STORIE DI VITA - Mondo Voc novembre 2013                                               Torna al sommario

 

 

 

LA PACE: UN SOGNO SENZA TEMPO NÉ LATITUDINE

 

Testimoni della pace

 

Il cammino contro la violenza

 

La rassegna dei moderni profeti e operatori di Pace. Dal Mahatma Gandhi, ispiratore di Martin Luther King negli Stati Uniti e di Aldo Capitini in Italia, a figure più recenti come Davide Maria Turoldo, Ernesto Balducci e don Tonino Bello. Fino alla poco conosciuta figura di Ernesto Teodoro Moneta, combattente del Risorgimento italiano, che abbandonò la carriera militare per denunciare, con un lungo impegno giornalistico, la violenza della guerra. Nel 1907 ricevette il Premio Nobel per la Pace.

 

di Stefania Careddu

 

Martin_Luther_KingLa grande marcia su Washington per il lavoro e la libertà del 28 agosto 1963 consacrò Martin Luther King come leader nella difesa dei diritti civili degli afro-americani: davanti al Congresso, a Capitol Hill, ce ne erano almeno 200 mila, che  mai fino ad allora si erano radunati in quelle proporzioni. Appena due anni prima, il 24 settembre 1961, con lo stesso spirito, Aldo Capitini aveva preceduto l’iniziativa del pastore statunitense – senza conquistare la  stessa notorietà – con la Marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli, che aveva percorso per la prima volta i 25 chilometri che da Perugia portano ad Assisi (introducendo una tradizione che continua anche oggi). L’intellettuale perugino, considerato il “Gandhi italiano”, proprio come Martin Luther King aveva voluto presentare la non violenza come un modo ‘positivo’, di resistenza attiva, e non semplicemente passiva, per agire politicamente. La pace fu un tema centrale della testimonianza di Capitini, perché solo attraverso questa si creano la vita, la libertà, la giustizia e la verità.


Il comune riferimento di entrambi i leader della non violenza degli anni ‘60 è stato il Mahatma Gandhi, il padre dell’indipendenza indiana, ottenuta nel 1947 a forza di ribellioni pacifiche e di marce.

 


I Nobel per la pace
Ernesto_Teodoro_MonetaGandhi avrebbe ricevuto nel 1948 il Premio Nobel per la pace, ma prima che gli fosse assegnato fu ucciso da un esaltato.

A Martin Luther King, invece, si fece in tempo a darlo nel 1964. Con lo storico discorso, “I have a dream”, dove confidò la propria speranza  che i quattro figli piccoli sarebbero vissuti “un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere”,  il pastore protestante seppe dare davvero un sogno ai suoi fratelli di colore e al mondo intero.


Nel nostro Paese, questo onore è toccato invece (nel 1907) solo ad un giornalista milanese: Ernesto Teodoro Moneta. Fu un protagonista del Risorgimento: nel 1848 aveva partecipato, appena quindicenne, alle Cinque Giornate di Milano e dieci anni più tardi, insieme ai quattro fratelli, si arruolò nei Cacciatori delle Alpi, un corpo di spedizione comandato da Giuseppe Garibaldi che gli fu amico. Combatté al Volturno (ottobre 1860), tanto valorosamente da ottenere i galloni da ufficiale; successivamente, ormai sottotenente dell’esercito italiano, rimase così deluso dell’esito della battaglia di Custoza (1866) da abbandonare la promettente carriera militare. Dall’anno seguente si dedicò con successo al giornalismo, giungendo a ricoprire la carica di direttore del “Secolo”, che mantenne fino al 1896.


Fu proprio la sua sconvolgente esperienza militare (la scoperta cioè dell’orrore della guerra, di ogni guerra, quali che ne siano le motivazioni) che lo condusse ad intraprendere, dalle pagine del Secolo, vere e proprie campagne su temi quali l’abolizione della leva militare obbligatoria. Per Moneta non doveva più esistere un esercito, bensì i cittadini dovevano essere addestrati periodicamente alla difesa militare nei propri comuni di residenza. Questa proposta portò la tiratura del giornale da trentamila ad oltre centomila copie. Moneta si consacrò ai temi della pace, sino  al premio Nobel assegnatogli al culmine di un impegno ventennale: nel 1887, insieme ad Angelo Mazzoleni e Francesco Viganò, infatti, aveva fondato la “Unione Lombarda per la pace e l’arbitrato”, un’iniziativa che si era sviluppata grazie al suo sostegno economico (reso possibile dalla buonuscita ottenuta dal Secolo) e alla quale poi destinò l’intero ammontare del Nobel.

 


Gli eserciti di domani saranno disarmati

don_Tonino_BelloUn importante contributo in questo ambito lo diedero anche sacerdoti come Davide Maria Turoldo, Ernesto Balducci e soprattutto don Tonino Bello, un vescovo santo (è in corso la causa di beatificazione) che rappresentò davvero un Mosè liberatore.

 

Già malato di cancro, don Tonino compì nel 1993 la marcia pacifica a Sarajevo, proclamando la sua fede nella vita, al di là di ogni violenza: persone di religioni e nazionalità diverse vennero unite dal grande ideale di sperimentare un’altra ONU, quella dei popoli: “Vedete, noi siamo qui, allineati da questa idea, quella della nonviolenza attiva. Noi siamo venuti qui a portare un germe: un giorno fiorirà. Gli eserciti di domani saranno questi uomini disarmati”.


Don Tonino costruì la teologia della pace con il sacrificio della sua vita”, ha scritto monsignor Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, che definì il suo confratello «un profeta al punto di lasciare in consegna alla Chiesa il messaggio inconfondibile: “Tutti i vescovi della terra si facciano banditori della giustizia e operatori di pace. E assumano la nonviolenza come criterio ermeneutico del loro impegno pastorale, ben sapendo che la sicurezza carnale e la prudenza dello Spirito non sono grandezze commisurabili tra loro”». 

Né don Tonino né Capitini hanno ricevuto il premio Nobel per la pace, che pure avrebbero meritato.

 

 

 


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