04Dicembre 2012

Vita consacrata: una convergenza delle chiese cristiane

Un dono oltre le divisioni

Per la prima volta dopo cinque secoli le chiese cristiane, nella varietà delle confessioni, convergono su un giudizio di valore in ordine alla vita consacrata. Essa è parte delle forme essenziali alla vita ecclesiale.

L’inabituale tesi emerge dalla cronaca delle forme di vita oggi esistenti e dai giudizi che i responsabili ecclesiali ne danno. La preoccupazione nell’ambito cattolico della desertificazione della vita consacrata e monastica in Europa pur in presenza del radicamento fuori del quadrante europeo e della vivacità delle nuove fondazioni, impedisce, anche per mancanza di informazioni, di recepire il mutamento del giudizio cristiano in atto. Si tratta di una conferma e un affinamento per quanto riguarda la chiesa cattolica e quella ortodossa, mentre per quelle protestanti e anglicane è un mutamento di rilievo, anche se non propriamente un rovesciamento.

Da Versailles a Wittemberg
Domenica 28 ottobre a versailles (parigi) vi è stata la cerimonia di avvio del priorato della nuova responsabile delle diaconesse di reuilly. Alla presenza del pastore claude baty, presidente della federazione protestante di francia, suor mireille golliez è succeduta a suor evangeline vié nella guida della comunità monastica che gestisce una serie di servizi ospedalieri, soprattutto in ordine alle cure palliative. Fondata nel 1841 dal pastore protestante a. vermeil e da caroline malvesin ha avuto come riferimento l’istituto voluto da san vincenzo de paoli e come compito quello di rappresentare un riferimento unitario per il variegato e spesso contrapposto mondo del protestantesimo francese. Del tutto coerente l’attuale sensibilità ecumenica della comunità. La nuova priora aggiunge alla tradizionale attenzione ai poveri una più evidente dimensione monastica. Davanti alla crisi numerica e all’invecchiamento la priora commenta: «Siamo chiamate a inventare nuove maniere di vivere la nostra vocazione con i laici e altre comunità cristiane, come a parigi e a lille dove le nostre suore vivono con religiose cattoliche» (cf. la croix, 30 ottobre 2012).

Chiese protestanti.
La nota di cronaca nella sua tranquilla appartenenza istituzionale e riconoscimento ecclesiale sembra far parte di una storia diversa da quella avviata da martin lutero. Il riformatore, infatti, è all’origine di un giudizio tranciante espresso nel libello «Il giudizio di lutero sui voti monastici» del 1521. I voti religiosi non si fondano sulla parola di dio, anzi le sono opposti «perché i sostenitori dei voti si appoggiano da una parte sul fatto che il vangelo si divide tra consigli e comandamenti (mentre tutto è comandamento); dall’altra parte essi distinguono la vita cristiana fra stato di imperfezione (la folla) e stato di perfezione (loro stessi). Così i monaci si affidano alle loro opere, cioè alla scelta che essi fanno dei tre consigli. Anzi, la loro obbedienza e povertà differiscono molto dalla lettera del vangelo (obbediscono a uno solo e non a tutti; conservano per se stessi – o per il loro economo – ciò che ricevono) e soprattutto, la loro castità, corrotta all’estremo dalle passioni, sembra andare al di là del vangelo e, dunque, secondo lutero, oltre cristo. Perché quindi non stare al battesimo in cui confidiamo nella salvezza che il solo cristo opera?» (cf. noëlle hausman ou va la vie consacrée? essai sur son avenir en occident lessius, bruxelles 2004, p. 77). I voti si oppongono alla fede per la loro connotazione di perpetuità e di necessità. Da un lato non si può osservarli fino in fondo e dall’altro non si possono abbandonare con libertà. Solo la fede ha la caratteristica di essere necessaria e perpetua. Solo essa produce la remissione dei peccati e la giustificazione. Le opere vengono a turbare la potenza della fede e a inquinarla. Essi si oppongono alla libertà evangelica perché la coscienza cristiana non è un potere d’agire, ma solo di giudicare ed essa è altra cosa dalle opere con cui la si vuole legare alla salvezza e al bene. Essi si oppongono ai comandamenti di dio e in particolare ai primi tre comandamenti: «il primo riguarda la fede, il secondo il rispetto di dio (ora riferibile a cristo), il terzo sono le opere di dio in noi (mentre coi voti il cristo è rinnegato sia nelle opere che nel nome)» (p. 80).

No alla Vita consacrata
Il servizio divino e l’esercizio della carità sono sufficienti per relativizzare e spezzare il vincolo dei voti. Sono inoltre opposti alla ragione che non tollera nell’uomo un impegno incondizionato. Inoltre, poiché due voti sono palesemente disattesi (non si tratta di povertà, ma di comune abbondanza; non si esercita l’obbedienza appena si diventa superiore o vescovo) non si vede perché considerare intangibile il solo voto di castità. Lutero di per sé non è contrario al monachesimo e alla vita religiosa in quanto tale, ma alla sua formulazione come stato di vita e alle modificazioni ecclesiali che questo stato induce. Il vangelo ha infatti reso impensabile una partecipazione a cristo controllata e misurata dalla chiesa, come si realizza nel caso della definizione valida per tutti e per ogni tempo di uno stato particolare di partecipazione privilegiata alla vita della chiesa.
Ancora nel calwer kierchenlexikon del 1941 si può leggere alla voce monachesimo: «Il protestantesimo respinge totalmente la vita monastica». Nel 2007 l’allora presidentedel consiglio della chiese protestanti in germania (ekd), il vescovo wolfgang huber, scriveva: «dopo la riforma, con le critiche di lutero ai monasteri e agli ordini del suo tempo, le chiese della riforma guardavano con esitazione questa scelta di vita. La vita monastica, le forme di vita comunitaria, la scelta del celibato sembravano di per sé qualcosa di non evangelico, non conforme al protestantesimo. Questo, grazie a dio, è totalmente cambiato». Le comunità monastiche e di vita comune «sono un tesoro della chiesa evangelica, da custodire e da sviluppare». Le affermazioni sono tratte dall’introduzione a un testo votato dal consiglio sulle comunità e società di vita spirituale presenti nelle chiese luterane e riformate tedesche dal titolo verbindlich leben che, rispetto alla usuale formulazione cattolica di vita consacrata, esprime più la dimensione del legame vincolante che quella specificamente trascendente. Si può tradurre con «vivere in maniera vincolante» (cf. regnoatt. 14,2007,458. Mi avvalgo in particolare dello studio apparso su claretianum 3, LII, 2012, «La vita consacrata nell’esperienza attuale delle chiese protestanti e anglicane », pp. 189-241, a firma di joan patricia back).
Sono 234 le comunità e le società di vita spirituale attive nelle chiese luterane e riformate tedesche, anche fuori dei territori della germania. Nell’insieme, 56 sono comunità con voti e stabile vita comune, 33 sono fraternità di vario tipo con la presenza di maschi e femmine, 28 sono comunità di famiglie, 105 sono fraternità della tradizione caritativa e 12 sono di impianto ecumenico.

Cambia il giudizio
Il cambiamento di giudizio si è prodotto molto lentamente, guidato dalla sorprendente fecondità delle comunità e dal travaglio degli spiriti più avveduti. Come ha annotato max thurian: «La riforma di lutero e calvino soppresse le comunità monastiche e questo per noi fu un grave problema, allorché si trattò di obbedire alla nostra vocazione e alla restaurazione della vita comunitaria nella chiesa riformata». La lotta alla fede meritoria, il rifiuto della suddivisione in categorie diverse della vita cristiana e la denuncia dei voti come anti-evangelici non hanno impedito che la vita comune riemergesse. Come ha scritto un teologo anglicano, a.m. allchin, «malgrado l’importanza data alla posizione dei riformatori sia nella tradizione luterana che calvinista, i voti si sono autoriabilitati. Ma sono stati intesi precisamente in rapporto all’iniziale atto di dio che chiama, come mezzi verso la libertà, non come segno di schiavitù. In tal modo essi diventano non un segno della ricerca dell’uomo per trovare la propria strada verso dio da solo, ma un segno dell’accettazione da parte dell’uomo del dono di dio e della fedeltà di dio. Lungi dal rinnegare la dottrina della giustificazione per fede, essi possono essere visti come una sua sorprendente espressione».
Il cambiamento di paradigma si è manifestato nelle chiese protestanti a partire dal 1979, quando il consiglio dell’ekd approva un documento con titolo Spiritualità evangelica e infrange il tradizionale rifiuto verso la via monastica. Hans dombois, esperto del diritto canonico evangelico, nella sua opera das recht der gnade (Il diritto della grazia) del 1974 aveva riconosciuto che gli aspetti sociali essenziali della chiesa già riconoscibili nei primi quattro secoli erano: la chiesa universale, la chiesa particolare, le parrocchie e il monachesimo. E concludeva: «Perciò gli ordini e i monasteri sono forme sociali legittime anche nella chiesa evangelica».
Il documento del 2007 ricorda l’opportuna resistenza dei riformati alla sopravvalutazione della sede papale e dello stato religioso che condannava di fatto all’irrilevanza la chiesa locale, il vescovo e i fedeli comuni, con l’esito di rimuovere la qualità spirituale sia dell’esperienza familiare sia del compito lavorativo e del ruolo civico del cristiano. Ma, fin dall’inizio della riforma, vi fu una sorprendente resistenza di alcune comunità all’imperativo della dispersione. Uno dei primi riformatori, martin bucero, fondò nel 1546 una comunità di vita comune. È stato soprattutto il pietismo a ridare cittadinanza all’esperienza monastica e religiosa. Uomini come jacob spener, gottfried arnold, gerard tersteegen, nikolaus Ludwig conte di zinzerdorf, fondarono fra il 1670 e i primi decenni del settecento una serie di comunità che ebbero sviluppo e una qualche continuità. Questa prima ondata di fondazioni si giovava di una corrente spirituale di tipo mistico, alimentata in precedenza da figure come jakob böhme, johann arndt, christian hoburg e dai «sacerdoti poveri» di john wycliffe.
La seconda ondata di esperienze comunitarie è nata nell’ottocento dalla spinta caritativa e dal servizio ai poveri. Comunità sia femminili sia maschili si impegnarono attivamente nei campi dell’assistenza ai ceti più indifesi della società, sviluppando contestualmente una profonda spiritualità. La comunità delle diaconesse di reuilly da cui siamo partiti appartiene a questa stagione. Johann hinriche wichern, theodor fliedner e j. k. whilelm löhe sono considerati i fondatori del movimento delle diaconesse nel mondo luterano. Diaconi e diaconesse non prendono i voti e fondano il loro impegno caritativo sulla presenza di gesù nel povero e sulla spiritualità radicata nei vincoli della vita comune.

Finkenwalde e Taizé
Nel novecento si registrano tre nuove ondate di forme di vita comunitaria. La prima assume la figura di fraternitàsenza la vita comune, come la fraternità evangelica di michael, fondata nel 1931. La seconda, legata invece alla vita comune trova il suo esempio più vigoroso nel seminario dei pastori della chiesa confessante a finkenwalde, la cosiddetta bruderhaus, dove opera la figura prestigiosa di dietrich bonhoeffer. Negli stessi anni si avvia la comunità di roger schutz a taizé. «Nei primi anni – ricorda fr. john su settimana 46/2011 – quando fr. roger in svizzera pensava a questo tipo di vita, era questa la ricerca dei frères: essere accettati dalle loro chiese di origine. Prima di tornare a taizé dopo la guerra, fr. roger ha incontrato altri tre giovani a ginevra, con i quali faceva vita comune e insieme animavano la preghiera nella cattedrale di ginevra, dove c’era un pastore molto aperto. Altri invece erano dubbiosi. La pazienza e la tenacia con cui i frères cercavano di spiegare e far vedere, alla fine hanno dato frutto. Una delle cose più difficili era sicuramente l’idea di un impegno celibatario nella modalità dei voti: questo era contrario a una certa tradizione che non voleva “legare lo Spirito Santo” – come se non lo si legasse nel matrimonio! Era la teologia del tempo».
La terza ondata del ‘900 prende forma negli anni ’60. Nascono comunità familiari in vista del rinnovamento del tessuto sociale. Emblematica è la fraternità di gesù di gnadental. In essa convivono una fraternità celibataria, una comunità di sorelle e un grande gruppo di famiglie giovani e meno giovani. Insieme formano una «comunità cristiana locale». «Ogni giorno pregano insieme, alcuni anche lavorano insieme e festeggiano insieme. Il loro modello è la koinonia di pacomio, padre del monachesimo nel terzo secolo in egitto» (Back, op. cit. p. 212).

Recuperare il tesoro
Anglicanesimo. La tradizione anglicana non ha alle spalle una posizione teologica come quella di lutero, ma la decisione politica di enrico viii che negli anni ’30-’40 del 1500 decreta la chiusura dei monasteri. «È difficile stimare il numero esatto dei religiosi e di case soppresse in quel tempo in inghilterra. Gli storici, mettendo insieme tutte le informazioni, dicono che dai monasteri più grandi sembra che furono espulsi circa 3200 monaci e canonici regolari, 1800 frati, 1560 suore. Se a questi si aggiunge il numero di quelli coinvolti nel primo atto del parlamento (1536) si può stimare che i religiosi e le religiose espulse dalla loro case furono circa 8.000» (Back, op. cit. 219). Nei primi decenni del 1800 il movimento di oxford propose di nuovo all’attenzione della chiesa la tradizione dei padri, la centralità della liturgia e anche la possibilità della vita comune. John henry newman fondò una comunità maschile nel 1840 e keble pusey una femminile. Trent’anni dopo vi erano in gran bretagna 25 comunità di diverse dimensioni. Pur non essendoci un riconoscimento formale alcuni vescovi sostennero le esperienze di vita consacrata, nonostante la resistenza alla pronuncia dei voti. Nel Novecento la spinta comunitaria non diminuisce. L’anglicano p. congreve annota: «Nostra gioia speciale è il recupero di un tesoro che si supponeva perso per sempre per noi. Qui c’è la potenza della vita di cristo riscoperta tra noi, una forza a lungo dimenticata che irrompe con nostra sorpresa nella chiesa. È un incoraggiamento a toccare per esperienza che dio può fare, e lo sta facendo ancora per noi, ciò che nessuno si aspettava, e ciò che si supponeva quasi impossibile» (Back, op. cit. 222).
Il cammino di un riconoscimento formale data dalla conferenza di lambeth del 1897, che ringrazia dio per le benedizioni che ha manifestato facendo rinascere delle comunità religiose nel nostro ramo della chiesa cattolica. Il tema si ripropone nella conferenza di lambeth del 1930. Cinque anni dopo parte il consiglio consultativo, organo deputato a trattare le materie attinenti alla vita religiosa e alle relazioni vescovi e comunità. La conferenza del 1968 sottolinea il valore della testimonianza religiosa, la sua fedeltà alla preghiera, al servizio e all’unità della chiesa. L’anno dopo nel codice dei canoni si annota espressamente il riconoscimento della vita con voti con riferimento ai diaconi e alle diaconesse. Negli anni ’60 il vescovo di oxford, kirk, scrive: «Lo sviluppo della vita religiosa nella comunione anglicana nel corso degli ultimi 100 anni è un fenomeno di primaria importanza». Oggi ci sono 119 comunità religiose anglicane in 32 paesi, con 1231 religiose e 923 religiosi.

Appartiene alla Chiesa
Chiesa cattolica. Per quanto riguarda la chiesa cattolica non vi è necessità di mostrare il giudizio positivo del magistero sulla vita consacrata e il suo ruolo entro i riferimenti fondamentali della vita ecclesiale. Mi limito a citare il n. 3 della esortazione apostolica post-sinodale, vita consecrata: «L’universale presenza della vita consacrata e il carattere evangelico della sua testimonianza mostrano con tutta evidenza – se ce ne fosse bisogno – che essa non è una realtà isolata e marginale, ma tocca tutta la chiesa. I vescovi nel sinodo lo hanno più volte confermato: “è cosa che ci riguarda”. In realtà la vita consacrata si colloca nel cuore stesso della chiesa come elemento decisivo per la sua missione, giacché “esprime l’intima natura della vocazione cristiana” (Ad gentes n. 18) e la tensione di tutta la chiesa – sposa verso l’unione con l’unico sposo. Al sinodo è stato più volte affermato che la vita consacrata non ha svolto soltanto nel passato un ruolo di aiuto e di sostegno per la chiesa, ma è dono prezioso e necessario anche per il presente e per il futuro del popolo di dio, perché appartiene intimamente alla sua vita, alla sua santità, alla sua missione (Lumen gentium n. 44)» (Evc 6948).

Athos e Mosca
Chiese ortodosse. Per la chiesa ortodossa sono utili alcuni riferimento al fenomeno del monte athos e alla crescita dell’esperienza monastica in russia come in romania.
Il monte dell’athos, la straordinaria concentrazione di fenomeni monastici della tradizione ortodossa, conosce oggi una rinnovata centralità. All’inizio del secolo scorso la popolazione dell’athos contava oltre 4.700 monaci. Ma dopo la rivoluzione russa, che ha tagliato ogni alimentazione da quel paese e dopo la guerra civile che ha devastato la grecia alla fine della seconda guerra mondiale, il numero dei monaci è sempre calato fino a raggiungere nel 1971 la quota minima di 1.100 presenze. In quel frangente alcune voci posero seriamente la questione della sopravvivenza dell’athos, ritenendo che il monachesimo non corrispondesse più alla situazione della chiesa. A metà degli anni ’70 il governo dei colonnelli pensò a uno sviluppo turistico dell’area. Ma l’emergere di alcune figure di rilievo, proprio in quegli anni, da padre iosiph l’esicasta a padre ephraim di katounakia a padre paisios, ha permesso una lenta ma costante inversione di tendenza. Ai monaci-contadini si sono via via succeduti i monaci-cittadini e letterati formati a una scuola spirituale esigente. Alla fine degli anni ’70 si registrarono 200 nuovi ingressi che divennero 700 a metà degli anni ’90. Oggi i monaci sono oltre 1.700, con un’età media molto più giovane. Pur in presenza di problemi non risolti (come la scomunica patriarcale verso il monastero esphigmenou, la condivisa posizione antiecumenica, la forza corrosiva del turismo) l’athos è tornato ad essere un polo di riferimento per tutta l’ortodossia. Anche per l’ortodossia russa che ha deciso di favorire la presenza di monaci russi dando il via a una specifica fondazione (d’intesa col potere politico) per sostenerli anche economicamente.
Impressionante la crescita del fenomeno monastico nella chiesa russa. Parlando ai suoi preti nel 2007 il patriarca russo alessio II parlava di 732 monasteri (nel 2004 erano 655), divisi equamente fra maschili e femminili, con più di 10.000 presenze. Le locande ecclesiastiche (strutture di accoglienza legate ai monasteri per servizi sociali vari) e gli eremi (residenze solitarie per gli eremiti) erano oltre 200. 25 i monasteri direttamente dipendenti dal patriarcato. «Ogni vescovo diocesano sa come sia difficile rialzare dalle rovine un monastero e quante fatiche e preoccupazioni, pazienza e amore esiga la rinascita di una comunità monastica. Il desiderio di impiantare e far crescere la comunità monastica, specialmente se il numero dei monasteri attivi nella diocesi non è grande, è perfettamente legittimo. E comunque l’importante non è la quantità dei monasteri, ma soprattutto che essi rispondano alle loro ragion d’essere e diventino isole di spiritualità, fortezze spirituali e cinta di mura dell’ortodossia, rinforzando la verità di dio nel gran mare di questo mondo che giace nel male» (cf. regno-doc. 1,2007,48; nello stesso numero un importante studio di p. g. marani sul fenomeno monastico russo). Il patriarca, predecessore dell’attuale, cirillo i, si rallegra dell’enorme sviluppo, ma indica anche le sfide più urgenti: l’emergenza costruttiva e finanziaria da un lato e la dimensione formativa e spirituale dall’altro. «In alcuni monasteri ci sono degli eremi (skit), dove gli asceti monaci dalla mattina presto alla sera tardi sono occupati dalla cura degli animali domestici, dai pascoli, dall’orto e da altre faccende dell’andamento domestico. È chiaro che la destinazione iniziale dell’eremo come luogo di cura dell’anima e di attenti sforzi di preghiera in questo caso si perde». Per questo vanno sorvegliate le domande di ingresso e va messo in opera un accompagnamento all’altezza delle sfide attuali. Rifacendosi alla disposizione sinodale ricorda la figura decisiva dello starez (padre spirituale): «Gli starci ai quali si affida il compito di seguire i fratelli sono monaci e monache che sono progrediti nella vita spirituale, che hanno una familiarità con la parola di dio, con le opere e le regole dei santi padri e capaci di guidare la vita spirituale». Meno della metà dei monasteri ha oggi una figura di questo tipo. Solo dall’approfondimento spirituale, dalla pratica liturgica e sacramentale può nascere un rinnovamento della disciplina interna e un giusto collocamento rispetto alla gerarchia. Tenendo conto che l’autorità monastica è spesso più riconosciuta di quella episcopale, il patriarca si preoccupa del troppo facile riferimento dei monaci al sinodo piuttosto che al vescovo locale.
Cirillo i, non ancora patriarca, in una intervista nel 2006, indica l’athos come il modello per ogni monastero ortodosso. «Il senso della vita monastica non consiste nell’austerità: questa non è che un mezzo per raggiungere la perfezione. Il senso della vita di un monaco è l’amore di dio e del prossimo» (cf. regno-doc. 1,2007,58). E legittima un’altra tensione importante: quella che, nei nostri linguaggi, può essere indicata come vita monastica e vita attiva. Ritenuta indebita la contrapposizione di queste due esigenze, tende a valorizzare la vita accademica, sapiente, oltre che spirituale. Soprattutto per i monaci che diventano vescovi e responsabili di funzioni ecclesiali. E addita nel metropolita nikodim, morto nel 1978, il riferimento di questa «scuola di monaci sapienti».

Regola e padri spirituali
Vorticosa la crescita monastica anche nella chiesa rumena. In poco più di un decennio il numero dei monasteri e degli eremi è passato da 114 a 600 e il numero dei monaci e delle monache da 1.500 a 7.500. Rivelandone le cifre il metropolita serafim di germania, aggiunge una preoccupata constatazione: «Viviamo oggi in romania una crisi molto grave, non solo della vita monastica, ma della vita della chiesa in generale, dovuta proprio alla mancanza di padri spirituali» (cf. regno-att. 18,2008,602; la relazione è stata pronunciata a bose il 21 settembre). Contrariamente all’occidente in cui la vita religiosa e monastica si appoggia soprattutto alla regola e alla comunità, in oriente il riferimento principale è al padre spirituale. La mancanza di queste figure può danneggiare gravemente la rinascita in atto. «D’altronde si deve dire che non fu tanto la chiesa ufficiale che mantenne la fede in romania durante l’epoca comunista, ma proprio questi padri spirituali ai quali accorreva il popolo nei suoi bisogni e nei suoi dispiaceri». «La relazione del figlio con il padre spirituale deve essere costante, può rivestire in ogni momento un carattere sacramentale (in particolare nella confessione ndr.) in funzione della disposizione dell’anima dell’uno come dell’altro. Infatti in ogni relazione i due devono avere l’umiltà di cristo ed essere obbedienti allo stesso spirito santo per mezzo della preghiera».

Ecumenismo.

Un capitolo a parte che attraversa tutta la vita consacrata e il monachesimo è la questione ecumenica. Non solo perché tutti si rifanno alla vita cenobitica del primo millennio cristiano, ma anche perché agostino, benedetto e diversi fondatori sono ispiranti anche per tradizioni non cattoliche. Si è già accennato che 12 iniziative comunitarie in atto nelle chiese protestanti hanno un prioritario indirizzo ecumenico. Ancora prima dell’entrata ufficiale della chiesa cattolica nel movimento ecumenico vi erano già intensi contatti fra monasteri. Per esempio, il monastero della trappa a grotta ferrata – roma (ora a vitorchiano) aveva sistematici rapporti con il monastero anglicano di nashdom in gran bretagna. Sia taizé che bose sono punti riconosciuti della vicenda ecumenica. Più variegato e contrapposto il panorama nel monachesimo ortodosso. I monaci dell’athos sono in generale antiecumenici perché vedono nel dialogo ecumenico una sorta di mercanteggiamento della verità confessata dalla chiesa ortodossa. Una parte dei russi identifica l’ecumenismo con la funzione subalterna della chiesa al regime comunista, strumento per azioni politiche più che spirituali. E quindi da rimuovere. Ma lo Spirito soffia ancora. Come ha notato il metropolita serafim: «L’antiecumenismo, come si manifesta oggi, è una forma di fanatismo religioso. Infatti nella gerarchia ortodossa nessuno ammette il compromesso in materia di fede. Ora il fanatismo religioso è una negazione della religione stessa».
La straordinaria convergenza delle chiese cristiane sul valore della vita consacrata e del monachesimo deve fare i conti con condizioni, tradizioni e fragilità diverse da luogo a luogo, ma costituisce un punto di riferimento con cui misurarsi. E consolarsi.

(Lorenzo Prezzi, su Testimoni 20 del 2012)