STORIE DI VITA - Mondo Voc febbraio 2011 Torna al sommario
Navigando, finalmente l’approdo
La storia di Augusta, una ragazza siciliana della provincia di Ragusa “drogata” di web che navigando ha trovato l’occasione della sua vita. Ora fa parte di una comunità laicale che gestisce un istituto per l’infanzia abbandonata in Brasile.
di Michele Pignatale
“Tutto è iniziato quando mi sono trasferita a Valencia, in Spagna, per un’esperienza Erasmus. Sei stanca, ti senti giù di corda, sei lontana da casa, dalle tue amicizie quotidiane. Troppe ore spese davanti ad un video alla ricerca di qualcosa di cui è difficile esprimerne una urgente necessità. Eppure senti di non poterne fare a meno di spaziare fra persone, contesti, situazioni che ti tengono incollata per diverso tempo davanti ad un video, riuscendo anche a ritardare o a saltare i pasti. Stavo usando un mezzo in maniera dissennata e non mi accorgevo del male che mi stavo procurando. Ne risentiva lo studio, le relazioni personali, la stessa esperienza universitaria. Bisognava porre rimedio a quella situazione. Ma ne avvertivo l’incapacità”.
Augusta è una ragazza siciliana della provincia di Ragusa di 27 anni, laureata in scienze delle comunicazioni a Roma. È in procinto di ripartire per il Brasile dove sta facendo un’esperienza presso una comunità laicale che gestisce un istituto per l’infanzia abbandonata. Ha passato già due anni dentro questa struttura e si appresta a compierne altri due.
Come sia riuscita a realizzare questa esperienza, lei stessa afferma essere stata una cosa abbastanza misteriosa all’inizio. Col tempo molte idee si sono chiarite e la stessa presenza in quel luogo ha subito profonde trasformazioni.
Una morbosa dipendenza
Dunque era arrivata a Valencia per un’esperienza Erasmus. Si era portata con sé il fedele computer. Le sarebbe servito nello studio ma soprattutto a far sì che la lontananza dalla famiglia e dagli amici fosse meno traumatica. E proprio partendo da questo bisogno naturale che Augusta ha trasformato l’uso del computer e del web in particolare, in una quasi morbosa dipendenza.
“C’erano tutte le premesse per una deriva esistenziale – ci racconta Augusta – quando prendi coscienza che il tempo scorre velocemente e tu sei come immobile dentro un oceano di virtualità che ti spreme ogni energia e ti inabissa senza darti la possibilità di riprendere fiato. Sei sempre a cliccare, ad aprire finestre, a frequentare piazze, ad incontrare persone di ogni latitudine seguendo lo svolgersi del giorno. Posso affermare di essere stata drogata dal web. La stessa famiglia in cui risiedevo a Valencia manifestava preoccupazioni vedendo il mio comportamento. Ed io a dare falsamente assicurazioni. Ma era talmente chiaro che non facevo vita universitaria degna di quel nome”.
Per staccare la spina da questa situazione ci voleva più che un miracolo. Difficilmente Augusta sarebbe riuscita, per propria volontà, a dare una sterzata a quella vita quasi da robot.
La sterzata in un link
Una sera come al solito stava facendo il giro del mondo tramite internet quando scopre un link che apriva su un sito di giovani australiani che raccontavano la loro esperienza presso una struttura infantile del Brasile illustrandola con numerose foto. Vi erano dei commenti anche di giovani coreani molto entusiasti anche loro di aver potuto condividere l’esperienza. Infine c’era un invito per una successiva esperienza che si sarebbe svolta nel periodo natalizio.
Augusta è stata subito colpita dall’entusiasmo dei giovani australiani e dalle foto pubblicate. Si è messa subito in contatto chiedendo informazioni che le sono arrivate in brevissimo tempo.
Appuntamento con l’allegria
“Non riuscivo a capacitarmi come avessi fatto in pochi giorni a ritagliarmi uno spazio di libertà per prendere la decisione di seguire questo gruppo di australiani in Brasile. Era del tutto singolare la vicenda. Avevo preso le mie informazioni e l’unica preoccupazione era quella se fossi adeguata a compiere quella esperienza. Tralascio l’arrivo in Brasile e la festa che mi fecero i giovani amici e amiche australiane al mio arrivo e l’ulteriore festa riservata a tutti noi dalle amiche della comunità brasiliana. Un’autentica festa della vita, dell’accoglienza, dell’amicizia.
Cominciavo ad assaporare qualcosa di veramente nuovo. L’allegria si impossessò del mio cuore ed era quello che serviva in quella struttura di dolore dove si trovavano 250 bambini dai primi mesi fino ai sei anni, abbandonati e alcuni con disabilità varie.
In quella struttura il sorriso era l’arma del vivere ed ogni cosa, anche la più umile doveva essere fatto col sorriso. Io non avevo compiti particolari ed importanti. Dovevo rigovernare le camere dei ragazzi, mettere ordine, pulire, spazzare, lavare i pavimenti, i bagni e poi servire a tavola e collaborare alla pulizia del grande refettorio e poi partecipare ai giochi del pomeriggio seguendo un gruppo di bambini particolarmente incapaci. E tutto questo fatto con allegria.
L’esperienza è stata talmente forte che non poteva rimanere isolata. Così al mio ritorno decisi che dopo la laurea sarei ritornata in quella realtà per rimanervi più a lungo. E da sei mesi in sei mesi sono passati due anni.
È inutile raccontare il capovolgimento della mia vita. È stata completamente rivoltata e anche la mia fede dimenticata e messa a parte è stata rivitalizzata dal mare di sorrisi di cui ogni giorno i bambini mi inondano commuovendomi.
Anche la mia famiglia si è convertita al progetto e mi hanno promesso che nei prossimi due anni, verranno a passare qualche mese per ringraziare tutti coloro che hanno restituito alla vita la loro figliola dispersa nell’oceano virtuale del web”.
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