La sfida dell’emergenza educativa alla luce del documento della Conferenza Episcopale Italiana "Educare alla vita buona del Vangelo".
Negli ultimi anni non si fa che parlare di emergenza educativa. All’improvviso, sembra che tutti si siano accorti che esistono dei problemi e che i giovani hanno bisogno di guide, di valori, di punti di riferimento. Ma quali sforzi, reali, stiamo facendo per aiutarli, per indicare loro la giusta strada da percorrere? L’educazione dei giovani nasce, prima di tutto, dal buon esempio degli adulti. Si educa prima con i fatti e poi con le parole.
di Carlo Climati
Emergenza educativa. Ne abbiamo sentito parlare spesso, negli ultimi anni. All’improvviso, sembra che tutti si siano accorti che esistono dei problemi, che i giovani hanno bisogno di guide, di valori, di punti di riferimento.
E così si parla di “emergenza”, di qualcosa che deve essere fatto con urgenza e con impegno, rapidamente, perché ci si è finalmente accorti che la situazione dei ragazzi di oggi è grave e non è più possibile aspettare.
Tutto giustissimo. Ma, prima di tutto, bisogna chiedersi: che cosa stiamo facendo, concretamente, per le nuove generazioni? Suonare campanelli d’allarme è facile. Ma dopo aver suonato, bisogna anche produrre qualche sforzo concreto, altrimenti si rischia di scadere in una facile e sterile non-cultura del lamento. Ci si lamenta perché alcuni giovani si drogano, si ubriacano e conducono una vita disordinata. Ma quali sforzi, reali, stiamo facendo per aiutarli, per indicare loro la giusta strada da percorrere?
Un documento utile
Alcuni preziosi suggerimenti possiamo trovarli in un ottimo e costruttivo documento della Conferenza Episcopale Italiana, che si può trovare facilmente e gratuitamente su Internet. Si chiama “Educare alla vita buona del Vangelo” e raccoglie gli orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano per il decennio 2010 – 2020.
Per ovvie ragioni di spazio è impossibile sintetizzare in poche righe tutta la ricchezza culturale e spirituale di questo bellissimo dono, che i nostri Vescovi ci hanno regalato il 4 ottobre 2010, giorno della Festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia.
Si tratta, probabilmente, di uno dei documenti più belli che la Chiesa abbia mai prodotto sul tema dei giovani. In particolare è significativo il richiamo dei Vescovi alla “credibilità del testimone”. Un invito all’adulto che è “chiamato a prendersi cura delle nuove generazioni” e che “diventa educatore quando ne assume i compiti relativi con la dovuta preparazione e con senso di responsabilità”. Questo è un argomento-chiave, dal quale dipende davvero il futuro dei giovani.
Ogni educatore, infatti, prima di proporsi come tale deve sforzarsi di dare una testimonianza concreta con la sua vita. Questo, ovviamente, non significa che deve essere perfetto. Ma dev’essere, come dicono i Vescovi, un testimone credibile.
Per essere credibile deve sforzarsi di essere coerente con ciò che insegna. Non dimentichiamo lo scandalo che hanno dato, nella storia recente della Chiesa, le orrende storie di pedofilia e di violenza di certi sacerdoti apparentemente impeccabili e sempre terribilmente intransigenti. Intransigenti, ovviamente, con i peccati degli altri e mai con i propri.
Ci capita spesso d’incontrare giovani che ci rinfacciano, giustamente, certi cattivi esempi. Ci dicono: “Come possiamo credervi se voi siete i primi a non essere coerenti con ciò che pretendete di insegnarci?”.
L’impegno dei laici
Ovviamente la buona regola dell’essere testimoni credibili non può valere solo per chi indossa l’abito sacerdotale, ma deve valere per tutti. E soprattutto per i laici, che sono chiamati a dare una testimonianza quotidiana nella scuola, nella famiglia, nel lavoro, in ogni azione della propria giornata.
L’estate scorsa sono stato qualche giorno al mare. Sulla spiaggia, mi colpirono molto i rimproveri di una mamma alla propria figlia, che leggeva alcuni giornalini per adolescenti sicuramente non educativi.
Ma che cosa c’era sotto l’ombrellone di quella signora, severissima e intransigente sulle letture della propria bambina? Tante riviste di “gossip”, di quelle peggiori. E se le scambiava pure non le vicine d’ombrellone.
Una mamma del genere, oggettivamente incoerente, come può pensare d’essere ascoltata? Come può permettersi di fare la morale alla figlia, se lei è la prima a leggere pettegolezzi e sciocchezze d’ogni genere?
È da questo importantissimo punto che bisogna partire, per riuscire a dare una risposta concreta all’invito dei Vescovi: “annunciare Dio, vero Dio e vero uomo”, “seminare cultura e civiltà”, “portare a pienezza l’umanità”. La non-cultura del lamento non serve. Non serve mai, in ogni cosa. Per cambiare il futuro dei giovani, e donare speranza, serve un’autentica cultura dell’impegno e del buon esempio, che deve partire dal mondo degli adulti.
La nostra parte
Tempo fa ho letto un libro bellissimo, che mi ha colpito molto e che mi ha letteralmente cambiato la vita: “Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede” (Mondadori). E’ l’appassionante dialogo su temi d’attualità tra due sacerdoti gesuiti di grande cultura e profondità spirituale: il Cardinale Carlo Maria Martini e Padre Georg Sporschill.
Parlando dell’infelicità, del male, delle miserie umane sulla terra, il Cardinale Martini offre una riflessione che non può fare a meno di toccare la nostra anima: “Come contribuisco io all’infelicità e come ne sono responsabile? (…) Qual è la mia parte, e come posso io cambiare la situazione? E ancora: a quale limitazione e a quale rinuncia sono disposto affinché cambi qualcosa?”.
La riflessione del Cardinale Martini è molto più ampia e riferita, più in generale, ai mali del mondo. Ma è anche perfettamente applicabile al tema dell’emergenza educativa.
Ancora una volta dobbiamo chiederci: che cosa possiamo fare, in concreto, oltre a lamentarci e a suonare campanelli d’allarme?
Il tempo dell’educazione, come dicono i Vescovi, “non è finito”. “Un’autentica educazione – hanno scritto – deve essere in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone. Il messaggio cristiano pone l’accento sulla forza e sulla pienezza di gioia donate dalla fede, che sono infinitamente più grandi di ogni desiderio e attesa umani”.
È Cristo il centro di tutto, l’unica vera strada e roccia sicura sulla quale costruire il domani delle nuove generazioni. Ma Cristo si comunica prima di tutto con i fatti, e poi con le parole. Per questa ragione l’ottimo e prezioso documento della CEI “Educare alla vita buona del Vangelo” ha come filo conduttore un costante richiamo al nostro impegno personale.
Un impegno che diventa educazione soltanto quando è frutto di una testimonianza. E che può fruttare risultati concreti soltanto se tutti noi impariamo a fare lo sforzo di rinunciare ai tanti idoli, alle tentazioni dell’arroganza, dell’arrivismo e dell’accumulo esagerato ed egoista di beni materiali su questa terra.
L’interrogativo proposto dal Cardinale Martini è la chiave di tutto: qual è la mia parte? Quale sforzo concreto sono disposto a fare per cambiare il mondo? Impariamo a porci più spesso questa domanda, ogni giorno, approfittando di una pausa di silenzio della nostra giornata. E cominciamo a fare qualche piccolo, piccolissimo passo per migliorare il mondo che ci circonda, cominciando prima di tutto a migliorare un po’ noi stessi.
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