DIVERSO PARERE - Mondo Voc genneio 2012 Torna al sommario
CO-EDUCARE ALLA FEDE
L’educazione alla fede è un cammino da fare insieme ai nostri ragazzi. Ed è un percorso che ha bisogno di respiro, di gioia, di immaginazione. Noi adulti dobbiamo ricordare che la nostra opera non è di creatori del senso religioso, ma di suscitatori. E per suscitarlo dobbiamo essere stimolanti, dobbiamo proporre percorsi avvincenti e appassionanti.
di Aldo Maria Valli
La mia esperienza di marito (ormai da quasi trent’anni) e di genitore di sei figli mi ha insegnato che i bambini sono spontaneamente e naturalmente portati ad avere una visione religiosa della vita. Per loro, fin da quando sono molto piccoli, non è per niente strano intrattenere un rapporto con Dio creatore e con suo figlio Gesù. Non è strano che Dio abbia voluto mandare suo Figlio nel mondo e che il Figlio sia nato da una famiglia, con un papà e una mamma. Anzi, ho notato che sono proprio i bambini a educare noi adulti alla riscoperta del senso religioso. Per loro è normale intrattenere un rapporto, attraverso la preghiera, con Dio, con Gesù, con Maria. È normale chiedere aiuto per sé, per i fratelli, per i genitori, per gli amici; è normale ringraziare per i doni ricevuti e per tutte le cose belle. Non si tratta quindi di inserire, se così posso esprimermi, il senso religioso nel bambino, quanto piuttosto di suscitarlo: perché in lui è già presente, è lì pronto a manifestarsi e ad essere vissuto.
I bambini che non sono aiutati a suscitare in loro stessi il senso religioso non sono, come spesso si sente dire, bambini più autonomi e liberi, che poi faranno la loro eventuale scelta religiosa da grandi. Sono in realtà bambini deprivati, ai quali è stata negata una componente importante del proprio essere.
In questo cammino, che è a tutti gli effetti di coeducazione, è decisivo il rapporto tra il papà e la mamma. Nella fedeltà dei genitori, nel rispetto che c’è tra di loro, nella stima che il papà e la mamma esprimono reciprocamente e nell’amore-dono vissuto dalla coppia, il bambino vede realizzato concretamente l’amore di Dio per tutte le creature, vede il compimento del patto di fedeltà, vede che la generosità , la collaborazione, l’abnegazione e la disponibilità sono i mattoni con i quali costruire tutti i giorni la casa sulla roccia. E gli adulti riscoprono, attraverso gli occhi del bambino, la capacità di provare stupore, di non dare nulla per scontato, di vedere la vita, letteralmente, come un miracolo, e dunque di ringraziare.
In questo ambito, la collaborazione fra le diverse agenzie educative è importantissima, ma sono convinto che il “timone” debba restare ben saldo nelle mani della famiglia. La scuola, la parrocchia, l’associazione culturale e sportiva o il movimento ecclesiale sono tutti luoghi che offrono la possibilità di arricchire, completare e far maturare il cammino di crescita religiosa, ma se manca l’ispirazione che nasce all’interno della famiglia manca la pietra angolare. So che il mio giudizio può sembrare un po’ troppo netto, ma sono portato a formularlo così proprio sulla scorta di quanto ho visto e vissuto in tanti anni, anche come parrocchiano e anche come marito di una catechista che è in continuo contatto con bambini provenienti da esperienze familiari diverse.
Vorrei tornare sull’idea di coeducazione perché la ritengo fondamentale. Noi adulti sbagliamo quando, lasciandoci magari prendere dall’ansia, pensiamo di dover trattare i bambini come vasi vuoti, da riempire il più possibile. Non è così che funziona. Dobbiamo pensare piuttosto a un pellegrinaggio da fare insieme, e durante il quale ognuno è chiamato a far fruttare i talenti mettendoli a disposizione di tutti, perché il cammino sia bello.
I bambini, lo ripeto, possono insegnare tantissimo a noi adulti. Ricordo ancora alcune risposte folgoranti che i nostri figli, quando non avevano più di cinque anni, ci diedero a proposito della passione di Gesù: pur non avendo studiato teologia, dimostravano di essere naturalmente teologi, nel senso che, attraverso il racconto evangelico, avevano compreso e interiorizzato benissimo il significato del sacrificio del Figlio di Dio, per la salvezza degli uomini. E credo di poter dire che sono stati proprio i miei bambini, quando erano ancora molto piccoli, a riconciliarmi con l’idea della confessione, sempre un po’ problematica per me.
Educare alla fede lasciandosi educare, spogliandosi di ogni presunzione e facendoci a nostra volta bambini: credo che questa possa essere una via bella e fruttuosa. Inoltre vorrei dire che in quest’opera di coeducazione occorre fantasia e creatività.
Il peccato più grande che noi adulti possiamo commettere è di stancare i bambini e i ragazzi con il nozionismo religioso o con un tipo di insegnamento che tende a replicare quello scolastico.
L’educazione alla fede ha bisogno di respiro, di gioia, di immaginazione. Noi adulti, lo ripeto, dobbiamo ricordare che la nostra opera non è di creatori del senso religioso, ma di suscitatori. E per suscitarlo dobbiamo essere stimolanti, dobbiamo proporre percorsi avvincenti e appassionanti.
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