27 settembre 2013
La carità non è "assistenzialismo", né "ideologia". Nella cattedrale di Cagliari, papa Francesco incontra i poveri e i detenuti del capoluogo sardo
Chiamati alla vera carità
“Nei vostri volti vedo fatica, ma vedo anche speranza - ha detto loro il Santo Padre -. Sentitevi amati dal Signore, e anche da tante persone buone, che con le loro preghiere e con le loro opere aiutano ad alleviare le sofferenze del prossimo. Io mi sento a casa in mezzo a voi”.
Il Pontefice ha poi esortato i poveri e i detenuti a guardare a Gesù come “modello di vita”. Gesù, infatti, non è stato “indeciso”, né “qualunquista” ma “ ha fatto una scelta e l’ha portata avanti fino in fondo. Ha scelto di farsi uomo, e come uomo di farsi servo, fino alla morte di croce”, mettendo in pratica “la via della carità”.
Parlare di carità, non ha nulla a che vedere con l’“assistenzialismo”, ha precisato il Santo Padre, ma con un “modo di vivere” che coincide con la “umiltà” e con la “solidarietà”.
L’umiltà di Cristo, in particolare, non è “moralismo”, né un “sentimento”, né tantomeno una “ideologia”, ma coincide con “la scelta di essere piccolo, di stare con i piccoli, con gli esclusi, di stare fra noi, peccatori”.
Non basta, tuttavia, guardare a Gesù come modello di vita: non meno importante è seguirlo “anche nella fatica, nella sofferenza, tra le mura di un carcere”.
Rivolgendosi in modo particolare ai detenuti, il Papa ha esortato a compiere uno sforzo per “comprenderci a vicenda e di perdonarci, riconoscendo ciascuno i propri limiti e i propri sbagli”: soltanto così è possibile seguire Gesù.
Non basta nemmeno compiere opere di misericordia, è essenziale farlo “con tenerezza” e “con umiltà”. A volte, infatti, “si trova anche l’arroganza nel servizio ai poveri”, con persone che li “strumentalizzano” per interessi personali o di un gruppo. Sebbene sia “umano”, ha aggiunto il Santo Padre, tale comportamento “è peccato” e coloro che lo commettono “sarebbe meglio che rimanessero a casa”.
Percorrere con Gesù la via della carità e della solidarietà è un modo per “andare con lui alle periferie esistenziali”. Per Lui “ciò che è lontano, periferico, ciò che è sperduto e disprezzato è oggetto di una cura maggiore, e la Chiesa non può che far sua questa predilezione e questa attenzione”.
Il terzo passaggio da seguire è seminare la speranza. “La società italiana oggi ha molto bisogno di speranza – ha spiegato papa Francesco -. e la Sardegna in modo particolare. Chi ha responsabilità politiche e civili ha il proprio compito, che come cittadini bisogna sostenere in modo attivo. Alcuni membri della comunità cristiana sono chiamati ad impegnarsi in questo campo della politica, che è una forma alta di carità, come diceva Paolo VI.”
Nella semina di questa speranza, la Chiesa ha una “responsabilità forte”, che mette in pratica sia attraverso le “opere di solidarietà”, sia con la collaborazione con le “pubbliche istituzioni, nel rispetto delle rispettive competenze”.
La Caritas, ha ricordato Francesco, è uno di questi soggetti, “espressione della comunità”, in grado di “far crescere la società dall’interno, come il lievito”.
Rivolto agli operatori della Caritas, alle famiglie in difficoltà e ai fedeli tutti, il Papa ha concluso ripetendo ancora una volta: “Non lasciatevi rubare la speranza e andate avanti!”.
(www.zenit.org)