ATTUALITÀ - Mondo Voc dicembre 2013 Torna al sommario
COSA VUOL DIRE “ESSERE” CATECHISTI
Uno, due e tre …
Le parole di Francesco agli educatori di fede
Il discorso fatto da Francesco durante la giornata dei catechisti, indetta per l’Anno della Fede, ha lasciato un messaggio chiaro su chi sia il vero catechista e su cosa occorra non semplicemente per fare il catechista, ma per esserlo davvero.
di Gianni Epifani
Se fosse un libro sarebbe un manuale di stile quello descritto da Francesco durante l’incontro avuto con i catechisti di tutto il mondo, alla chiusura dell’Anno della Fede. Sì, perché il catechista non può essere uno che si improvvisa tale o che improvvisa quello che dice. Né funziona se è soltanto un teologo, fosse anche il migliore. Il catechista è un’altra cosa e per esserlo tre sono “le regole” da manuale con cui, come si farebbe in un manuale di stile, il Papa ha spiegato che è più importante che una voce sia chiara e non che sia stilisticamente perfetta.
Ma nel caso del catechista, parlare semplicemente di regole sarebbe riduttivo. Ci vuole anche cuore, spirito, convinzione, amore, entusiasmo … insomma, umanità. È bellissima l’immagine che ha disegnato Francesco dei catechisti. Li ha riuniti insieme, li ha accolti che erano emozionati e felici di vederlo, li ha salutati che erano commossi e galvanizzati dalle sue parole.
La figura del catechista, che è stata tratteggiata dal nostro Papa con metafore pregnanti e concetti molto profondi, è venuta fuori in tutta la sua importanza evangelizzatrice. Francesco ha, in sostanza, definito il catechista il pilastro dell’educazione della fede, un mattoncino indispensabile per la costruzione della Chiesa, il testimone di fede per eccellenza.
E, con semplici concetti, come è nel suo stile, ha declina le qualità che fanno un buon catechista. “Uno due e tre – ha detto – come facevano i vecchi gesuiti”.
Primo
“Avere […] familiarità con Gesù” e restare attaccati a lui come “il tralcio alla vite”. Gesù è linfa vitale per il fedele e, ancora più, per il catechista. Allontanarsi da Lui significa morire inariditi, senza più nutrimento. “Non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore”.
Secondo
Quella del catechista in particolare è una vocazione speciale però, perché il catechista non deve limitarsi a stare con Cristo, deve portarlo tra la gente. Più precisamente deve testimoniarlo tra la gente. Così Francesco è passato al secondo punto. Non basta essere preparati per fare il catechista, ha spiegato, non basta saper parlare, saper affascinare. Bisogna “essere” catechisti, avere voglia di trasmettere il proprio amore per Cristo, di farlo conoscere attraverso la propria condotta di vita. Solo così la sua testimonianza sarà credibile e convincente.
Quindi all’essere attaccati a Gesù si aggiunge l’incontro con l’altro, in un movimento simile a quello che fa il cuore per battere, continua “sistole-diastole”, altrimenti il muscolo cardiaco si irrigidisce. E se si irrigidisce, si ammala.
Terzo
Eccoci all’ultimo punto. “Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido”, ha detto il Papa. Chi è rigido non sa lasciarsi sorprendere, non è pronto ad incontrare l’altro, a raggiungerlo nelle periferie. Ha timore, non sa uscire dai sui schemi mentali, è immobile. “Per favore, niente statue da museo!” ha aggiunto. I catechisti devono essere persone vive, entusiaste, innamorate di Dio e desiderose di comunicarlo, felici di seguirlo.
Per concludere
“Educare alla fede – dice Francesco – è una delle avventure […] più belle”. Ed è questa emozione che hanno provato, attraverso le sue parole, i tanti catechisti impegnati ogni giorno con i bambini, i ragazzi, le coppie, gli adulti.A loro Francesco ha detto grazie. Un grazie sincero e sentito: “ […] per quello che fate, ma soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino, perché camminate con il Popolo di Dio”.
È questa l’ultima immagine suggestiva che ha lanciato il Santo Padre. Di un popolo in cammino, che non è allo sbando ma può contare su guide speciali, su persone che hanno una vocazione speciale, quella di saper trasmettere la bellezza della fede e farla arrivare ai cuori e alle menti di chi li ascolta.
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