi sono i segni dell’amore di Dio e della speranza”.

(a cura di Daniele Rocchi su www.agensir.it)