ATTUALITÀ - Mondo Voc marzo 2013 Torna al sommario
L’INSEGNAMENTO DEL CONCILIO E DEI PAPI
Siamo creati per essere felici
Una carrellata di passi significativi e autorevoli sulla felicità e le sue numerose declinazioni per la spiritualità dei cristiani di oggi. Concetti alti e nobili, ma soprattutto colmi di sapienza e di speranza, per affrontare la vita con un sorriso, e la giusta carica di ottimismo
di Salvatore Izzo
Ricordate la risposta di Benedetto XVI a quel ragazzo che nell’incontro con 500 mila giovani italiani a Loreto (1 settembre 2007) gli chiese: “Come è possibile sperare quando la realtà nega ogni sogno di felicità?”. “A questa disperazione – replicò il Pontefice – dobbiamo opporci, dobbiamo collaborare con grande solidarietà e fare quanto ci è possibile perché cresca la speranza, perché gli uomini possano collaborare e vivere. Il mondo, lo vediamo, deve essere cambiato, ma è proprio la missione della gioventù di cambiarlo!”.
La felicità, infatti, non è uno stato d’animo emotivo, legato cioè a sensazioni momentanee, ma un traguardo da raggiungere con l’impegno, come spiega il Concilio Vaticano II quando proclama, nella Costituzione Apostolica Gaudium et Spes, che “il progresso umano può servire alla vera felicità degli uomini”. E se la società, come spiega Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in Terris, ha il dovere di contribuire al “nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali”, al diritto alla felicità corrisponde un dovere, anche per i singoli. Per questo Papa Roncalli nel suo famoso decalogo “Solo per oggi”, scrive: “sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo” e dunque “non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nella bontà divina”.
Godere nel Signore
Nella sua ultima Esortazione Apostolica, intitolata Gaudete in Domino e pubblicata in occasione del Giubileo del 1975, Paolo VI ricorda che “la gioia cristiana suppone un uomo capace delle gioie naturali” e che “molto spesso, partendo da queste, Gesù ha annunciato il Regno”. “Ci sarebbe bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino”, scrive Papa Montini. Perché ogni bene particolare, ogni valore è segno e rimando di una ricerca più grande e più alta che abbiamo dentro, la ricerca di un bene infinito, di una felicità che non sia solo oggi, adesso, ora, ma che entri nell’eterno. Il “ti amo per sempre” che si promettono gli sposi cristiani qui trova il suo fondamento.
Per il Pontefice bresciano, però, non si dovrebbe mai dimenticare che anche il limite fa parte della natura dell’uomo e dunque anche la ricerca della gioia deve fare i conti con la nostra condizione di finitezza, con la quale fare i conti senza lasciarci scoraggiare. “Se sono cristiano, io possiedo la chiave interpretativa della vita vera, la somma fortuna, il bene superiore, il primo grado della vera esistenza, la mia intangibile dignità, la mia inviolabile libertà”, aveva spiegato in una celebre omelia del 1972.
“Il cristiano – affermò Giovanni Paolo II nella prima estate trascorsa a Castelgandolfo dopo l’elezione del 1978, commentando proprio quelle parole di Paolo VI – sa che lo scopo della vita è la felicità. Infatti la ragione e la rivelazione affermano categoricamente che né l’universo né l’uomo sono autosufficienti e autonomi. Dio ha creato l’uomo per renderlo partecipe della sua felicità. Il bene è diffusivo; e Dio, che è assoluta e perfetta felicità, ha creato l’uomo solo per se stesso, e cioè per la felicità. Una felicità goduta già in parte nel periodo della vita terrena, e poi totalmente nell’aldilà, in paradiso”.
Un concetto che il Papa polacco aveva evocato anche nella sua prima Udienza Generale, il 25 ottobre 1978, ricordando stavolta il suo immediato predecessore, morto dopo appena 33 giorni di Pontificato. “Nella sua morte si è verificata la parola tanto ripetuta del Vangelo: state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà. Giovanni Paolo I vegliava sempre. La chiamata del Signore non l’ha sorpreso. Egli l’ha seguita con la stessa trepida gioia, con la quale il 26 agosto aveva accettato l’elezione al soglio di San Pietro”.
La nostra felicità è Cristo
Sono moltissimi gli interventi di Papa Wojtyla sul tema della gioia cristiana, sviluppato compiutamente in occasione del Grande Giubileo del 2000, in particolare nei discorsi tenuti a quei due milioni di ragazzi che parteciparono alla Giornata Mondiale della Gioventù a Tor Vergata. “In realtà – furono le sue parole – è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”.
“Cari amici, alla vostra giovane voglia di essere felici il vecchio Papa, carico di anni ma ancora giovane dentro – disse due anni dopo, quando piegato dagli anni e dalle malattie partecipò alla sua ultima Gmg, quella di Toronto – risponde con una parola che non è sua. È una parola risuonata duemila anni or sono. L’abbiamo riascoltata stasera: ‘Beati...’. La parola-chiave dell’insegnamento di Gesù è un annuncio di gioia: ‘Beati...’. L’uomo è fatto per la felicità. La vostra sete di felicità è dunque legittima. Per questa vostra attesa Cristo ha la risposta. Egli però vi chiede di fidarvi di Lui. La gioia vera è una conquista, che non si raggiunge senza una lotta lunga e difficile. Cristo possiede il segreto della vittoria”.
Le vere gioie e quelle ingannevoli
“Un cristiano non può mai essere triste perché ha incontrato Cristo, che ha dato la sua vita per lui”, conferma Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù celebrata l’anno scorso a livello diocesano, nella Domenica delle Palme. Nel testo, reso noto mentre il Papa era in visita pastorale a Cuba, c’è una forte esortazione ai giovani a essere “missionari della gioia” perché, “non si può essere felici se gli altri non lo sono”.
La felicità, osserva il Pontefice, è l’ingrediente che chiunque cerca per “dare sapore” alla propria esistenza. La famiglia, un’amicizia “condivisa”, un “lavoro ben fatto”, la natura con le sue meraviglie, un “amore sincero e puro”: tutto questo, osserva, è fonte di gioia.
“Ogni giorno però – scrive Benedetto XVI – ci scontriamo anche con tante difficoltà e nel cuore vi sono preoccupazioni per il futuro, al punto che ci possiamo chiedere se la gioia piena e duratura alla quale aspiriamo non sia forse un’illusione e una fuga dalla realtà”. Un monito proposto anche nel discorso all’Angelus del 16 dicembre 2007: quando “si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è questa, purtroppo, la proposta delle culture che pongono la felicità individuale al posto di Dio, mentalità che trova un suo effetto emblematico nella ricerca del piacere ad ogni costo, nel diffondersi dell’uso di droghe come fuga, come rifugio in paradisi artificiali, che si rivelano poi del tutto illusori”.
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