Senza Dio non c'è vita
Dopo la preparazione alla Cresima si allontana dalla parrocchia e inizia a vivere esperienze un po’ sopra le righe. Ma pian piano comincia a sprofondare nella solitudine e nello sconforto, finché finalmente nella sua vita non arriva una amica. La storia di Chiara e di come ha riscoperto l’amore di Dio…
di Michele Pignatale
“Mia madre fin dall’età di quattordici anni mi invitava a proseguire, dopo il percorso della Cresima, la mia frequenza in parrocchia. Perché in parrocchia ci sono ragazzi conosciuti, è un ambiente sano e poi si possono fare esperienze di vita utili per la formazione della propria personalità. Io invece non desideravo più andare in parrocchia perché il corso-cresima era stato abbastanza deludente. Non vedevo spazi per divertirmi e soprattutto mi piaceva andare in discoteca. Io questo Dio lo ritenevo relativo per la mia vita e mia madre si arrabbiava di brutto, essendo lei catechista e osservante di tutte le ‘regole cattoliche’. Ma io avevo desiderio di sperimentare altre cose e così ho vissuto gli anni del liceo, diciamo, un po’ sopra le righe”.
Così comincia a raccontare la sua esperienza, Claudia, una ragazza di 26 anni della provincia di Padova, laureata in psicologia. La sua vita è stata un continuo sussulto come ama raccontare lei per le diverse infrazioni e le inversioni ad “U” compiute. Quando ha cominciato il percorso universitario e l’impegno richiesto è stato più intenso sono cominciate ad emergere quelle debolezze e la poca responsabilità nel vivere ed affrontare tutto quello che incontrava sul suo cammino. Piena di se stessa e libera fondamentalmente di decidere, per principio ha rifiutato ogni dialogo con i genitori, con i fratelli e soprattutto con le amiche. Ha cominciato a provare una certa insoddisfazione per quello che faceva, per quella che era, cercando di allontanarsi da tutti coloro che vedendo la sua involuzione cercavano di starle vicina. L’unico rifugio è stato l’alcool, anche questo iniziato per scherzo e poi proseguito come necessario. Era l’unica cosa che la faceva sentire capace di affrontare i problemi o di evitarli.
“Sono diventata una persona dai sentimenti squilibrati – ci racconta Claudia – non mi fidavo più di nessuno e meno che meno dei miei genitori sempre pronti a fare predicozzi. Mi riusciva impossibile credere che gli altri parlassero perché mi volevano bene. Fino a quel momento di questa parola non ne avevo fatta esperienza. Mi sentivo dentro vuota e triste, rifiutavo tutti perché li vedevo felici e sentivo di invidiarli. All’università mi mettevo all’ultimo posto pronta a fuggire appena terminate le lezioni. Ma naturalmente anche l’andamento scolastico ne ha risentito. Preparavo gli esami e non riuscivo a sostenerli, rinviando alla prima occasione che poi era uguale a quella di prima. Non riuscivo a trovare nulla che mi risvegliasse a qualche interesse seppur piccolo o insignificante. Nulla. Stavo perdendo la voglia di vivere. Nessun motivo acclarato. Solo buio”.
La vita di Chiara andava complicandosi anche per il suo rifiuto di sottoporsi a delle visite mediche. Neanche dal suo percorso di studio specifico riusciva a trarre qualcosa che l’aiutasse. La rabbia ha cominciato a manifestarsi soprattutto in casa, quando c’era, e con la mamma. Sfoghi che non riusciva a controllare fatti di insulti e mettendo sottosopra la propria stanza. Gesti incontrollati di cui alcune volte sembrava non pienamente consapevole.
“Alla fine per evitare che la cosa degenerasse – continua a raccontare Claudia – ho deciso di andare a vivere da sola a Padova. Avevo bisogno di allontanarmi dallo sguardo di commiserazione dei miei. Questa scelta mi è servita per toccare veramente il fondo. Invece di riprendermi e darmi sicurezza e responsabilità, mi sono accorta di non aver nessuno intorno, completamente sola, senza la forza di fare niente. Avevo ventidue anni e mi sentivo già vecchia. Un giorno arrivo all’università e mi siedo al mio solito posto e trovo un foglio ripiegato. Lo apro e trovo scritto: Claudia ti voglio bene e prego ogni giorno per te. Mi sono guardata intorno e ho cercato di capire chi fosse. Cercavo di guardare le persone davanti sperando che qualcuno si girasse e mi lasciasse capire qualcosa. Nulla. Sono arrivata a casa e quel pensiero non mi abbandonava. Sentivo però che mi leniva le mie ferite sapendo che qualcuno pregasse per me ogni giorno. Ma chi era?”.
Claudia per settimane ha cercato di scoprire l’autore di quei biglietti che si sono ripetuti a distanza di qualche giorno e sempre con un parole positive come “coraggio”, “sii forte”. Una sera si trovava a casa e aveva esagerato nel bere. Sente il citofono e barcollando va rispondere. Una voce squillante si presenta: ciao sono Beba, una tua amica di corso, posso salire? Claudia aprì la porta e poi cadde sul divano. Si risvegliò e trovò davanti a sé Beba che con un fazzoletto bagnato le faceva impacchi di acqua fresca. Sorrise e chiese chi fosse, da dove si materializzava quella figura. Quale interesse avesse e come aveva fatto a sapere dove abitasse. Ma soprattutto perché era proprio lì da lei.
“Beba mi raccontò di avermi notata in aula e certamente non avevo un viso presentabile – dice Claudia – e da quel giorno non ha smesso di starmi vicino senza farsi accorgere. Quella sera mi sistemò la casa, preparò qualcosa da mangiare con quel poco che c’era e poi andò via. Beba mi ha aiutato a scoprire il dono di essere debole, perché non potendo portare da sola il peso di quella sofferenza ho avuto bisogno di aiuto. Il giorno dopo all’università era seduta al mio fianco sorridendomi. Non riuscivo ad allontanarla perché non mi dava fastidio. Non riuscivo a rifiutarla perché i suoi modi erano discreti e dolci. Una sera a casa dopo aver cenato mi chiese di pregare insieme chiedendo al Signore, mi sembra di aver sentito così, di risvegliare dentro di me la speranza e di accorgermi che un domani migliore esisteva anche per me. Questo ha aperto il mio cuore. E ho cominciato a sentire quella sensazione nuova di desiderare l’incontro con Beba e con le sue amiche Vittoria e Mary. Ho cominciato a sentire il bene che mi volevano e anche il bene che provavo per loro. Stavo ricevendo un grande dono. Attraverso di loro scoprivo che Qualcuno non si era dimenticata di me, ma mi cercava. Da quando? Non lo so. Beba è stato veramente un angelo. Mi ha condotto per mano ad una nuova consapevolezza e attraverso quei brevi spicchi di preghiera quotidiana mi apriva al mio mondo interiore per abbellirlo nuovamente con la presenza del suo autore. Dio ha invaso la mia vita, mi ha rapita, mi ha coccolata e mi ha ridato speranza. L’abbraccio con i miei genitori dopo tanto tempo è stato il sigillo della guarigione. Ho ripreso gli studi, li ho conclusi di corsa. Ho trovato lavoro in una cooperativa per disabili mentali e oggi vivo non più l’ebbrezza dell’alcool, ma quella dell’amore. Dio è nel mio cuore. Ho sperimentato non sentirlo dentro. Non c’è vita. Solo buio”.
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