ATTUALITÀ  - Mondo Voc gennaio 2013                                                                         Torna al sommario

 

 

 

Io mi piaccio, e tu?

 


Se la vita “vera” non è (nel)la rete


Il cattivo uso dei mezzi di comunicazione sta imponendo ai giovani una dittatura dell’apparenza che rischia di condurli fuori dal mondo. Ma è ancora possibile salvarsi, recuperando la bellezza di essere se stessi, senza paura e senza timore di essere da meno degli altri.


di Carlo Climati

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La moda dei social network e delle chat ha letteralmente invaso il web e conquistato le nuove generazioni. Sono tanti i giovani che trascorrono il loro tempo davanti a un computer, immersi in amicizie virtuali. Ma perché accade questo? Che cosa spinge i ragazzi a nascondersi dietro allo schermo, invece di cercare contatti reali?


Ho provato a chiederlo ad alcuni giovani. La risposta che mi ha maggiormente colpito è stata quella di Maria, una diciottenne un po’ timida, che mi ha confidato: “Dietro lo schermo mi sento protetta. Mi muovo liberamente. Non c’è nessuno che mi giudica. Riesco a superare ogni imbarazzo. La società di oggi è dominata dal mito della bellezza e dell’apparenza. Io non mi sento bella. Per questa ragione ho difficoltà ad avvicinare gli altri. A volte mi sento giudicata, criticata. E questo mi blocca. Non mi fa sentire serena. Sul web, invece, ho trovato la mia condizione ideale, perché posso esprimermi senza paura”.

 


Chiusi in un guscio

Le parole di Maria mi hanno fatto pensare. Il mito della bellezza sta diventando, sempre di più, una delle trappole del terzo millennio. Si presenta come una dittatura, che detta le sue regole attraverso i luoghi comuni imposti dai mezzi di comunicazione.


dietro_pcSe non sei bello, non sei nessuno. Per essere veramente felice dovresti assomigliare ai divi del cinema, della musica o della pubblicità. Per questa ragione Maria preferisce rifugiarsi in un mondo virtuale. Dietro la protezione dello schermo, nessuno può giudicarla. Forse tantissimi altri giovani provano lo stesso disagio, di fronte all’imperante dittatura dell’apparenza.


Vediamo, attraverso le parole di Maria, fino a che punto può arrivare il condizionamento dei mass media. Può spingere le persone a chiudersi in un guscio, a perdere il contatto con la realtà. Una realtà che ci rifiuta perché ci vorrebbe belli a ogni costo.

 

Ecco perché alcuni giovani pubblicano foto false nei loro profili sui social network, spesso ritoccate con il computer. Ecco perché raccontano bugie, arrivando perfino a mentire sull’età che hanno. Devono, in qualche modo, sentirsi più belli. Non lo fanno per cattiveria, ma semplicemente perché temono il giudizio del mondo.

 

 

L’ossessione del corpo

La paura di non essere accettati può contribuire alla creazione di un’autentica mentalità virtuale, in grado di distorcere la consapevolezza del proprio rapporto con gli altri.


Come si fa a considerare il prossimo, se non ci si abitua realmente ad incontrarlo e a dialogare con lui? Come si possono prendere a cuore i suoi problemi? Rinchiudersi nella cella d’isolamento di un computer significa rifiutare il confronto sincero con altri esseri umani. Significa rinunciare ad impegnarsi, perché il rapporto con il prossimo rappresenta anche un impegno, uno sforzo per mettersi in discussione.

 

apparireEcco come la mentalità dell’apparire rischia di prendere il sopravvento, sostituendosi alla dimensione reale dell’essere. La bellezza del proprio corpo diventa un’ossessione, un incubo senza fine da alimentare ogni giorno. Si trascorrono ore davanti allo specchio, si fa shopping selvaggio per conquistare l’ultimo modello di scarpe o di pantaloni. Si sogna la stessa automobile della pubblicità. E tutto questo accade perché bisogna apparire. Non essere.

 

Di chi è la colpa? Sicuramente non dei giovani. Lo stile di vita dei ragazzi è il frutto dell’educazione che ricevono. Oggi, spesso, l’educazione trasmessa dai mass media risulta più influente rispetto a quella che dovrebbe giungere dalla famiglia. Una famiglia a volte assente, in crisi, incapace di comunicare valori.

  

Molti genitori hanno assorbito quel clima culturale relativista e materialista che impone la dittatura dell’apparenza. È la stessa mentalità che spinge i ragazzi a cercare di conquistare un posto in certi squallidi reality show, facendo file chilometriche per partecipare ai provini.

 


Come uscirne fuori?

Per contrastare certe forme di degrado bisogna sforzarsi di comunicare alle nuove generazioni il piacere di un’autentica cultura del limite. Si può essere perfettamente felici anche nello stato in cui siamo, senza essere bellissimi e vestiti all’ultima moda.

 

Il buon esempio, come sempre, deve giungere dagli adulti, che devono sforzarsi di creare una società più vera, accogliente, in grado di accettare anche chi non ha un sorriso da top model.

  

È difficile fare questo in un mondo in cui sembra riaffacciarsi sempre di più lo spettro dell’eugenetica e della selezione della razza. C’è chi ipotizza di poter “scartare” in anticipo i figli considerati “difettosi”, “colpevoli” di avere qualche malattia che non permetterebbe loro di essere perfetti. È la stessa mentalità che conduce, poi, all’orrore dell’eutanasia. È il cinismo che produce il licenziamento dei lavoratori che non sono più giovani, che genera l’esclusione dal mondo di chi non può più essere “produttivo”.

  

Anche questi sono i frutti della non-cultura dell’apparenza, spesso sottovalutati, ma inquietanti. Che cosa si scriverà, in futuro, nei libri di storia, quando il mondo sarà tornato ad essere più umano e si racconteranno gli inizi del terzo millennio?

 

 

 

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