DIVERSO PARERE - Mondo Voc maggio 2012                                                           Torna al sommario

 

 

Come insegnare a far conoscere Dio ai propri figli…

 

La fede in famiglia

 

Far conoscere Dio ai propri figli non è una missione impossibile. Bastano dei piccoli gesti. Vi raccontiamo l’esperienza di una famiglia normale che però ha fondato il proprio progetto di vita su Dio.


di Aldo Maria Valli

 

Familgia_fedeFin da quando ci siamo conosciuti e abbiamo progettato la nostra vita insieme, mia moglie ed io abbiamo avvertito di essere collaboratori di Dio: cooperatores veritatis, potremmo dire prendendo a prestito il motto del cardinale Joseph Ratzinger quando era vescovo di Monaco. Fin dall’inizio della nostra storia ci siamo messi nelle mani del Signore, chiedendo a lui di illuminare la strada e di guidarci in tutti gli snodi più importanti. Ci siamo affidati alla sua bontà e alla sua misericordia cercando di leggerne i segni.


È la fede il fondamento e il collante del rapporto d’amore che c’è tra noi, e crediamo che proprio questo rapporto, vissuto ogni giorno, sia anche la prima e più efficace testimonianza di fede che possiamo dare ai figli.


L’amore tra il papà e la mamma, tra due persone che vivono concretamente il dono reciproco, che vivono supportandosi e non sopportandosi, che dimostrano comunione di intenti e di valori, che sperimentano la solidarietà e la stima reciproche, che credono nella fedeltà e nell’indissolubilità, è una convincente immagine dell’amore di Dio per noi.


Quando il figlio, fin da bambino, verifica in prima persona che il papà e la mamma si vogliono bene (vogliono il bene l’uno dell’altro) e che lui stesso è nato da questo amore; quando sperimenta che si tratta di un amore infinito e non a termine o condizionato; quando vede che questo amore originario e fondante sa espandersi in continuazione (per esempio, verso più fratelli e sorelle) senza tuttavia subire diminuzioni nel rapporto personale (io la chiamo “la proprietà moltiplicativa dell’amore”); quando constata che questo amore è più forte delle difficoltà di tutti i giorni e dei limiti delle persone, ecco che l’educazione alla fede è già in atto, e lo è in modo efficace e potente.


Tutto ciò non significa che la mancanza di un’esperienza d’amore fra i genitori debba necessariamente precludere ai figli la possibilità di un percorso di fede. Il Signore sa scrivere dritto su righe storte. Però sbagliamo se mettiamo in secondo piano l’amore donativo, solidale e fecondo fra i coniugi, che corrisponde così efficacemente all’amore stesso di Dio per le sue creature.


Bambini_chiesaLa mia esperienza mi dice che il percorso di educazione alla fede è sempre, in realtà, un percorso di coeducazione. I genitori cristiani donano qualcosa ai figli, ma anche i figli donano molto ai genitori. Lo si verifica già quando i bambini sono piccoli. Fin dall’età più tenera, infatti, loro non hanno difficoltà a rapportarsi con Dio Padre e con suo Figlio Gesù. Sono proprio loro, dimostrando una spontanea adesione al rapporto personale con Dio, a educare e rieducare noi adulti, noi che spesso, con gli anni, rendiamo la nostra fede più stanca sotto il peso di pesanti zavorre intellettualistiche, togliendole freschezza e immediatezza. Per i bambini non è strano intrattenere un rapporto con Dio creatore e con suo figlio Gesù. Non è strano che Dio abbia voluto mandare suo Figlio nel mondo e che il Figlio sia nato da una famiglia, con un papà e una mamma. Se vengono accompagnati lungo questo percorso, per loro è normale parlare, attraverso la preghiera, con Dio, con Gesù, con Maria. È normale chiedere aiuto per sé, per i fratelli, per i genitori, per gli amici; è normale ringraziare per i doni ricevuti e per tutte le cose belle.


Proprio stando con i bambini, ci si accorge che non si tratta di inserire il senso religioso in ciascuno di loro, quanto piuttosto di suscitarlo: perché dentro i cuori dei piccoli è già presente, è lì pronto a manifestarsi e ad essere vissuto. Ecco perché sostengo che i bambini che non sono stimolati ad accendere in loro stessi il senso religioso non sono, come spesso si sente dire, bambini più autonomi e liberi, bambini che poi, da grandi, faranno la loro eventuale scelta religiosa, ma sono bambini deprivati, ai quali è stata negata una componente fondamentale del proprio essere e che ben difficilmente potranno costruire il senso religioso dato che non sono state assicurate loro le fondamenta.

Se gli adulti possono donare ai piccoli una grande prospettiva d’amore, sono i piccoli a donare agli adulti la capacità di provare stupore, di non dare nulla per scontato, di vedere la vita, letteralmente, come un miracolo, e dunque di ringraziare.


genitori_figliIl rapporto di coeducazione alla fede resta tale anche quando si passa all’adolescenza. Considerate sia le caratteristiche dell’età sia l’ambiente culturale nel quale vivono i nostri adolescenti, sembrerebbe proprio che tutto sia contro un cammino di coeducazione alla fede nella relazione e nel confronto con gli adolescenti. In realtà, se si ha la pazienza, l’umiltà e la costanza di osservarli e di mettersi dalla loro parte, si scopre che questi ragazzi sono molto meno superficiali di come vengono dipinti e che le eterne domande sulla vita sono ben presenti in loro, così come sono vive le domande su Dio e su Gesù. Anche in questo caso, non si tratta certo di inculcare idee, ma di suscitare la voglia di interrogarsi e di non cedere a una mentalità che ci vorrebbe spiritualmente deboli e intellettualmente cloroformizzati. Occorre presentare loro prospettive alte e impegnative, occorre invitarli a prendere il largo. Non dobbiamo adagiarci, non dobbiamo abbassare, per paura di non essere ascoltati, il livello della proposta. Né dobbiamo cadere nel giovanilismo di maniera che, in realtà, ai giovani procura soprattutto fastidio perché non si sentono presi sul serio. Facciamo capire bene che la nostra preoccupazione non è quella di compiacere Dio, ma di cercare la strada per la felicità più piena. Questo è l’obiettivo, e non si deve aver paura di dirlo. Dio non ci vuole esteriormente devoti e interiormente poveri.


Nei nostri giovani c’è una domanda religiosa: avvertono il bisogno di ancorare le loro vite a qualcosa che non sia soltanto l’amicizia oppure il consumismo oppure, nel migliore dei casi, il successo scolastico o professionale. Però sono quasi totalmente privi di punti di riferimento e di veri maestri. Soprattutto, sono privi di qualcuno che li aiuti a vedersi come belle persone, come creature degne.

Spesso i giovani hanno una percezione distorta e riduttiva della religione, come se si trattasse di qualcosa che veramente non li riguarda o di un insieme di norme che sono state inventate per controllarli e limitarli. Occorre allora far vedere che la religione è dalla loro parte, è per loro, è come un pozzo d’acqua fresca dal quale attingere le risorse più importanti. Ascoltare la Parola di Dio e il messaggio evangelico è come avere una bussola affidabile in mezzo al mare confuso di notizie e opportunità nel quale siamo immersi.


Benedetto_XVI_familgieNon bisogna mai dimenticare che la fede può scaturire ed essere coltivata soltanto nella libertà. Benedetto XVI, nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2012 (Educare i giovani alla giustizia e alla pace), ricorda che “tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane”, con il primo che deve essere pronto a donare se stesso e il secondo che deve essere disposto a lasciarsi guidare. Due libertà, per incontrarsi veramente, hanno bisogno del rispetto. Il rispetto lo si guadagna sul piano della credibilità e la credibilità, la sola risorsa che possa garantire autorevolezza, la si ottiene con la coerenza fra ciò che si insegna e ciò che si vive.


Sulla base della mia esperienza credo di poter dire che un passo molto importante, da parte dei genitori, consiste nel proporre Dio come Dio Padre. Quando parliamo di Dio non limitiamoci a evocare una presenza generica e vaga, dal sapore sentimentale. Mostriamo Dio come presenza reale e precisa, il nostro Dio della Bibbia, al quale possiamo rivolgerci come Padre (come ci ha insegnato Gesù) perché è lui che, per amore, ci ha donato la vita e ci ha voluti a sua immagine e somiglianza. Parliamo non di una divinità indefinita e distante, ma del nostro Dio che ci ama così tanto da aver voluto incarnarsi nella storia dell’uomo, così da donarci la salvezza attraverso il sacrificio di suo Figlio Gesù.


Anche a questo proposito sono i piccoli a educarci. Loro infatti intrattengono naturalmente un rapporto personale con Dio. Non temono di chiamarlo per nome, di sollecitarlo, di avere un dialogo con lui. Non immaginano una generica energia creatrice, ma una persona che vuol bene a ogni creatura, che conosce ognuno di noi per nome e sa tutto di noi. È a questo Padre buono che ogni sera, come abbiamo insegnato ai nostri bambini, prima di dormire possiamo rivolgerci dicendogli “mi metto nelle tue mani, tienimi stretto fino a domani”. È questo Dio che ogni mattina ringraziamo per il nuovo giorno e per tutte le cose belle che potremo fare.


Benedetto_XVI_familgie_2In questo percorso, spesso accidentato, la Chiesa è con noi. La sentiamo vicina, dalla nostra parte. La Chiesa ci ha sempre aiutato e continua a farlo in tanti modi. Mia moglie ed io, per esempio, restiamo sempre stupiti scoprendo che ogni domenica le letture dicono qualcosa che riguarda proprio noi e la nostra situazione in quel momento. Come non potremmo immaginarci cristiani senza Cristo, non possiamo immaginarci cattolici senza Chiesa. Ai nostri figli lo diciamo e lo insegniamo fin dalla prima infanzia. La Chiesa è la nostra casa. Proprio come nella famiglia, anche nella Chiesa ci sono diverse funzioni, ma una sola è la fede e tutti, nella fede, sono legati gli uni agli altri. Stando nella Chiesa, proprio come in famiglia, vediamo che il rapporto con il Signore non può mai essere privato ed esclusivo. Riducendo il rapporto con il Signore a una questione privata si finisce con il costruire un Dio a propria immagine e somiglianza. Nella comunità la fede respira, si mette alla prova. Nella Chiesa ci misuriamo con le povertà, incontriamo le necessità dell’altro, troviamo aiuto ai nostri bisogni.


La preghiera è la grande risorsa. La preghiera dei genitori, ma anche quella dell’intera famiglia. Ci sono occasioni, come l’Avvento e la Settimana santa, in cui, la sera, ci riuniamo e preghiamo. Magari qualcuno è mezzo addormentato e “contratta” sul numero di Ave Maria (“Dobbiamo proprio farle tutte queste decine?”), ma sono sicuro che il Signore ci perdona. La fede in famiglia si nutre di questi piccoli grandi gesti. Piccoli perché costano davvero poco, grandi perché oggi spegnere la televisione, rinunciare al divertimento e dedicarsi al Signore ha qualcosa di rivoluzionario. Ma proprio per questo è ancora più bello.

 

 

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