Blanka_Vlasic29 Ottobre 2014

La campionessa di salto in alto croata Blanka Vlasic racconta la storia della sua conversione

"Gesù ha preso posto nella mia anima come il pezzo mancante di un puzzle"

ROMA, 28 Ottobre 2014 (Zenit.org) - In un’intervista a ZENIT, la superstar olimpionica croata Blanka Vlašić ha condiviso il suo ispirato viaggio di fede, raccontando come, all'improvviso, Gesù abbia preso posto nella sua anima, quasi come il “pezzo mancante di un puzzle”.

Primogenita di una famiglia dove lo sport era molto praticato, la Vlašić è una delle più titolate campionesse di salto in alto nella storia dell'atletica.

Nata nel 1983, ricevette un nome ispirato alla città marocchina di Casablanca, dove, lo stesso anno, suo padre Josko aveva vinto la medaglia d'oro ai Giochi del Mediterraneo e dove aveva stabilito il record croato nel decathlon. Il talento sportivo di Blanka era emerso sin dalla più tenera età e la bambina aveva iniziato ad allenarsi assieme al padre a soli sette anni.

Incoronata due volte campionessa mondiale ad Osaka nel 2007 e a Berlino nel 2009, Blanka ha vinto la medaglia d'argento a Pechino nel 2008. Nel 2010 si è aggiudicata il titolo di donna sportiva dell'anno, assieme ad altri titoli e riconoscimenti. Ha tuttavia dovuto rinunciare alle Olimpiadi di Londra del 2012, a causa di un infortunio al tendine d'Achille. Dopo due anni d'assenza, Blanka è tornata sulla scena sportiva nel 2013.

L'olimpionica è intervenuta con una testimonianza nel corso dell'evento Lo sport… ben oltre lo svago, organizzato dall'Università Europea di Roma, al quale la Vlašić ha partecipato assieme ad un'altra dozzina di illustri atleti.

Qual è il ruolo della fede nel suo percorso umano e sportivo? È sempre stata presente o c'è stato per lei un momento di scoperta (o di riscoperta)?

Sia io che i miei fratelli abbiamo ricevuto tutti i sacramenti dell'iniziazione cristiana ma solo di recente mamma e papà si sono sposati in chiesa. La nostra fede era più una tradizione, anzi, dopo la cresima non era più nemmeno quello. Come ogni famiglia, abbiamo vissuto periodi buoni e meno buoni, cercando sempre di rimanere in qualche modo a testa alta. Comunque, senza un solido sostegno in Nostro Signore, tendiamo spesso ad emettere giudizi esclusivamente dalla nostra prospettiva, che spesso ci portano a varie dispute ed anche all’alienazione. Un’esperienza che trovai difficile furono delle lesioni ed un’operazione alla caviglia: fu estremamente dura riprendersi e tornare a saltare.

A quel tempo andavo poco d’accordo con il mio fratello maggiore, Marin. Non eravamo più vicini come lo eravamo in passato e non sapevo cosa stesse succedendo nella sua vita. Sapevo che anche lui aveva subito un’operazione alla caviglia (conseguenza della sua pratica del baseball), dopo la quale aveva sofferto seri problemi di salute ma non sapevo che aveva iniziato ad andare a messa. Rimasi quasi sbigottita il giorno in cui mi disse che stava pregando per me. Fui scioccata, non era il Marin che conoscevo.

Iniziò a parlarmi di Dio, della sua conversione e del modo in cui Gesù si avvicina a noi. All’inizio, elevai una sorta di muro intorno a me stessa ma lo Spirito Santo era al lavoro, e tutte le mura, alla fine caddero giù come un castello di carte. Non dimenticherò mai quello speciale momento di grazia. Le lacrime cadevano giù da sole e tutto improvvisamente divenne cristallino. Era come se io avessi portato alla fede l’intera mia famiglia e ogni cosa che prima ignoravo, adesso la sapevo. Gesù prese posto nella mia anima, laddove sarebbe sempre dovuto stare, come un pezzo mancante in un puzzle. Quella notte mi addormentai serena e ricordo che avevo un pensiero: qualunque cosa sarebbe successa in futuro, se avessi saltato ancora oppure no, il Signore era con me e non dovevo avere paura. Iniziai quindi ad andare regolarmente a messa, a confessarmi e a fare la comunione.

Può spiegarci in che modo la sua famiglia è stata coinvolta nel suo cammino?

Sono cresciuta in una famiglia sportiva. Mamma e papà avevano entrambi praticato sport in gioventù e si erano conosciuti all’università dove si erano laureati in educazione fisica. Quindi, posso affermare con certezza che il mio “percorso di carriera” è stato pressappoco definito quando ancora ero nel grembo di mia madre.

Mio padre notò la mia eccezionale capacità di coordinazione, prima ancora che facessi i miei primi passi. Infatti, sapevo ‘gattonare’ con notevole velocità. Molto rapidamente il nostro comune tempo libero si era ridotto al praticare vari sport e a fare esercizi, di solito nel cortile della scuola, dove, allenandomi, riuscivo a mettere a punto i miei movimenti di coordinazione, imparando gli elementi base della ginnastica e come lanciare ed afferrare la palla. Come ho già detto, attraverso l’allenamento ma anche afferrando la sfida. Mio padre sapeva come motivarmi ed aiutarmi a mantenere la concentrazione meglio dei bambini della mia età, che al massimo riuscivano a farlo per poco più di mezz’ora. Dal momento in cui egli stesso era un atleta, lui sapeva in modo chiaro quali fossero tutte le caratteristiche che servivano a un professionista.

Qual è stata, secondo lei, l’importanza dell’evento di sabato scorso all’Università Europea?

Penso che l’importanza è nella testimonianza. Non siamo abbastanza forti per fare affidamento su noi stessi, anche se il mondo di oggi promuove questo tipo di pensiero, proclamando ogni altra cosa come una debolezza. Ci è stato insegnato a nascondere i nostri difetti dietro alla maschera della forza e della fiducia in noi stessi, che è solo una cortina fumogena che scompare ai primi segnali di difficoltà. Solo quando ci giriamo e guardiamo a Gesù, possiamo trovare il significato della croce, da cui sembriamo costantemente fuggire. Per un atleta che sta sotto i riflettori, la vita è più facile e più completa, quando si conosce la misericordia di Dio e il suo infinito amore: è il sentimento di un ritorno a casa.

(Di Deborah Castellano Lubov su Zenit.org)