Cosa sta facendo e cosa dovrebbe la pastorale giovanile e quella della famiglia per accompagnare i giovani nella scelta del matrimonio cristiano?
Ripensare la pastorale dei fidanzati
Abbiamo interpellato il responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile e il direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della Cei secondo i quali occorre un cambio di mentalità. Non bastano solo i corsi prematrimoniali per orientare i giovani e per prepararli alla scelta della vita coniugale, ma è necessaria una educazione all’amore che non inizia con il fidanzamento e non termina con il matrimonio. Serve una pastorale integrata che abbia come fine l’educazione ad una vita buona.
di Stefania Careddu
La pastorale giovanile “nella sua indole ha a cuore l’aspetto vocazionale che riguarda, tra l’altro, la ricerca di una stabilità di vita che ha nel matrimonio la sua scelta più ordinaria”. Ecco perché “tutta la pastorale giovanile dovrebbe essere orientata a scoprire il disegno che il Signore ha su ciascuno di noi”, sottolinea don Nicolò Anselmi, responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile (Snpg) della Cei.
L’educazione all’amore, insomma, non inizia con il fidanzamento e non termina con il matrimonio. Affermarlo non è uno slogan e neppure un colpo di spugna sulle iniziative che parrocchie, diocesi, associazioni e movimenti propongono a quanti stanno per convolare a nozze. Significa piuttosto indicare un orizzonte più ampio dentro il quale ripensare la formazione delle giovani coppie.
"L’amore non ha bisogno di un corso, che al limite può essere un pronto soccorso", rileva don Anselmi. In altre parole, i corsi funzionano, ma hanno bisogno di essere inseriti in un percorso formativo che prenda in considerazione le varie fasi di crescita dei ragazzi e la globalità del sentimento dell’amore. “La sfida si gioca sull’ordinarietà: l’amore pervade la vita di tutti i giorni, la legge dell’amore è la legge del Vangelo nei confronti dei bambini, degli amici e dei poveri”.
Questo, chiarisce il responsabile del Snpg, “è il campo dove il giovane impara ad amare”. Ecco perché occorre, secondo il sacerdote, rilanciare la “preparazione remota” che – spiegava 30 anni fa Giovanni Paolo II nella sua Familiaris Consortio – “ha inizio fin dall'infanzia in quella saggia pedagogia familiare, orientata a condurre i fanciulli a scoprire se stessi come esseri dotati di una ricca e complessa psicologia e di una personalità particolare con le proprie forze e debolezze”. Un periodo, continuava Papa Wojtyla, “in cui va istillata la stima per ogni autentico valore umano, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali”. Secondo il responsabile del Snpg, “la preparazione remota è attualmente tra gli ambiti meno esplorati perché si dà più attenzione a quella immediata, fatta di incontri poco prima del matrimonio”.
“Soprattutto dopo il Convegno di Verona e la pubblicazione degli Orientamenti Pastorali – dice don Anselmi – si stanno sviluppando alcune esperienze di educazione all’affettività e di gestione delle emozioni”. Si tratta di iniziative che si affiancano ai più tradizionali corsi promossi nell’imminenza del matrimonio, ad itinerari formativi che possono durare da alcuni mesi fino a tre anni (ne sono un esempio “Nati per amare”, la proposta dell’Azione Cattolica Ambrosiana, o la “Casa sulla Roccia” della diocesi di Firenze), ai ritiri spirituali o ad eventi speciali per fidanzati (come la Festa diocesana organizzata nella diocesi di Manfredonia-Vieste lo scorso 13 febbraio o la promessa d’amore fatta davanti all’urna di San Valentino ogni anno a Terni).
Per don Anselmi, tuttavia, c’è anche la necessità di “una maggiore attenzione all’accompagnamento spirituale, alla vita interiore, alla preghiera, alla paternità spirituale” così come di “un’educazione all’amore che un giovane sperimenta anche nelle relazioni di amicizia, nei confronti dei bambini e dei poveri”. Non ultima “l’importanza di avere modelli di coppia, cioè coppie che si mettono a servizio dei ragazzi con il loro esempio e la loro testimonianza”.
“Serve un cambiamento di mentalità”, conferma don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della Cei. “Sembra che l’accompagnamento dei fidanzati – osserva – sia appannaggio dei soggetti che se ne occupano, mentre tutta la comunità ecclesiale deve sentirsi coinvolta”. Giovani sposi, parroci, animatori, ma anche organismi esterni e istituzioni devono essere coinvolti nella formazione dei giovani e delle nuove famiglie. Specialmente nel contesto attuale dove “l’adolescenza pare non abbia termine e a fronte di uno sviluppo affettivo precoce le scelte di vita definitive risultano sempre più difficili”.
“I corsi pre-matrimoniali si rivelano insufficienti anche perché spesso chi vuole sposarsi si è allontanato dalla Chiesa”, aggiunge don Gentili per il quale è dunque fondamentale “operare in rete” e lavorare ad una pastorale integrata che abbia come fine l’educazione ad una vita buona, cioè “alla capacità di dono, di fare della propria vita un dono e di vivere l’amore in tutti i suoi aspetti”.
In quest’ottica, Snpg e Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia stanno lavorando ad un documento sui corsi per fidanzati che tiene in debito conto proprio la “preparazione remota”. Ed evidenzia il ruolo dell’intera comunità cristiana nella formazione e nella vicinanza ai giovani nei momenti cruciali della loro vita.
Del resto, aveva sottolineato anni fa l’allora responsabile della pastorale familiare della diocesi di Ancona, e attuale vescovo di Macerata, mons. Claudio Giuliodori, “ripensare la pastorale dei fidanzati è compito di tutta la comunità e coinvolge tutte le sue componenti: sacerdoti, famiglie, operatori pastorali, centri specializzati. Non si tratta solo di coprire un ‘buco pastorale’, ma di ripensare la vita della Chiesa in relazione alla famiglia e alla categoria teologica della sponsalità”.
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