ORIENTARSI - Mondo Voc dicembre 2012 Torna al sommario
STORIA DI GIUDITTA – PARTE SECONDA
Giuditta, testimone della bellezza della vocazione
Riprendiamo la storia di Giuditta, storia d’una donna dentro la storia d’un popolo, Israele, che è un popolo di chiamati. Storia dunque d’una vocazione che non è fine a se stessa, che non mira solo alla realizzazione della propria persona, ma che aiuta tutta la comunità a realizzare la propria chiamata. Anzi, questa donna coraggiosa provoca e rimprovera la comunità degli uomini paurosi, si mette alla loro testa e li conduce alla liberazione dalla loro paura. Vediamo come.
di Amedeo Cencini
La causa non è umana, ma divina
È davvero sorprendente osservare come questa donna vedova, in una cultura non certo femminista, a un certo punto decida di compiere un gesto coraggiosissimo e ad alto rischio per la sua stessa vita: affrontare a viso aperto, lei da sola, il possente capo dell’esercito nemico, Oloferne. Come giunge a questo gesto? Il libro di Giuditta, al cap.9, contiene il testo della preghiera che tale donna ebrea eleva al Signore; si tratta d’una supplica ardente, di rara bellezza poetica, dominata da quest’idea: la guerra scatenata dagli Assiri non è contro un popolo, ma contro Dio stesso e il suo tempio. Egli deve dunque intervenire.
Giuditta è persona davvero furba e abile, non solo perché inganna il potentissimo Oloferne e la sua gente, come poi vedremo, ma perché anche con Dio sa battere il tasto giusto: la causa non è nostra, ella dice, ma tua; non è in discussione la sopravvivenza d’Israele, ma il riconoscimento, tra tutte le genti, della sovranità del Signore.
Non è forse ciò che anche noi viviamo, in questi tempi difficili di opposizione, d’indifferenza, di rifiuto dell’annuncio del Regno? Tempi così difficili che spesso siamo tentati di piantar tutto. Come fosse una cosa nostra, da gestire e pasticciare secondo i nostri angusti obiettivi e con le nostre misere forze. E invece è cosa del Signore, che si compiace agire attraverso strumenti inadatti e mediazioni improprie, perché sia chiaro che chi opera è Lui. Se avessimo la certezza credente di Giuditta saremmo molto più coraggiosi, andremmo avanti nonostante tutte le difficoltà, soffriremmo meno di depressione pastorale e ci piangeremmo meno addosso e, invece di far tante lagne teologiche, c’impegneremmo a seminare e a seminare ovunque (non solo nei soliti spazi, dov’è finita la fantasia dell’apostolo?) senza pretendere né di fissare noi i tempi del raccolto né d’esser noi a raccogliere.
Il potere della bellezza
Dicevamo della furbizia di questa donna. Che si fa bella e si veste elegantemente, sfruttando in pieno la sua femminilità, per affrontare una situazione impossibile, per ingannare un sacco di gente, per entrare nelle grazie dell’onnipotente Oloferne e alla fine… anche nella sua camera, ma per tagliargli la testa. Donna coraggiosa, certo, ma anche abile per come sa sfruttare il fascino della propria bellezza. Donna esemplare, in particolare, per come c’insegna a… esser belli, annunciatori della bellezza dell’Eterno, contemplatori della bellezza della Parola, testimoni della bellezza della vocazione, coraggiosi di quel coraggio che può venire solo dall’attrazione della bellezza che annunciamo.
Ci lamentiamo oggi della crisi vocazionale, della povertà della risposta alla proposta vocazionale, ma come può un giovane accogliere un invito che non sia abbastanza bello, o che sia solo vero e non anche attraente? Il giovane è qualcuno che sta cercando qualcosa di bello per cui impegnarsi, che renda bella e buona la sua esistenza. E invece, siamo sinceri, quanta poca attenzione per la bellezza nella nostra vita: quante volte i nostri ambienti sono sciatti e trascurati, i nostri modi rozzi e grossolani, le nostre facce tristi, le parole banali, le liturgie noiose… Lo sheol, immagine del brutto, non ha mai attirato nessuno!
La forza intelligente dell’umiltà
Infine è ancora sorprendente come questa donna metta insieme queste due caratteristiche: la coscienza della sua pochezza e l’intelligenza. Giuditta va incontro all’esercito nemico senza alcun’arma, penetra nel loro accampamento senz’alcuna garanzia di tornarne viva, si consegna ai nemici d’Israele, armati fino ai denti, solo confidando nell’aiuto del Signore, Dio d’Israele. Ma anche architettando con acutezza una strategia precisa, per conquistare la fiducia e la benevolenza degli Assiri, sino a farsi invitare al banchetto di Oloferne e trovarsi così sola con lui, ubriaco fradicio, immerso nel sonno totale. E qui Giuditta che brandisce una scimitarra più pesante di lei, come Davide che uccide Golia o Giaele che uccide Sisara, è l’immagine del debole che sconfigge il forte nel nome del Signore, Dio d’ogni potenza. Ma debole intelligente, al punto che sa fare della propria debolezza il suo punto di forza che sul piano umano disarma l’avversario, su quello della grazia ottiene l’aiuto dell’Altissimo, e sul piano storico provoca la liberazione del povero dall’oppressione del potente, l’impossibile che si fa possibile.
Forse proprio questo significa umiltà o costituisce l’intima forza dell’annunciatore della buona novella, in questi tempi di Nuova Evangelizzazione. Un annunciatore che da un lato riconosce la lotta impari che deve oggi sempre più sostenere, dall’altra è così intelligente da non volerla combattere da solo. Anzi, più coglie la propria debolezza, più si rende terreno accogliente ove un Altro possa operare e fare grandi cose. L’umiltà come virtù tipicamente mariana.
Infatti la figura di Giuditta viene associata dalla liturgia alla Vergine Maria, la prima e la più grande degli umili: “tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d’Israele, tu splendido onore della nostra gente” (Gdt 15,9).
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