Diminuiscono i matrimoni e aumentano le coppie di fatto. Tra quelli che si sposano sempre meno sono coloro che scelgono il rito religioso. Fotografia di un paese che sta subendo profondi cambiamenti sociali e culturali. Eppure il senso della famiglia resiste e continua ad essere un valore importante per gli italiani, da sostenere con opportune azioni.
di Novella Caterina
I giovani e la famiglia
Le indagini sul mondo giovanile dimostrano che l’idea della famiglia c’è ed è salda e radicata tra i giovani.
In percentuale diversa a seconda delle zone d’Italia, ma comunque sentita come un valore importante a cui orientare la vita. Più del 60% dei giovani dichiara di volersi sposare. Lo fa l’80% di quelli isolani, il 69,5% dei ragazzi del centro, del 67,7% di quelli del sud e, rispettivamente, del 65,2% e 64,7% dei ragazzi che vivono nel nord ovest e nel nord est.
Ma che modello di famiglia hanno in testa?
L’analisi si fa complessa se si inizia però ad indagare sul concetto di famiglia e sulla divergenza, sempre meno marcata, tra questa e la coppia di fatto, contesto che apre scenari più vasti e delicati.
I dati parlano chiaro. Nel 1971 i matrimoni in Italia sono stati 404.464; nel 1991 312.061; nel 2008, anno dell’ultima rilevazione ISTAT “Italia in cifre 2010”, 246.613. La decrescita è iniziata vertiginosa a partire dal 2001, quando la situazione economica e sociale ha subito una contrazione evidente. Gli anni ’70, conosciuti come quelli del “miracolo economico” lasciavano intravedere benessere e prosperità agli italiani che, anche per questa ragione, oltre che per un fatto culturale ed educativo, investivano nel matrimonio e nella famiglia tradizionale. A partire dagli inizi degli anni ’90 e, in modo palese ed inequivocabile con l’avvento del terzo millennio, la situazione economica si è rovesciata, volgendo verso l’instabilità. Meno certezze e, di conseguenza, minore propensione ad un impegno, anche economicamente pesante, qual è il matrimonio.
Come si diceva, l’analisi è complessa e va condotta necessariamente anche su altri fronti. Quello culturale in primis. A partire dagli anni ’80 gli effetti della riforma del diritto di famiglia che, tra le tante, ha introdotto il divorzio in Italia, hanno iniziato a lasciare tracce. Prima di allora culturalmente la gente non era pronta ad accettare l’idea che un matrimonio potesse finire, come impensabile era che un’unione potesse esistere al di fuori del vincolo matrimoniale. Aggiungerei sacro, visto che era culturalmente lontana anche l’idea del solo matrimonio civile. La cultura oggi è cambiata. La laicizzazione progressiva della società ha comportato una diminuzione sensibile dei matrimoni religiosi. Un esempio per tutti: San Donà di Piave (Veneto), anno 2010; l’anagrafe parrocchiale registra solo 7 matrimoni, contro i 16 del 2009 e i 20 del 2007.
Cosa sta accadendo dunque? I fenomeni sono plurimi e si sovrappongono. I matrimoni religiosi sono in forte calo. Aumentano quelli civili, ma crescono anche le convivenze e le seconde (a volte anche terze) nozze (13% del totale).
Le unioni in numeri
I dati statistici lo confermano.
Nel 2005 i matrimoni religiosi erano 166.431, contro gli 81.309 celebrati con rito civile. Nel 2007 il numero dei secondi è salito di quasi 5 mila unità, mentre quello dei matrimoni religiosi è calato di circa 3 mila unità. Nel 2008 ai 156.031 matrimoni religiosi si contrappongono 90.582 matrimoni civili. Lo scenario diventa più preciso se i dati si analizzano per aree geografiche. Nel 2009 a nord i numeri delle due opzioni quasi si equivalgono; 46.275 e 45.448. In alcune regioni i matrimoni civili superano quelli religiosi (in Friuli Venezia Giulia 2.121 contro 1.608, in Trentino Alto Adige 1.975 contro 1.587, in Liguria 3.127 contro 2.557, in Toscana 7416 contro 6.372 e in Emilia Romagna 7.483 e 6.538). Al centro si registrano 24.173 matrimoni religiosi e 19.466 civili. Nel sud di Italia invece resiste, con un distacco sensibile, la tradizione del matrimonio religioso con 73.936 unioni consacrate contro le 21.561 unioni dell’altro tipo. La regione in cui il divario è più accentuato è la Campania con 22.843 matrimoni religiosi contro 6.548 civili. Interessante è però notare che sommando le cifre dell’anno 2009 appena riportate, il totale fa rispettivamente 144.384 matrimoni religiosi e 86.475 civili. Rispetto al 2008 diminuiscono i primi ma anche i secondi. Questo significa che in aumento sono coloro che scelgono la convivenza o restano a vivere in famiglia.
Si profila così un nuovo scenario. L’età media in cui si arriva al matrimonio (civile o religioso) è 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. I ragazzi temporeggiano a casa di mamma e papà; i fidanzamenti sono più lunghi, in media di 5 anni, le convivenze aumentano.
Cause e possibili azioni
Cosa è all’origine di tutto ciò? Disagio e incertezza economici, cambiamento culturale e sociale, ma anche la sempre minore capacità da parte dei giovani di assumersi responsabilità. La famiglia rimane un valore importante, ma sembra più forte la paura di compiere scelte forti, chiare e definitive. Forse perciò ad essere in crisi non è tanto il matrimonio quanto la società nel suo complesso. Solo promuovendo azioni e supporti culturali, educativi, politici, economici sarà possibile restituire pienezza al concetto di famiglia e a quello che ne rappresenta l’unico, reale fondamento.
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