ATTUALITÀ - Mondo Voc genneio 2012 Torna al sommario
Una crisi di evangelizzazione
Non è vero che i giovani di oggi sono “meno credenti” di quelli di ieri. Sono solo meno ascoltati e meno aiutati a scoprire l’incontro con Dio.
di Carlo Climati
In questi ultimi anni si sta diffondendo una tendenza a dipingere il mondo dei giovani a tinte scure, come se fosse irrimediabilmente peggiorato rispetto a qualche tempo fa. Tra i luoghi comuni che imperversano c’è quello di una presunta “crisi della fede”. Si pensa che i ragazzi del terzo millennio siano “meno cattolici” di quelli di ieri, che vadano raramente in chiesa e che siano meno attratti da qualunque forma di spiritualità.
Mi capita spesso di ascoltare discorsi del genere, che personalmente non trovo diversi da altre forme di banalità tipo “Ai miei tempi i treni arrivavano in orario” oppure “Non ci sono più le mezze stagioni”. Il mondo, purtroppo, è pieno di sedicenti osservatori di culture giovanili che passano il tempo a catalogare i ragazzi, a metterli in qualche specie di scaffale con un’etichetta addosso.
È necessario, invece, vivere il contatto con i giovani. Essere sulla strada e analizzare bene le motivazioni profonde che sono alla base di certi meccanismi sociali. E soprattutto: sforzarsi di dialogare ed ascoltare, prima di riempirsi la bocca con qualche sentenza. Altrimenti, si rimane facilmente invischiati nella nebbia della superficialità e del qualunquismo.
Un mondo diverso
La mia esperienza personale, a contatto quotidiano con tantissimi ragazzi, mi ha portato ad avere una convinzione in cui credo fermamente, anche senza aver fatto alcuna statistica o studio sociologico. Non è corretto, secondo me, parlare di una “crisi di fede” delle nuove generazioni. La mia opinione personale è che i giovani siano sempre molto attratti da Dio. Ma esiste, sicuramente, una difficoltà oggettiva che hanno, rispetto alle generazioni precedenti.
Il mondo del terzo millennio è profondamente diverso da qualunque altro mondo del passato. La rivoluzione di internet ha radicalmente cambiato mode, linguaggi, abitudini, possibilità di comunicare.
Gesù, secondo me, rimane sempre una figura affascinante, anche nei giorni nostri. Ma deve fare i conti con una tendenza diffusa alla religiosità “fai da te”, che rischia di catturare le nuove generazioni. È una tendenza che trova spesso terreno fertile nella solitudine, nel disagio giovanile e nell’assenza di punti di riferimento educativi.
Tanti ragazzi, in buona fede, sentono nel loro cuore un profondo desiderio di incontro con Dio. Ma sono spaesati. Entrano in chiesa e non trovano un sacerdote con cui parlare, perché spesso è impegnato in mille altre attività.
Un trattamento personalizzato
A volte le parrocchie appaiono troppo grandi per spalancare le braccia e dare ascolto all’inquietudine dei giovani. Dietro l’angolo c’è la possibilità di incontrare facilmente qualche setta, in grado di offrire un trattamento personalizzato e immediato.
Internet, poi, permette d’abbreviare i tempi di contatto con qualunque culto alternativo: dalle spiritualità orientaleggianti ai movimenti che invitano a sviluppare le potenzialità del cervello umano, dall’occultismo al risveglio del paganesimo, fino ai gruppi che annunciano l’imminente fine del mondo o che affermano di dialogare con gli extraterrestri.
Può capitare, a volte, di lasciarsi tentare dall’intervista di qualche attore o cantante rock, che racconta il suo percorso religioso personale. Si inseguono le mode del momento, basate su una non-cultura confusionaria, alimentata dai talk show televisivi e dalle notizie che si trovano in rete.
Alcuni giovani finiscono per assomigliare alla pallina di un flipper. Rimbalzano rapidamente da una spiritualità all’altra, innamorandosi ogni giorno di qualcosa di nuovo, nella speranza d’assomigliare al divo di turno e di ottenere la sua stessa realizzazione personale.
Bisogna essere realisti
Sembrano lontani i tempi in cui si ascoltavano canzoni come “Domenica è sempre domenica, si sveglia la città con le campane…”. In queste parole c’era l’immagine di un’Italia che non esiste più, dove il suono delle campane era il simbolo di una società fortemente impregnata di cultura cristiana.
Bisogna essere realisti e comprendere che il mondo è cambiato. All’epoca i ragazzi trovavano nella parrocchia e nell’oratorio un rifugio sicuro per crescere in armonia, confrontandosi costantemente con i propri coetanei e con ottimi educatori.
Oggi i giovani sono sempre più soli. Accendono la televisione e subiscono il lavaggio del cervello dei falsi modelli del consumismo, che dipingono come triste e noiosa la possibilità di una sobria ed autentica vita cristiana. È facile, perciò, che alcuni ragazzi rimangano invischiati nella rete di religioni che propongono il Paradiso subito. Proprio adesso! Su questa Terra! Senza aspettare o faticare troppo.
In certi ambienti pseudo-religiosi di oggi sembra verificarsi ciò che Collodi raccontò nella favola di Pinocchio. A un certo punto della storia, un omino dall’aria mielosa e falsamente gentile invita i ragazzi nel Paese dei Balocchi. Un Paese in cui, secondo lui, avrebbero trovato la felicità assoluta, la vacanza senza fine, la libertà priva di limiti.
A lungo andare, però, le promesse dell’omino si riveleranno una terribile trappola. Il Paese dei Balocchi farà di Pinocchio uno schiavo, trasformandolo in un somaro. L’omino dolcissimo, in realtà, era un truffatore che adescava i ragazzi, per farli diventare asini e rivenderli nelle fiere e nei mercati.
Assomigliare ai primi cristiani
Questo brano di Pinocchio è lo specchio perfetto dei meccanismi di reclutamento di certe nuove forme di pseudo-religiosità settaria di oggi, che promettono mondi di pace, gioia, amore e felicità. Ma poi, dopo un po’ di tempo, mostrano il loro vero volto. I “Paesi dei Balocchi” si rivelano autentiche prigioni, dalle quali è difficilissimo uscire. È con questi “Paesi dei balocchi” che bisogna confrontarsi. Sono loro che insidiano i ragazzi di oggi.
Ma attenzione! Prima di parlare di una presunta “crisi di fede” dei giovani dovremmo fare un passo indietro e chiederci: che cosa stiamo facendo, noi, per evitare la deriva delle nuove generazioni nella trappola di certe pseudo-religiosità alternative?
Non esiste, secondo me, una crisi di fede dei giovani. Esiste, al contrario, una crisi di evangelizzazione degli adulti. Troppi cristiani si sono impigriti e hanno “appeso il Vangelo al chiodo”. Ritengono superfluo parlare di Dio ai giovani. Oppure sono timidi, si vergognano, temono chissà quale reazione… Eppure i ragazzi avrebbero proprio bisogno di una parola di Vangelo. Un Vangelo spesso nascosto, impolverato, abbandonato in cantina come un vecchio mobile.
Noi restiamo in pantofole. Le varie sette, invece, sono attivissime. Ci fermano per la strada, ci tempestano di e-mail, suonano al citofono e bussano alle nostre porte…
È ora di tornare ad assomigliare un po’ ai primi cristiani. Bisogna ritrovare quell’entusiasmo, quella voglia di comunicare un Vangelo che è sempre affascinante ed è l’unico autentico valore in grado di cambiare la vita dei giovani.
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