orizzonteDicembre 2012

Riflettendo sul Sinodo

La missione come orizzonte

La nuova evangelizzazione dovrebbe rileggere il libro degli Atti e vedere quello che gli apostoli fanno e come agiscono, le ragioni e le motivazioni della loro missione. Questo è assumere la missione come paradigma dell’azione pastorale.

Il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, non sembra sia stato molto seguito e la copertura mediatica è stata piuttosto scarsa. È quindi giocoforza limitarsi alla lettura del Messaggio finale dei padri sinodali e delle propositiones del sinodo. Sono queste le uniche fonti che permettono di farsi un giudizio che non dovrebbe essere troppo lontano dalla verità.
Leggendo le 58 propositiones che i padri sinodali hanno consegnato al papa, si ha l’impressione di essere in presenza di un’esposizione di problemi gravi e profondi. Essi sono messi insieme in modo non articolato, ma raccolti in quattro capitoli. Dopo un’introduzione (nn. 1-3), nove propositiones presentano la natura teologica dell’evangelizzazione (nn. 4-12); segue la descrizione del contesto in cui si svolge il ministero della chiesa in questo tempo di nuova evangelizzazione (nn. 13-25), e le risposte pastorali che vengono date all’attuale situazione (nn. 26-40), per poi passare in rassegna coloro che sono chiamati a partecipare alla nuova evangelizzazione (nn. 41-56) per concludere con una visione riassuntiva (n. 57) e con un accenno alla madonna (n. 58). Queste 58 propositiones sono state consegnate al papa come materiale grezzo cui benedetto xvi potrà attingere per scrivere la esortazione apostolica post-sinodale.

Leggendo il “Messaggio”
Il Messaggio dei padri sinodali invece permette di avere uno sguardo d’insieme più chiaro del lavoro sinodale di quanto lo possa offrire la lettura delle propositiones. Il testo parte dalla pericope della samaritana (gv 4) presa come l’icona della nuova evangelizzazione. Essa, infatti, ritorna quattro volte nel messaggio (ai nn. 1.7.11 e 13) legandone insieme le varie parti. Poi affronta il tema della nuova evangelizzazione (2),1 presentata appunto come un incontro con gesù cristo nella chiesa (3). Un tale incontro, come si può vedere anche in analoghi fatti del vangelo, non si situa al di fuori della vita normale, né occupa momenti particolari, ma entra nel tessuto della vita feriale, per farvi risuonare la parola di dio (4). La parola di Dio chiama alla conversione anzitutto la comunità della chiesa che deve essere condotta alla santità, come dimostrano i santi la cui memoria è uno strumento privilegiato della nuova evangelizzazione (5). Le occasioni per rinnovare l’evangelizzazione ci sono, basta saperle cogliere con attenzione, senza cedere al pessimismo, senza nascondersi le difficoltà ma forti della speranza cristiana e della presenza consolante dello spirito che opera nella storia. I fenomeni della globalizzazione, delle migrazioni, della secolarizzazione, della crisi della politica e della povertà invitano la chiesa a ripensare la sua maniera di essere nel mondo e ad aprire nuovi spazi inediti per il servizio della carità; lo stesso agnosticismo e ateismo nascondono la nostalgia e l’attesa di risposte nuove e adeguate (6). Un campo del tutto particolare per la nuova evangelizzazione è quello della famiglia, delle donne e perfino i nuovi problemi relativi alla crisi della famiglia (coppie di fatto, divorziati risposati e simili) che possono essere opportunità di nuova evangelizzazione. La chiesa ha un’offerta unica: la vita e la “vita eterna”.
Nella nuova evangelizzazione un ruolo particolare va riconosciuto alla vita consacrata, segno del mondo futuro che relativizza il presente (7). Nella nuova evangelizzazione tutti sono chiamati ad agire, la parrocchia e le sue forme nuove, i presbiteri, i catechisti, i diaconi, gli animatori parrocchiali. Tutti costoro devono curare la loro formazione umana e cristiana, la conoscenza della fede, la sensibilità alla cultura attuale (8). Un’attenzione particolare deve essere riservata ai giovani che sono il futuro della chiesa e del mondo (9) alla cultura, al mondo della scuola, al mondo delle comunicazioni, all’ambito dell’incontro tra fede e ragione, al mondo dell’arte, dell’economia e del lavoro, al mondo dei sofferenti, della politica e alle religioni (10).
Qualcuno potrebbe vedere nel mondo di oggi un deserto pieno di pericoli e privo di riferimenti. Di deserto si tratta, lo ha detto anche il papa, ma è proprio nel deserto che dio ci chiama e ci invita alla conversione. La fede – tema dell’anno – e l’insegnamento del catechismo della chiesa cattolica sono riferimenti sicuri (11). così la contemplazione e l’attenzione ai poveri possono essere due fonti d’ispirazione per la nuova evangelizzazione del mondo (12).

Uno sguardo ai continenti
Prima di concludere il messaggio dei padri sinodali dà uno sguardo sulle varie regioni del mondo in riferimento alla nuova evangelizzazione. Ricorda le chiese orientali che praticano la nuova evangelizzazione nella liturgia, nella vita delle comunità, nella preghiera e nel digiuno, nella catechesi e spesso nella sofferenza per la propria fede.
Alle chiese dell’africa il sinodo chiede di ridare slancio all’evangelizzazione che hanno ricevuto, di costruirsi come famiglia di dio, di sostenere l’impegno dei sacerdoti e dei catechisti e delle piccole comunità cristiane. Ai politici e ai governanti africani il sinodo chiede di collaborare alla promozione dei diritti umani e alla liberazione del continente dalle guerre.
Ai cristiani dell’america del nord chiede di crescere nella fede, speranza e carità, di cercare la conversione ai valori autenticamente cristiani e, come accolgono molti immigranti, aprano per tutti la porta della fede e siano solidali con le chiese dell’america latina. A queste ultime, a fronte delle sfide del momento presente, il sinodo chiede di vivere in uno stato permanente di missione, formando comunità di discepoli missionari per annunciare il vangelo con speranza e gioia. Questa sarà la loro partecipazione alla missione.
Alle chiese dell’asia, piccola minoranza in mezzo a una folla di non cristiani, il sinodo ricorda che devono essere come un seme destinato a crescere nel dialogo con le culture, le religioni e con i poveri. E anche se spesso sono nella persecuzione, esse possono essere per tutti un segno di giustizia, vita e armonia. Alle chiese d’europa, il sinodo ricorda la propria cultura cristiana e le invita a essere riconoscenti per il passato, a resistere senza lasciarsi abbattere dalle difficoltà del momento attuale, ma a continuare ad annunciare con gioia e vivacità il vangelo di gesù e la vita in lui. infine alle chiese dell’oceania il sinodo ricorda l’impegno a predicare il vangelo e a far conoscere gesù (13). Il messaggio si conclude con uno sguardo a maria, la stella polare che ci guida nel deserto e che ci orienta (14).

Niente di nuovo ma tutto nuovo
Come è facile vedere, la nuova evangelizzazione non è niente di nuovo e nello stesso tempo è tutta nuova. Niente di nuovo, perché, di fatto, l’annuncio è sempre lo stesso, eppure nuova, perché nuovo è il contesto e gli ambiti culturali in cui essa si svolge. Nuovo deve essere il fervore e l’impegno della chiesa in questo compito permanente, che chiede anzitutto una costante auto-evangelizzazione e uno stile missionario. Per evangelizzare, diceva paolo vi, la chiesa deve prima lasciarsi evangelizzare. Comunicare il vangelo in un tempo che cambia, documento programmatico della cei per il decennio appena trascorso, ricordava ai fedeli – ormai già dieci anni fa – che la pastorale doveva rinnovarsi assumendo uno stile missionario:
«Comunicare il vangelo è il compito fondamentale della chiesa. Questo si attua, in primo luogo, facendo il possibile perché attraverso la preghiera liturgica la parola del signore contenuta nelle scritture si faccia evento, risuoni nella storia, susciti la trasformazione del cuore dei credenti. Ma ciò non basta. Il vangelo è il più grande dono di cui dispongano i cristiani. Perciò essi devono condividerlo con tutti gli uomini e le donne che sono alla ricerca di ragioni per vivere, di una pienezza della vita. L’eucaristia, fonte e culmine della vita di fede, ci ricorda come la nuova alleanza che in essa si celebra è principio di novità e di comunione per il mondo intero: dio continua a radunare intorno a sé un popolo da un confine all’altro della terra. La missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza. Proprio la dedizione a questo compito ci chiede di essere disposti anche a operare cambiamenti, qualora siano necessari, nella pastorale e nelle forme di evangelizzazione, ad assumere nuove iniziative, “fiduciosi nella parola di cristo: duc in altum!”» (n. 32, il corsivo è dell’autore).

Con uno stile missionario
Che cosa significa stile missionario, aggettivo che oggi si usa in ogni contesto a volte senza tenere conto del senso delle parole? Quest’aggettivo rischia di evocare ancora una maniera di essere missionari che richiama qualcosa di straordinario, eroico e folcloristico insieme, come poteva essere la missione in passato, quando essere missionari voleva dire affrontare situazioni estreme e anche sfidare la morte in molti modi…
L’aggettivo missionario deve invece richiamare la maniera originale dell’evangelizzazione, quella praticata dalla prima comunità cristiana che ha vissuto la missione alla luce della pentecoste e nella memoria della pasqua di gesù, in mezzo a un mondo non cristiano, cercando la sua collocazione in esso, e nello stesso tempo segnata dalla parresia che la portava a parlare della propria fede e a non accettare di rimanere inerte davanti alle sfide del mondo.
La forza evangelizzatrice della prima comunità era appunto la testimonianza di una vita cristiana e spirituale, vissuta nella fede e nella preghiera, nella comunione di vita e di beni. Oggi la nuova evangelizzazione deve ritrovare questa stessa forza di attrazione che viene dalla “fede che opera attraverso la carità” (gal 5,6), che diventa memoria e profezia di gesù cristo e del suo mistero di salvezza. L’accoglienza e la ricerca di coloro che hanno bisogno e di coloro che si sono allontanati è la nuova evangelizzazione. Il card. scola a proposito dell’anno della fede afferma che «il dono della fede chiede i linguaggi della gratitudine piuttosto che del puro dovere, silenzio più che moltiplicazione di parole, l’irresistibile comunicazione di un’esperienza di pienezza che contagia la società più che l’affannosa ricerca del consenso, in una parola: testimonianza più che militanza» (alla scoperta del dio vicino, n. 2) e conclude: «La missione della chiesa non è l’accanimento del proselitismo, ma una testimonianza che lascia trasparire l’attrattiva di gesù, è lo struggimento perché tutti siano salvati» (ib. n. 8). È vero che non dobbiamo angosciarci per arrivare a tutti, ma dobbiamo intrattenere con tutti quelli che avviciniamo un dialogo di vita per giungere a far nascere nel cuore quel dialogo della salvezza attraverso cui possiamo, quando sarà l’ora (il kairos), annunciare il nostro salvatore. Sarà la maniera di vivere informata dalla fede che solleciterà quelle “domande irresistibili” di cui parla paolo vi in evangelii nuntiandi. Allora sarà il tempo di “rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi”, ossia della nostra fede, ma “con dolcezza rispetto e con retta coscienza” (1pt 3,15-16). Questa è la nuova evangelizzazione.
Missionario è quel popolo che è pronto a uscire dalla propria terra o dalla propria cultura per raggiungere gli “altri” e condividere con loro la propria esperienza di Dio. “Andate in tutto il mondo”, vale anche oggi nel tempo della rivoluzione digitale. Anche oggi è necessario uscire e non solo virtualmente, dalla nostra terra, dalla nostra cultura e dalla nostra chiesa per entrare nel mondo dell’indifferenza e della non credenza. Questa necessaria partenza richiede mobilità interiore e flessibilità per rispondere alle situazioni più disparate in cui si trovano i nostri fratelli e sorelle.

Sull’esempio del Libro degli Atti
Ma la chiesa sarà veramente missionaria se amerà il mondo e i suoi abitanti, come dio padre (gv 3,16), se si metterà alla sua ricerca, se si recherà nelle sue abitazioni, come pietro a cesarea marittima da cornelio (at 10-11) dove si accorgerà che contro ogni previsione, lo spirito è già all’opera prima del suo arrivo, se adatterà il suo linguaggio alla cultura di oggi. L’evangelizzazione della chiesa sarà veramente nuova se lascerà cadere modelli del passato ormai inefficaci per cercare di entrare nella cultura di oggi, non per fare dell’etnografia o delle sperimentazioni sociopastorali, ma per annunziare in modo diretto ed efficace il vangelo.
La nuova evangelizzazione dovrebbe rileggere il libro degli atti degli apostoli e vedere quello che gli apostoli fanno e come agiscono, le ragioni e le motivazioni della loro missione. Questo è assumere la missione come paradigma della azione pastorale.
La nuova evangelizzazione non deve essere contrapposta alla missione ad gentes, essa pure chiamata a una profonda revisione, e neppure alla cura pastorale delle comunità cristiane. Lo ha ricordato giovanni paolo ii in redemptoris missio n. 34, dove raccomanda di evitare sia la confusione che l’eccessiva distinzione tra le tre forme della missione della chiesa: «I confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti-stagno». Ma nello stesso tempo non vanno neppure confuse o sovrapposte, per non perdere la tensione per la missione ad gentes che è «il compito primo della chiesa che è inviata a tutti i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare». C’è, infatti, una «reale e crescente interdipendenza tra le varie attività salvifiche della chiesa: ciascuna influisce sull’altra, la stimola e la aiuta. Il dinamismo missionario crea scambio tra le chiese e orienta verso il mondo esterno, con influssi positivi in tutti i sensi. Le chiese di antica cristianità, ad esempio, alle prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione, comprendono meglio che non possono essere missionarie verso i non cristiani di altri paesi e continenti, se non si preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria: la missionarietà ad intra è segno credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa”. Crescere in apertura e missionarietà verso i non cristiani, stimolerà le nostre comunità a rivelare quella carità, che è la bellezza che salverà il mondo.

(Gabriele Ferrari s.x., su testimoni 20 del 2012)